Il “paradigma di Aquileia”. Una guida per la politica odierna?
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Nella memoria dei friulani ci sono molte Aquileie. Spesso l’ansia identitaria e quindi di una istituzione dedicata li ha portati a riconoscersi nella “gloria” del Ducato del Friuli e del potere non solo religioso dei Patriarchi. Oggi l’aquila (o il grifone?) patriarcale fa da cornice e riconoscimento per avvenimenti positivi o anche come strumento di lotta.
Tuttavia non è da lì che possono essere trovate alcune fonti fondamentali di un percorso ultra millenario che ha coinvolto le comunità del Friuli (e non solo quelle friulane) nella loro costruzione di una specificità che è riuscita a superare (talvolta utilizzare) gli eventi della storia mantenendo e valorizzando alcune caratteristiche (linguistiche, culturali, religiose, economico territoriali, etc.) che hanno permesso nell’attualità di presentarsi come una “unità” in grado di gestire sia le relazioni interne alle proprie comunità sia nel proiettarsi all’esterno. Cioè nel sapersi definire come una vera e propria “nazione indigena”.
La risorsa di un altro cristianesimo
Cerco di riprendere ed argomentare alcuni concetti emersi in particolare nel seminario del 6 settembre scorso tenutosi a Meduno dalla Associazione per la Terza Ricostruzione.
Il prof. Pellizzari nell’ambito dei suoi approfondimenti, che si collegano a quanto nel recente passato hanno documentato alcuni studiosi, da Guglielmo Biasutti a Remo Cacitti passando per Renato Jacumin e Gilberto Pressacco, ci ha avvertiti della importanza fondamentale del cristianesimo aquileiese dei primi secoli. Quello, tanto per intenderci, che, oltre ai testi rimasti, si può anche leggere nei mosaici della Basilica paleo cristiana integrata dopo l’anno mille da quella del Patriarca Popone.
Quel cristianesimo, di derivazione Marciana e sostanzialmente differente da quello Pietrino-romano, ci mette a disposizione alcuni strumenti di orientamento che oltre al significato ecclesiale sono veri e propri strumenti di indirizzo politico sociale nella vita di oggi, e per questo vanno interpretati e salvaguardati come un patrimonio che possiamo chiamare il “paradigma di Aquileia”.
La comunità friulana ha in qualche modo conservato un “filo rosso” di lettura di quel paradigma facendolo appunto diventare, in una storia di domini esterni, strumento di sopravvivenza che in molti casi chiamerei di un necessario mimetismo. Nella mia malignità collocherei in questo caso il periodo 1866-1976, dall’inizio del dominio dei Savoia al recente terremoto.
L’importanza del cristianesimo delle origini, rispetto alla evoluzione della storia (più di quella della “Patria del Friuli” Patriarcale), ha un valore particolare perché è la fonte primaria di irradiamento culturale delle popolazioni di una vasta area europea, non una delle esperienze storiche, quasi sempre giocate in base ai rapporti di forza e di potere che contraddistinguono le diverse epoche.
Dal paradigma gli algoritmi per una nuova “nazione indigena friulana”
Ma quali sono i contenuti di questo paradigma che ha forgiato alcuni elementi di formazione pre-politica delle comunità friulane ed anche (per contaminazione) di quello spazio territoriale convenzionale che ho chiamato Friuli:
- essere una comunità di frontiera aperta al dialogo tra i popoli in termini di apertura e collaborazione, senza distinzione tra “fedeli e non fedeli”;
- essere una comunità autonoma portata a farsi carico dell’insieme dei bisogni economico sociali della comunità stessa, con una logica di condivisione dei beni comuni;
- essere una comunità inscindibile dal rapporto con la terra, e che quindi deve farsi carico della salvaguardia della stessa, in una visione che oggi chiameremmo eco-politica.
E’ fondamentale mettere in evidenza una concezione di fondo che ha permesso di costruire e gestire relazioni con altre comunità, nella prossimità e non solo, improntate alla collaborazione e alla non esclusione. Certo, in particolare la storia della modernità ha proposto tensioni, conflitti e problematiche nuove (come il tema attuale della immigrazione), così come le accelerazioni dell’economia globalizzata hanno posto in crisi le capacità di valorizzazione territoriale non sufficientemente remunerative, determinando conflitti e disgregazioni.
C’è quindi la necessità di trasformare gli strumenti del “paradigma di Aquileia” in un “algoritmo” meta politico, cioè in un “meccanismo di calcolo” che ti aiuta a trovare le soluzioni per i temi da affrontare. In questo si può perciò intravvedere un nuovo protagonismo della “nazione indigena friulana” verso l’interno e l’esterno della sua geografia per trovare le soluzioni che servono per non finire maciullati dalla storia contemporanea. I terreni della politica e della geo politica possono ancora oggi essere frequentati a partire dagli indirizzi del paradigma di Aquileia.
Attivo in politica dai primi anni Sessanta del secolo scorso, è stato consigliere regionale di opposizione per tre legislature e per due mandati assessore all’Urbanistica e alla Mobilità del Comune di Udine, presidente regionale di Legambiente FVG negli anni Novanta e Duemila. Saggista, ha decine di pubblicazioni all’attivo. Collabora con testate di informazione locale su temi di attualità politica, sociale ed economica.
- Giorgio Cavallo
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