Skip to main content

Numero 34 | 9 maggio 2025

CPR Gradisca

Manifestare per la libertà- il 17 maggio a Gradisca contro i CPR


La manifestazione prenderà il via dalle ore 13.00 presso piazza Unità, il corteo partirà alle ore 14.00. Anche il Patto per l’Autonomia ha dato l’adesione.

Il 17 maggio il centro sinistra e diverse sigle tra sindacati, associazioni ed attivisti saranno a Gradisca d’Isonzo per chiedere la chiusura immediata del Centro di Permanenza per i Rimpatri. Lo faremo noi, come centro sinistra unito gradiscano, in nome della dignità umana, contro la normalizzazione dell’ingiustizia e dell’abuso istituzionale che i CPR rappresentano. Strutture nate per trattenere cittadini stranieri in attesa di espulsione, trasformatesi nel tempo in veri e propri dispositivi di tortura amministrativa, che umiliano e annientano ogni pretesa di diritto.

Negli ultimi dodici mesi il CPR di Gradisca d’Isonzo è stato attraversato da un’escalation di tensione e violenza. Il 15 settembre 2024 alcuni trattenuti hanno dato fuoco a materassi e coperte, lanciandoli contro i finanzieri in servizio. Il 7 ottobre, sei persone hanno tentato la fuga dal tetto della struttura: tre sono riuscite a scavalcare le recinzioni. Gli altri tre sono stati fermati. I sindacati di polizia, come il SIULP e la FSP, hanno denunciato pubblicamente la situazione: carenze croniche di personale, nessun rispetto dei protocolli di sicurezza, stress psicofisico estremo per chi lavora nel centro. Eppure, nessuna misura concreta è stata presa.

Non è solo una questione di ordine pubblico o di carenza di organico. La violenza esplode perché è endemica in strutture fondate sulla sospensione del diritto. Dentro il CPR di Gradisca, come negli altri d’Italia, si vive in condizioni disumane: finestre rotte, mancanza di riscaldamento, acqua calda assente per giorni, cibo scadente, assistenza medica carente, isolamento sistematico. I trattenuti, molti dei quali hanno alle spalle esperienze traumatiche, si trovano in un limbo giuridico che può durare fino a diciotto mesi. Per molti, l’unica via di fuga è il gesto estremo: ingoiare oggetti metallici per farsi ricoverare in ospedale, cucirsi la bocca, tentare il suicidio.

Non è questo l’ordine pubblico

Il rapporto della Commissione europea per la Prevenzione della Tortura, pubblicato nell’ottobre 2024, è impietoso. La CPT descrive condizioni strutturali degradanti, uso sistemico dell’isolamento, accesso medico fortemente limitato, assenza di garanzie procedurali effettive. La detenzione nei CPR, sostiene la Commissione, avviene spesso in violazione degli standard minimi di tutela della persona. Il nostro governo non ha fornito risposte all’altezza di queste gravi accuse. Del resto, non è un caso: i CPR non sono un incidente del sistema, ma uno dei suoi pilastri.

Il quadro normativo attuale è frutto di un processo iniziato con i cosiddetti “Decreti Sicurezza” di Salvini nel 2018 e 2019, che hanno abolito la protezione umanitaria e allargato la possibilità di trattenimento amministrativo. Ma è con il “Decreto Cutro”, convertito in legge nel maggio 2023, che si è raggiunto un nuovo livello di disumanizzazione. La legge 50/2023 ha esteso la durata massima del trattenimento nei CPR fino a 18 mesi. Ha introdotto nuovi CPR regionali, con la promessa di uno per ogni regione. Ha introdotto la possibilità per i richiedenti asilo sottoposti a procedura accelerata di frontiera di pagare una “garanzia finanziaria per evitare la detenzione”, misura inapplicabile per chi vive in povertà. E ha ulteriormente compresso i tempi per la richiesta di protezione internazionale, ostacolando il diritto alla difesa. Queste norme non colpiscono il crimine. Colpiscono la vulnerabilità. Colpiscono chi è già ai margini, rendendolo invisibile.

Anche le forze dell’ordine sono coinvolte in questo meccanismo perverso. I sindacati della polizia denunciano da mesi che i CPR non sono luoghi sicuri né per chi vi lavora né per chi vi è detenuto, eppure i loro appelli cadono nel vuoto. Perché in questo sistema tutti sono sacrificabili: migranti, operatori, poliziotti. La logica è quella dell’emergenza permanente, utile alla propaganda, inutile alla convivenza civile.

Ma il problema non è solo Gradisca. È l’esistenza stessa dei CPR. Sono luoghi di detenzione extragiudiziale, dove non valgono le stesse tutele riconosciute ai detenuti nelle carceri. Nessun reato, nessun processo, nessuna condanna. Solo la colpa di non avere i documenti giusti. Questa è la realtà giuridica in Italia oggi. Un Paese in cui i migranti possono essere privati della libertà fino a 18 mesi senza che un giudice abbia accertato alcuna responsabilità penale.

Il 17 maggio ci saremo anche per dare forza a un importante segnale politico: nei giorni scorsi, il Consiglio comunale di Gradisca d’Isonzo ha approvato la mozione presentata dalla lista civica “Borghi per la Fortezza” e sottoscritta dalla maggioranza tutta per chiedere la chiusura del Centro. Un atto determinante in questo periodo per dare un segnale alle istituzioni.

Chiudere il CPR 

La manifestazione del 17 maggio è promossa da Possibile, Rifondazione Comunista, Movimento 5 Stelle e dalla stessa lista civica Borghi per la Fortezza. Forze diverse, accomunate da un orizzonte comune: la difesa della dignità umana contro ogni forma di reclusione etnica, contro la logica dei muri e dei centri chiusi, contro un modello securitario che produce esclusione e sofferenza. Porteremo in piazza le voci di chi è stato rinchiuso, di chi ha denunciato, di chi lavora per costruire un’alternativa.

Saremo a Gradisca anche per ricordare le vittime, come Vakhtang Enukidze, morto nel 2020 all’interno di quel CPR, in circostanze mai chiarite. Per ogni nome dimenticato, per ogni grido silenziato, per ogni violazione nascosta dietro muri opachi, il nostro grido sarà: basta.

Chiudere i Centri per il rimpatrio non è un’utopia, è una necessità democratica. È il primo passo per restituire umanità a un sistema migratorio che ha smarrito la giustizia. È un atto di coraggio, ma anche di lucidità. Perché nessuna società può dirsi civile finché permette che esseri umani vengano rinchiusi e umiliati in nome della burocrazia. E nessun governo che produce norme del genere può dirsi davvero legittimo se non rispetta i diritti fondamentali.

Esistono alternative. In Belgio, Svezia, Germania e Paesi Bassi si sperimentano da anni modelli non detentivi, basati su accoglienza diffusa, accompagnamento legale, centri aperti e misure di fiducia, con risultati migliori in termini di gestione e rispetto dei diritti. Questo dimostra che un’altra strada è possibile: più umana, più efficace, meno costosa.

I CPR non sono inevitabili. Sono una scelta politica. E noi scegliamo un’altra strada.

Il 17 maggio porteremo nelle strade la nostra rabbia e la nostra speranza. Saremo lì per chi non può esserci, per chi è ancora rinchiuso, per chi ha perso la vita inseguendo la libertà. E lo faremo senza compromessi. Perché la dignità non si negozia. Si conquista.

Alessia Facchin
+ posts

30 anni, sono consigliera comunale eletta per la lista civica Borghi per la Fortezza a Gradisca d’Isonzo, e sono portavoce del partito Possibile per il Comitato di Gorizia.
Lavoro come addetta contabile e da tempo mi impegno nella difesa dei diritti e nella promozione della giustizia sociale.

Iscriviti alla newsletter de Il Passo Giusto per ricevere gli aggiornamenti