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Numero 34 | 9 maggio 2025

Loris Fortuna

A quarant’anni dalla morte di Loris Fortuna: tre silenzi ed una considerazione sui diritti civili (e su quelli sociali)


Nel 2024 è caduto il centenario della nascita di Loris Fortuna, mentre quest’anno saranno passati quarant’anni dalla sua morte. Come spesso succede per gli anniversari di eventi e personalità del passato, anche queste due ricorrenze permettono di ritornare sulla figura di Fortuna, indissolubilmente legata al tema dei diritti civili tra anni Sessanta e Settanta. Dalla proposta di legge sul “piccolo divorzio” dell’ottobre del 1965 sino a quella sull’eutanasia passiva nel dicembre 1984, il deputato socialista friulano fu infatti uno dei principali promotori e simbolo della stagione di mobilitazioni e riforme per l’allargamento di quelli che proprio all’epoca cominciarono ad essere concettualizzati come “diritti civili”. La sua azione e quella dell’area laico-socialista si collocavano in un contesto dove le istanze della società italiana, profondamente mutata dal boom economico del decennio precedente, si scontrarono con il permanere di norme e mentalità legate al mondo precedente, in molti casi risalenti addirittura all’epoca fascista. La biografia di Fortuna – che peraltro non si è limitata solo ai diritti civili – può essere riletta alla luce di una storia più ampia del centro-sinistra, del socialismo italiano, e della stessa Italia repubblicana. 

La vicenda politica di Fortuna ha contribuito in maniera significativa alla democratizzazione e secolarizzazione del Paese e delle sue istituzioni, inscrivendosi in un percorso di ampliamento dei diritti individuali e collettivi, e di lotta per la laicità dello Stato. Ciononostante, nel ricostruire la figura di Fortuna ci si trova di fronte ad un triplice silenzio: documentario, storiografico, e di memoria pubblica. I primi due aspetti interessano principalmente gli storici. Anzitutto, l’assenza di un fondo d’archivio conosciuto del deputato udinese impone una ricerca trasversale su fonti archivistiche locali e nazionali, e su interventi, articoli, saggi di Fortuna. Se questi documenti aiutano a contestualizzarne l’azione all’interno della più larga mobilitazione politica e sociale dell’epoca, d’altra parte essi non forniscono tutti gli elementi per rintracciare l’intero percorso politico-intellettuale di Fortuna. La sua stessa personalità, maggiormente rivolta all’azione politica concreta piuttosto che all’elaborazione teorica, ha forse giocato un ruolo in questa lacuna, rendendo ancora più essenziale il ricorso a carte d’archivio che, allo stato attuale, mancano. Probabilmente come conseguenza di questa dispersione documentaria, manca in secondo luogo una vasta letteratura scientifica sul deputato udinese, che ne collochi la biografia nella storia più complessiva e articolata delle mobilitazioni politico-sociali per i diritti civili, inquadrando l’azione di Fortuna nell’ambito dei cambiamenti sociali e culturali dell’Italia repubblicana, e nella storia della sinistra italiana nel secondo dopoguerra. Fortuna ha infatti militato nel partito comunista e in quello socialista, prendendo in seguito anche la tessera radicale; aldilà del tema dei diritti civili, perciò, egli ha attraversato buona parte delle vicende della sinistra italiana e locale dopo il 1945, dai fatti d’Ungheria all’epoca craxiana, dalle lotte di braccianti e disoccupati del Cormôr alla ricostruzione dopo il terremoto del 1976, passando per il dibattito sulla Regione a Statuto Speciale. 

Una eredità da riscoprire

Il terzo silenzio è forse quello più assordante, perché riguarda la memoria delle battaglie per i diritti dei cittadini e per la laicità dello Stato nel dibattito pubblico e politico odierno. Tale disinteresse verso la figura di Fortuna nel contesto socio-politico della cosiddetta Seconda Repubblica non sorprende. A fronte di un centrodestra che, specie negli ultimi anni, ha abbracciato convintamente le battaglie sui temi definiti identitari e che nelle parole della premier Giorgia Meloni ha definito il motto «Dio, Patria, Famiglia» come «il più bel manifesto d’amore che attraversa i secoli», il centrosinistra ha sistematicamente evitato di riflettere sull’eredità della cultura politica socialista e laica. Durante la discussione sul cosiddetto pantheon del Partito Democratico tra 2007 e 2008, infatti, non figurava il nome di Fortuna, il cui antecedente politico non è apparso neanche nella polemica sulle unioni civili in anni più recenti. 

Riferimenti alla sua storia furono fatti per un breve periodo – e perlopiù a livello locale, udinese – in occasione della vicenda di Luana Englaro sul finire degli anni Duemila. Allora, però, il socialismo dei diritti di Fortuna fu recuperato grazie alla rete trasversale di vecchi militanti e dirigenti socialisti coinvolti in quella circostanza, a cominciare da Beppino Englaro, padre di Luana. Il tentativo più coerente di riportare in auge l’eredità di Fortuna su diritti civili e laicità fu fatto nel 2006 con l’esperienza, pur effimera, della Rosa nel Pugno. La natura anzitutto elettorale dell’incontro tra socialisti e radicali ha però impedito una ripresa della memoria di Fortuna oltre la breve durata di quell’alleanza, su cui pesò forse anche l’eccessiva enfasi posta sui diritti civili rispetto a quelli sociali (lo slogan dell’epoca fu “Blair-Fortuna-Zapatero”), in una visione della società e dei temi politici che erano propri dell’Europa pre-crisi finanziaria, in cui questioni quali povertà e stato sociale sembravano erroneamente meno rilevanti rispetto ad oggi. 

Riconciliare diritti civili e sociali?

Questo breve excursus induce però ad una riflessione sul dualismo, vero o presunto, tra diritti civili e sociali. Nella polemica politica attuale, i movimenti progressisti sono spesso accusati da destra (e non di rado sempre più anche da sinistra) di aver abbracciato una “ideologia” dei diritti civili, abbandonando la difesa dei lavoratori e dei ceti sociali più deboli. Di primo acchito, si sarebbe propensi a pensare che lo scontro tra destra e sinistra sul tema delle libertà individuali sia stato usato da ambo le parti come un pretesto per non affrontare problematiche che riguardano tutti i Paesi occidentali quali la crisi dello stato sociale, l’aumento della povertà e della disoccupazione, la persistente crisi demografica. Quest’analisi rischia però di sottostimare il processo, in corso in Europa, di svuotamento (dall’alto) e disaffezione (dal basso) verso i meccanismi di partecipazione democratica. Un ruolo rilevante in questa dinamica è giocato dalle politiche di austerità e dall’emergente discorso teso a sostituire il welfare state – o ciò che ne rimane – con il warfare state, in un momento di violenta riconfigurazione dell’ordine mondiale. La sempre maggior enfasi posta sulle questioni della sicurezza e riarmo, infatti, sta mettendo in secondo piano nei dibattiti europei e nazionali quelle riguardanti tanto i diritti collettivi e sociali quanto quelli individuali. 

Di fronte a queste tendenze, riprendere la figura di Fortuna può essere utile per demistificare la presunta dicotomia tra diritti civili e sociali. Durante la prima lettura del progetto di legge sul divorzio alla Camera dei Deputati nel 1969, egli affermò come le battaglie per le libertà individuali fossero strettamente legate alla lotta sociale per l’emancipazione delle classi e dei gruppi subalterni e per la laicità dello Stato democratico, richiamandosi alla tradizione del socialismo italiano che, sin da Filippo Turati ed Anna Kuliscioff, aveva integrato e superato «i diritti dell’uomo» in un più ampio movimento che ambiva alla liberazione da tutti quei fattori socio-economici, politici e culturali che impedivano «il libero sviluppo della personalità.» In sede di analisi storica, queste poche testimonianze sono troppo frammentarie per ricostruire sistematicamente la complessità del percorso politico di Fortuna. Esse nondimeno mostrano come la matrice della sua azione fosse stata intrinsecamente socialista, in ciò parecchio diversa dalle estremizzazioni (spesso stereotipate) dell’attuale ideologia woke, le cui origini andrebbero invece rintracciate nel pensiero post-moderno, e che sono per molti aspetti compatibili con il paradigma neoliberista dominante. Riflettere in termini storici su Fortuna significa perciò anche interrogarsi su come riconciliare la lotta per i diritti individuali con quella per i diritti collettivi, ambedue surrettiziamente rimessi oggi pericolosamente in discussione. 

Michele Mioni
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Ricercatore presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, dove insegna storia contemporanea, e ricercatore associato presso l’Università Paris 1 Panthéon-Sorbonne. I suoi interessi di ricerca riguardano la storia delle politiche sociali e la storia del lavoro. Su Loris Fortuna, ha scritto il saggio “Il socialismo laico e libertario di Loris Fortuna e la stagione dei diritti civili in Italia”, pubblicato in I riformismi socialisti al tempo del centro-sinistra 1957-1976 (Roma: Viella, 2019), e la raccolta critica di discorsi parlamentari intitolata Loris Fortuna. Discorsi parlamentari nel cinquantesimo della legge sul divorzio, uscito sui “Quaderni del Circolo Rosselli” per Pacini Editore.

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