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Numero 30 | 14 Marzo 2025

corridoio ospedale

Piano Oncologico regionale, facciamo un punto.


Il dibattito sul Piano della Rete Oncologica del Friuli-Venezia Giulia si è infiammato nell’ultimo mese. Un atto di riorganizzazione atteso da decenni, necessario per ottimizzare e rendere omogenea la diagnosi e la terapia dei tumori nella nostra regione, con ricadute anche in termini di sicurezza per le persone malate e di controllo della spesa sanitaria. Non mancano, però, le criticità: sarà indispensabile un continuo monitoraggio (anche politico) nel tempo e una condivisione trasparente con i portatori di interesse, mentre andrà potenziato il rapporto tra l’ospedale e il territorio, oltre che il sistema informatico. Quando ci approcciamo a questi temi serve prima di tutto grande rispetto del lavoro di tutti e grande rispetto del tema in sé, perché stiamo parlando di uno dei nodi cruciali per il futuro di questa regione. È necessario che ciascuno si assuma una parte di responsabilità, anche in relazione al dibattito pubblico. A seguito dell’approvazione del piano nella Commissione consiliare regionale competente, è importante cercare di fare chiarezza sulle sue implicazioni. 

L’importanza dell’esperienza del chirurgo e della struttura

Il Piano della Rete Oncologica si inserisce in un contesto nazionale e internazionale che evidenzia la correlazione tra il volume di attività svolta e gli esiti di salute ottenuti. Numerosi studi hanno dimostrato che per molte procedure chirurgiche esiste una soglia minima di attività necessaria a garantire standard qualitativi ottimali. In Italia, questo principio ha portato all’adozione di indicatori specifici nel Programma Nazionale Esiti (PNE) e a soglie minime definite dal Decreto Ministeriale 70/2015. Ad esempio, per gli interventi di tumore alla mammella, il numero minimo è stato fissato a 150 operazioni annue per ospedale, mentre il Nuovo Sistema di Garanzia LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) ha stabilito la soglia a 135 interventi.

Un aspetto cruciale nella relazione volume/esito riguarda non solo il numero totale di interventi per ospedale, ma anche l’esperienza specifica dei singoli chirurghi. Studi recenti, tra cui una ricerca pubblicata su Nature nel 2024, hanno evidenziato che il numero di casi annui trattati da un chirurgo e l’esperienza maturata nel corso della carriera sono fattori determinanti nella qualità degli esiti, spesso più rilevanti del volume complessivo della struttura ospedaliera. In molte realtà italiane, si è riscontrato che il numero di interventi per singolo chirurgo è spesso disperso tra molti operatori, riducendo l’esperienza specifica di ciascun medico e, di conseguenza, la qualità delle cure.

Anche i singoli professionisti fanno però parte di un’equipe, guidata da un responsabile che dovendo essere il più esperto dovrebbe garantire la qualità dell’azione terapeutica nel suo complesso, in fase di diagnosi, terapia e follow-up postoperatorio. Quindi nelle decisioni è importante tener conto, oltre ai numeri di casi per operatore, anche della massa critica complessiva di cui si è fatta carico la singola struttura complessa, con valutazione degli esiti, non solo in termini di sopravvivenza ma anche di assistenza, infezioni, e necessità di ricoveri in terapia intensiva.

Il caso del Friuli-Venezia Giulia

A livello regionale, AGENAS (Agenzia Nazionale per i Servizi sanitari regionali) ha esteso questa valutazione a diversi tipi di tumori, tra cui quelli al polmone, prostata, utero, colon-retto, stomaco e pancreas. L’obiettivo è favorire una maggiore concentrazione della casistica chirurgica e promuovere la diffusione dei Gruppi Oncologici Multidisciplinari (GOM), che garantiscono un approccio integrato e specialistico alla cura.

L’analisi dei dati del PNE 2024 per il Friuli-Venezia Giulia ha permesso di valutare il numero di interventi per tumore al colon in ogni ospedale e il numero di chirurghi che hanno svolto il ruolo di primo operatore. I risultati evidenziano una significativa dispersione degli interventi in alcune strutture, con conseguenze potenzialmente negative sulla qualità delle cure. Gli ospedali di Udine e Pordenone registrano il maggior numero di interventi (125 e 89, rispettivamente), ma il numero di chirurghi coinvolti è elevato, riducendo l’esperienza specifica per operatore. Due chirurghi in regione superano i 30 interventi annui (Latisana e Pordenone), mentre tre si attestano tra i 20 e i 29 (Udine, CRO e Casa di Cura Città di Udine). La media di interventi per primo operatore varia significativamente: da 2,6 a Tolmezzo a 8,9 a Pordenone. Questi dati suggeriscono che la sola valutazione del volume di interventi per ospedale non è sufficiente a garantire standard di qualità ottimali. Una maggiore concentrazione delle casistiche chirurgiche su un numero limitato di operatori altamente specializzati potrebbe migliorare gli esiti clinici.

L’Accordo Stato-Regioni sul Piano Oncologico sottolinea che la definizione delle soglie minime deve tenere conto del contesto locale e delle evidenze scientifiche disponibili. Un’eccessiva frammentazione delle attività rischia di ridurre la qualità degli esiti assistenziali e di generare sprechi di risorse, mentre una concentrazione eccessiva potrebbe compromettere l’accessibilità ai servizi. In questo contesto, il Friuli-Venezia Giulia dovrebbe adottare una strategia basata su un’organizzazione a rete, evitando una semplice classificazione rigida degli ospedali in hub e spoke*. Un modello virtuoso potrebbe prevedere la creazione di centri di riferimento altamente specializzati per specifici tumori, la definizione chiara dei ruoli degli ospedali spoke, con un’integrazione strutturata con i centri hub, meccanismi di formazione e aggiornamento continuo per i chirurghi e l’adozione di sistemi di monitoraggio trasparenti per la valutazione delle performance.

Un aspetto spesso trascurato riguarda la possibilità per il paziente di scegliere consapevolmente il proprio percorso di cura. Sarebbe opportuno che le aziende sanitarie fornissero dati trasparenti sul numero di interventi eseguiti da ciascun ospedale e da ogni singolo chirurgo. Queste informazioni potrebbero essere integrate nei moduli di consenso informato, permettendo ai pazienti di valutare con maggiore consapevolezza la qualità dell’assistenza offerta.

E la politica?

Il Piano Oncologico del Friuli-Venezia Giulia deve affrontare sfide significative per garantire un equilibrio tra qualità delle cure, sostenibilità e accessibilità ai servizi. La concentrazione delle casistiche chirurgiche su un numero ristretto di specialisti, la riduzione della dispersione degli interventi all’interno delle strutture e una maggiore trasparenza nella comunicazione dei dati ai pazienti rappresentano elementi chiave per migliorare gli esiti oncologici nella regione. Una riorganizzazione efficace non deve limitarsi a una semplice redistribuzione dei volumi di attività, ma deve prevedere un modello di rete che valorizzi le competenze presenti sul territorio, garantendo un’assistenza oncologica di elevata qualità a tutti i cittadini. 

Nelle settimane scorse abbiamo letto e ascoltato varie prese di posizione in merito al Piano, compreso l’attacco del Presidente di Confindustria Alto Adriatico Michelangelo Agrusti al redattore del piano, dott. Fasola (si veda il comunicato a questo proposito del Patto di Udine). Riteniamo sia necessaria grande serietà e un approccio pacato a questo tema, che ha generato un dibattito evidentemente molto profondo, in grado di spaccare prima la maggioranza e poi in sede di voto l’opposizione. Si possono non condividere molte delle scelte fatte dall’Amministrazione Fedriga sui temi della sanità, ma non si può non condividere la necessità di procedere rapidamente all’approvazione e implementazione di un Piano oncologico che l’irresponsabilità degli ultimi vent’anni ha tenuto chiuso in un cassetto. Forse questo è l’ultimo tentativo di recuperare un servizio sanitario regionale che sia pubblico e che tuteli tutte le persone che abitano in questa regione. 

Esprimere una sostanziale condivisione però non significa non riconoscere che ci sono molti dubbi. Uno degli elementi che convince di più del piano è quando si descrive la necessità di garantire la prossimità della cura fino al giorno prima dell’operazione oncologica e dal giorno dopo, però è legittimo chiedersi come sarà possibile garantire quel tipo di servizio. Con il sistema così com’è oggi faremmo grande difficoltà a farlo, e questo è uno dei punti dirimenti, perché un conto è scrivere le cose sulla carta, un altro è metterle in pratica. Vi sono poi dei dubbi su come le singole aziende tradurranno questo piano sui territori, con quali competenze e quali professionalità, per le quali nel recente passato non hanno certo brillato. 

Infine la vera domanda che tutti coloro che hanno a cuore la sanità pubblica del Friuli-Venezia Giulia dovrebbero porsi non è come tutelare il sistema attuale, bensì cosa è necessario fare per tutelare il Servizio Sanitario Regionale del 2040, e quale sistema nel 2040 sarà sostenibile, con quali professionisti. 

Quali saranno i costi? Il bilancio regionale sarà in grado di sostenerli? Quale sarà la curva demografica e quali bisogni di salute si porterà dietro? Le uniche risposte può darle la scienza, perché le curve demografiche non le stabilisce la politica. Una partita come questa ha bisogno di un confronto permanente, come è stato nelle pagine migliori e più importanti di questa Regione, quando la classe politica è stata in grado di confrontarsi e maturare decisioni condivise. E di far sì che queste decisioni poi potessero nei territori trovare la loro applicazione. 

 

*L’hub & spoke nei servizi sanitari è un modello organizzativo caratterizzato dalla concentrazione dell’assistenza a elevata complessità in centri di eccellenza (centri “hub”) supportati da una rete di servizi (centri “spoke”) cui compete la selezione dei pazienti e il loro invio a centri di riferimento

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