
Sardegna ed energie rinnovabili, giochi di potere e mobilitazioni popolari, vantaggi per tutti o per pochi
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Per comprendere appieno ciò che sta accadendo in Sardegna in merito alla transizione energetica è necessario partire dal legame imprescindibile che ogni abitante dell’isola ha con la propria terra, che sia nato in campagna, in paese o in un grande centro.
Il paesaggio in Sardegna non è semplicemente una veduta da cartolina con i profili delle montagne, le querce, gli ulivi, la macchia mediterranea e il mare, esso è molto di più di un panorama da ammirare.
Si può affermare senza temere di essere smentiti, neanche da chi trascorre la propria vita nei popolosi quartieri cittadini, che l’ambiente in Sardegna sia una delle componenti della personalità che ogni abitante acquisisce fin dall’infanzia.
Perfino i sardi “adottati” percepiscono e sviluppano questo legame.
Questo primo dato che diremo irrazionale si aggiunge alla concreta consapevolezza, alimentata da un notevole flusso turistico attratto dalle bellezze naturali, che l’ambiente sia una risorsa economica la quale può ancora essere ulteriormente sviluppata verso mercati alternativi, in un mondo globalizzato in cui la natura sta perdendo per sempre i primitivi connotati.
Da queste considerazioni che qualsiasi abitante dell’isola è in grado di fare a prescindere dal grado di istruzione, parte la certezza che l’ondata dei nuovi progetti di parchi eolici e fotovoltaici (circa 800 depositati in regione) che si è abbattuta sull’isola non sia finalizzata al fabbisogno del territorio, ma sia piuttosto un’aggressione senza precedenti, paragonabile forse solo al selvaggio disboscamento attuato durante il Regno d’Italia sotto i Savoia, del quale però, considerate le condizioni sociali dell’epoca, si ha piena contezza solo ai giorni nostri.
Esso fu un’incetta di risorse boschive per farne carbone e traversine di ferrovia, che gli esperti odierni hanno paragonato in termini percentuali al depauperamento della foresta amazzonica.
Lo studioso Eliseo Spiga scriverà: ”lo stato italiano promosse e autorizzò nel cinquantennio tra il 1863 e il 1910 la distruzione di splendide e primordiali foreste per l’estensione incredibile di ben 586.000 ettari, circa un quarto dell’intera superficie della Sardegna, città comprese”. (*)
Insomma, la percezione diffusa è di un ennesimo comportamento predatorio che vede ancora una volta l’isola come una terra da cui portare via risorse.
Inoltre, contrariamente alle indicazioni europee che parlano di prossimità degli impianti alle relative zone di consumo, ovvero ogni territorio dovrebbe provvedere a sé stesso, la Sardegna, grazie o a causa della costante presenza delle due risorse di vento e sole, è stata individuata dalle multinazionali come la grande dinamo capace di produrre tanti gigawatt (si parla addirittura di 60 GW) da illuminare tutta l’Italia e forse anche qualche bella fetta d’Europa.
Tutto ciò in una regione, notare bene, che già produce più del proprio fabbisogno energetico ed esporta il surplus.
La bella notizia però è che in Sardegna in alternativa all’eolico, si stanno avviando progetti di comunità energetiche.
Di queste ultime, il paese Villanovaforru col suo sindaco Maurizio Onnis (il quale oramai rilascia consulenze perfino al politecnico di Milano) fa da capofila alla diffusione di queste valide alternative e soprattutto taglia le gambe alla critica diffusa che oramai addita i sardi di essere contro il “Green Deal”.
Una adesione senza precedenti
Fatta questa premessa doverosa, si può comprendere come da tutto ciò possa avere preso le mosse una partecipata protesta, così come non se ne vedevano da tempo, coagulatasi intorno alla proposta di legge di iniziativa popolare denominata “Pratobello 24“
( https://it.wikipedia.org/wiki/Rivolta_di_Pratobello ) e depositata in Consiglio Regionale il 2 ottobre 2024.
Oltre duecentodiecimila uomini e donne della Sardegna hanno firmato nei moduli messi a disposizione dai Comitati spontanei nati in tutta l’isola, dalla Gallura all’Iglesiente, che sarebbe come dire dalla terra delle vacanze VIP, la Costa Smeralda, alle zone minerarie del sud dell’isola.
Banchetti nelle piazze, nei circoli culturali, nei mercatini rionali, ma anche persone che si sono spontaneamente recate negli uffici elettorali dei comuni per firmare la proposta di legge laddove i comitati non potevano essere presenti.
In poche settimane si è decuplicato il numero minimo previsto delle firme – 10.000 – il quale già da solo avrebbe consentito di depositare presso il Consiglio regionale sardo una proposta di legge.L’intento di tale legge voleva essere quello di porre un freno alla speculazione selvaggia, con una regolamentazione articolata e ragionata, frutto del lavoro di esperti urbanisti, idrogeologi, giuristi, ingegneri energetici, rappresentanti di associazioni ambientaliste, sindaci dei territori interessati.
Un punto cruciale erano i criteri per l’individuazione delle “aree idonee”.
Inoltre nella proposta di legge si chiariva quali siano le competenze della regione in materia di urbanistica, quindi ciò che la Regione autonoma può decidere autonomamente e ciò che si può realizzare senza andare in conflitto con lo Stato con competenza concorrente in materia.
Da questi pochi punti citati (per un approfondimento rimandiamo al seguente link https://www.italiachecambia.org/2024/09/legge-di-pratobello-24-sardegna/) si evince come tale proposta di legge, non fosse un mero sbarramento ideologico alla speculazione, un “NO” senza alternative, al contrario, senza avere la presunzione di essere risolutiva, conteneva più che validi suggerimenti e strade percorribili.
Ma arriviamo al punto, la proposta di legge denominata “Pratobello 24” (la quale prende il nome da una rivolta popolare negli anni ’60 del secolo scorso ad opera delle donne di Orgosolo e dei suoi pastori, contro l’insediamento di una servitù militare che avrebbe sottratto alla comunità i migliori pascoli alti del territorio) raggiunge dunque la considerevole cifra di 210.720 firme.
Se si tiene conto che il corpo elettorale della Sardegna è di 1.447.753 votanti, di cui alle ultime regionali si è recato il 52% ovvero 757.598, per capire meglio cosa significa la cifra di 210.00 persone che vanno a firmare, cito un’osservazione dell’attivista Antonello Licheri:
- … basti dire che il sindacalista Landini a Cagliari all’ultimo sciopero programmato per il Jobs Act il 27 novembre, emozionato per la presenza di diecimila persone urlava felice dal palco “faremo la rivoluzione!”, ebbene mi domando, con 211.000 firme che si dovrebbe fare? –
Una risposta elusiva ed ambigua
Nonostante ciò, la presidente della Sardegna Alessandra Todde ha ritenuto di non dovere/volere accogliere la richiesta di una discussione d’urgenza in Consiglio Regionale, rimandando la proposta di legge al parere delle commissioni, che tradotto significa rallentarne l’iter, svuotarla di contenuti e trasformarla finché, per dirla come Emilio Lussu, in aula non arriverà che un gattino sfiancato al posto del leone che si era presentato.
Tralasciando la prepotenza e l’ignoranza istituzionale della governatrice la quale col suo comportamento ha di fatto esautorato il presidente del consiglio regionale (ma lui non se ne è adombrato troppo) avocando a sé poteri che non le competono e tralasciando l’ignavia di un’opposizione che fa solo finta di essere contrariata, ma rimane di fatto immobile nell’attesa di maturare i mesi necessari per avere il vitalizio scongiurando la caduta del governo regionale, continuiamo il racconto dicendo che in seguito al diniego della Todde, i comitati iniziavano un’occupazione degli spazi esterni del consiglio regionale culminata con un blitz dentro l’aula durante i lavori da parte di un gruppo di donne, mentre fuori altri intraprendeva anche lo sciopero della fame come l’avvocato Michele Zuddas.
Atti di resistenza questi, che accompagnavano quelli nelle campagne di Selargius e Uta (Campidano) in cui i Comitati resistevano piantando ulivi nelle aree destinate ai parchi eolici, spazzati poi via dai bulldozer.
In mezzo a tutto questo, sui quotidiani italiani e nelle reti TV nazionali, la presidente Todde si raccontava come la salvatrice della Sardegna grazie a una moratoria (già impugnata dal Governo) e grazie all’emanazione della legge sulle Aree Idonee per l’edificazione dei parchi eolici e fotovoltaici, in ossequio al decreto Pichetto Fratin che “invita“ ogni regione ad individuare i propri siti.
Una legge quella emanata dalla Todde, che a quanto pare, non impedisce di fatto la speculazione, bensì la governa, la normalizza, la rende infine “simpatica“ con l’annuncio di 700 milioni di euro per la realizzazione di parchi e comunità energetiche.
Una legge che peraltro lascia sulle spalle dei singoli sindaci e delle singole comunità l’ultima decisione, esponendoli di fatto alle “graziose offerte” delle multinazionali dell’energia.
Con contorsioni linguistiche infine che all’inizio sembrerebbero impedire, ma poi concedono, si permette di potenziare i parchi eolici esistenti. Come?
Per esempio non è consentito allargare il perimetro del parco sopraelevando le torri già esistenti (100 metri circa) e qui si potrebbe dire “scampato pericolo” ma – e qui viene il bello – si possono comunque edificare al suo interno nuove torri alte il doppio, quindi anziché 10 torri da cento metri, 5 da duecento metri di altezza.
Come ricorda il già citato Maurizio Onnis questa è una condizione “assolutamente inaccettabile e da combattere”.
La crisi politica ha bloccato tutto
Al momento, la situazione è di attesa, poiché è probabile che la legge emanata dalla Todde verrà impugnata dallo stesso Governo italiano.
Ma la vera domanda è un’altra: i Comitati hanno intercettato le legittime paure dei cittadini, ovvero l’incubo che una terra definita da Fabrizio De Andrè come “la più vicina al paradiso” diventi una selva di pale eoliche e distese fotovoltaiche, che cambieranno per sempre non solo l’aspetto del paesaggio, ma comporteranno anche alterazioni agli ecosistemi e un accumulo abnorme di materiali difficili da smaltire, senza alcuna garanzia di smantellamento alla dismissione degli impianti, ma ora questi comitati saranno capaci di tradurre la protesta in azione politica?
Qualche segnale in merito già si coglie, poichè proprio da quelle compagini arriverebbe la proposta di un referendum contro la legge elettorale sarda.
Finalmente qualcuno si è reso conto che il sistema elettorale regionale è la madre di tutti gli attuali problemi, quella legge così bipolare nell’incoraggiare assurde ammucchiate (o sei a destra o sei a sinistra) da essere essa stessa causa ed effetto di patologia politica.
Una legge elettorale che con i suoi assurdi sbarramenti (10% per le coalizioni, 5% per le singole sigle) impedisce ad ogni tornata elettorale la rappresentanza ad oltre sessantamila sardi che si rifiutano di intrupparsi nel bipolarismo italiano.
Una legge elettorale perfino peggiorativa del nazionale Rosatellum, la quale protegge e incoraggia l’esercizio della prepotenza da parte dei massimi esponenti, molti dei quali gravati dalla propria ignoranza e nanismo morale, hanno come unico progetto la conservazione del potere.
Lontana dal sentire comune, lontana dalle esigenze vere, tale classe politica non è più in grado neanche di intercettare il malumore dell’elettorato medio, quello stesso che sostiene il bipolarismo.
Una imperdonabile mancanza di lungimiranza che in politica si paga a caro prezzo.
(*) Per un approfondimento si rimanda al saggio “Colpi di scure e sensi di colpa” di Fiorenzo Caterini, Carlo Delfino Editore (https://www.carlodelfinoeditore.it/scheda-titolo.aspx?isbn=9788871387048).
Delegata EFA (European Free Alliance) in Sardegna, Vicepresidente Autonomie e Ambiente
- Silvia Lidia Fancellohttps://ilpassogiusto.eu/author/slfancello/