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Numero 28 | Febbraio 2025

fotovoltaico

Fotovoltaico a terra: la legge regionale arriva tardi, ma non tutti i buoi sono scappati


L’11 gennaio i media regionali hanno dato ampio risalto al progetto di costruzione di un impianto fotovoltaico a terra ad Aquileia.

Al di là della potenza installata, della superficie occupata, del raccordo sotterraneo alla cabina che passerebbe sotto una parte dell’abitato, lo sconcerto è dato dalla sua prossimità alle note aree archeologiche ed al conseguente impatto negativo sul rispetto dei beni archeologici e sulle ulteriori possibilità di ricerca storica in loco.

A reagire sono stati un po’ tutti, politici di opposizione ma non solo, il sindaco ed altri amministratori della zona, i responsabili a vario titolo della tutela e valorizzazione del sito di eccezionale rilievo storico, religioso e simbolico.

Vuoi vedere che, finalmente, il tema degli impianti fotovoltaici a terra e della regolamentazione e sviluppo delle energie rinnovabili diventa oggetto di dibattito non solo per gli addetti ai lavori e per le comunità più attente al proprio futuro?

La mancanza o l’incredibile ritardo di norme statali e regionali per individuare le aree per gli impianti industriali a terra da un lato, e dall’altro i ritardi e l’incredibile contradditorietà delle norme per far decollare le comunità energetiche, sono le due facce della stessa medaglia e fanno venire cattivi pensieri. Non solo per l’ottusità e la pigrizia di ceti politici incapaci di adeguarsi ai nuovi orizzonti del riscaldamento globale e della transizione energetica; non solo per i ritardi per eccesso di burocrazia o per la scarsa efficacia della sussidiarietà fra i livelli istituzionali nel governare questa come altre materie. Vien da pensare che ci sia chi, ben sapendo quali siano i ritorni economici delle energie rinnovabili, sia ben lieto di questa situazione e spera e magari opera perché si protragga il più possibile.

Mors tua, vita mea

C’è infatti un aspetto tecnico pratico molto poco conosciuto fra i non addetti ai lavori costituito dalla rete delle cabine elettriche di trasformazione e trasmissione, dove l’elettricità prodotta da fonti rinnovabili private può essere ricevuta e immessa nella rete elettrica nazionale.

Queste cabine, presenti in numero definito sul territorio, hanno oggi ormai una capacità di ricezione limitata e quindi, senza entrare in ulteriori dettagli tecnici, di fatto rappresentano il vero collo di bottiglia dell’avanzamento o meno della transizione energetica, condizionando, rallentando la reale possibilità di collegare un impianto alla rete per cui vale il principio che chi prima arriva meglio alloggia. Ogni kw accordato da ENEL a un grande impianto privato a terra è un kw potenzialmente rifiutato ad un piccolo/medio impianto su un tetto di casa o di capannone di una comunità energetica di cittadini, enti, istituzioni. E viceversa ovviamente.

Partendo da questo presupposto si comprende forse ancor meglio i motivi della corsa di grandi imprese, fondi di investimento ecc. ad acquisire terreni, presentare progetti, prelazionare e occupare il campo per impianti che, forse, non si faranno mai (si sappia che già ora non tutto l’autorizzato è in corso di realizzazione a conferma del valore soprattutto finanziario e preventivo di molte richieste), anche nella nostra regione dove solo da pochissimo è stato depositato il disegno di legge della Giunta con i criteri di individuazione delle aree idonee e non idonee per le autorizzazioni in materia. Disegno di legge che non sarà comunque discusso prima del 5 febbraio prossimo poiché tutti attendono la pronuncia del TAR del Lazio sui residui poteri di intervento delle Regioni in questa materia rispetto a quanto già previsto dalla legge dello Stato. 

Pensando male, si può capire il disinteresse dimostrato da chi governa a governare veramente la materia. Vien da dire, lasciandosi prendere da una botta di populismo, favorendo i poteri forti e lasciando le briciole delle opportunità alle comunità locali sia in termini di accesso all’autoproduzione e all’autoconsumo di energia elettrica (il cui costo continua a crescere…) che di accesso a entrate finanziare da poter gestire con finalità autodeterminate.

Non è possibile avere, al momento, numeri e valutazioni sulla condizione di saturazione e funzionalità della rete delle cabine, di cui pure Enel dovrebbe disporre, ma è certo che, talora, salgono ad oltre 800 i giorni di attesa per vedersi autorizzato l’allaccio in rete anche di un piccolo impianto residenziale; un tempo in grado di smontare qualsiasi buona intenzione a fare impianti.

La transizione energetica deve essere socialmente giusta

Ma quel che sta avvenendo in termini di reazione popolare è indicativo delle conseguenze di una cattiva politica, che anche in questo campo inedito finisce per sottostare alle solite regole dei pochi più forti contro i tanti, comuni, cittadini, piccole imprese, privi di poteri reali.

Può accadere quel che è già accaduto in Sardegna e che ci viene qui raccontato in altro articolo dalla vicepresidente della rete di Autonomie e Ambiente. Un grande movimento di opinione ed una mobilitazione che porta ad oltre 200mila firme per fermare i grandi impianti eolici e fotovoltaici, forse 800, le cui domande giacciono in attesa di autorizzazione. Un movimento che segnala certamente un grande rapporto delle comunità con i propri territori e la loro storia ma che, visto i tempi che corrono, può rischiare di essere giocato in partite di altro genere.

Partite che si svolgono fra sostenitori più o meno interessati a progetti economici che ruotano attorno alle fonti fossili oppure a quelle rinnovabili; partite legate ad orientamenti politici essendo evidente che ormai la destra politica è schierata quasi su ogni tema concreto contro la transizione energetica; partite culturali in senso lato fra chi ha già nostalgia di quel che fu e chi osa pensare al cambiamento necessario.

Illuminante su questi temi e conflitti nella loro scala sarda un articolo apparso su Qualenergia, nota ed autorevole rivista in materia, https://www.qualenergia.it/articoli/guerra-unione-sarda-contro-rinnovabili-per-metano/.

Ad oggi in Sardegna a seguito della dichiarazione di decadenza della presidente della Regione Todde dopo l’approvazione della legge regionale per l’individuazione delle aree idonee e per la semplificazione delle procedure autorizzative, tutto sembra sospeso. Ma il percorso di approvazione di questa legge è stato interno ad un dibattito e ad uno scontro che è stato ampio ed utile. Lo testimonia ad esempio il parere reso dal Consiglio delle autonomie locali della Sardegna (che pubblichiamo nella sezione Documenti (metti qui il link)) che offre spunti interessanti per trovare punti di equilibrio fra il fatto compiuto delle tante richieste presentate o già approvate di grandi impianti privati a terra e la potenzialità di una transizione energetica giusta e solidale, che è tale proprio perché consente alle comunità locali, cittadini, enti, associazioni, di contribuire al superamento della dipendenza dal fossile e di investire economicamente sul futuro proprio di comunità.

Non resta che esprimere l’auspicio ed impegnarsi direttamente affinché anche in Friuli-Venezia Giulia si esca dal tempo dell’autorizzazione a prescindere che la Giunta regionale ha protratto per scelta, e si possa governare al meglio questa partita trovando i modi per garantire il massimo spazio possibile alle comunità energetiche in costruzione, a quelle che verranno, ed alle tante possibilità insite nell’autonomia energetica da conquistare.

Elia Mioni
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