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Numero 30 | 14 Marzo 2025

Mangiare Biologico

Clima, agricoltura e cibo: il biologico ci dà una mano


Il rapporto tra cambiamento climatico e agricoltura si sviluppa su almeno tre livelli.

Da un lato l’agricoltura subisce gli effetti del cambiamento climatico ed è il primo settore produttivo ad averne percepito la portanza e la rapidità del cambiamento. Non si pensi solo agli eventi meteo estremi, quali  la grandine che devasta le colture, i tornado che sradicano impianti e serre, ma anche il più strisciante, e per molti anni ignorato dai più, incremento delle temperature o il cambiamento delle frequenze degli eventi piovosi.

Dall’altro lato, l’agricoltura è concausa dei cambiamenti climatici, nel senso che contribuisce alle emissioni di gas serra. Qui però bisogna precisare che non è tanto l’agricoltura quanto il sistema agro-alimentare che emette circa il 30% dei gas serra a livello mondiale. Ma la cosa è articolata e va spiegata meglio. L’agricoltura e l’allevamento che impattano sul clima sono quelli che si basano sulle risorse fossili, ovvero che utilizzano urea, nitrato ammonico, erbicidi e pesticidi di sintesi, che alimentano gli animali con le granelle che potremmo mangiare noi e che derivano dai terreni deforestati del sud del mondo, anzi, che vengono appositamente deforestati per far spazio agli allevamenti e alle monocolture di soia. I sistemi alimentari impattanti sono quelli a maggior presenza di prodotti zootecnici (non solo carne ma anche uova e latticini, sempre se figli dell’agricoltura fossile), che sprecano il 30% di ciò che viene prodotto e fanno viaggiare le derrate (scusate, ma difficile chiamare cibo quello che viaggia nelle navi cargo o in container, arriva a Marghera o a Rotterdam e da lì sale su migliaia di camion per raggiungere mangimifici, mulini e altre industrie) tra i continenti.

Attenzione quindi a non prendersela sempre solo e soltanto con le povere vacche: se stanno al pascolo e si nutrono di foraggi le emissioni si riducono di molto e possono pure arrivare ad un contributo positivo nell’assorbimento di gas serra. Lo stesso discorso vale per le pecore e pure per le capre. 

Inoltre alcune forme di agricoltura o alcune pratiche agricole contribuiscono alla mitigazione del cambiamento climatico perchè comportano lo stoccaggio di carbonio nel suolo e nel legno. Nessun altro sistema economico è in grado di mitigare il cambiamento climatico, consideriamolo!

Si tratta di tutte le pratiche di inerbimento, di copertura del suolo con i sovesci, di riforestazione e di agroforestazione, di riduzione delle lavorazioni del suolo ovvero quando non si arano i campi ma li si lavora il minimo indispensabile, seminando direttamente o comunque senza ribaltare il profilo (senza però l’utilizzo dei diserbanti!) e … i prati e i pascoli nonchè la coltivazione di tutte le foraggere. Tanto per dare una dimensione: un ettaro di pascolo (o di prato) può arrivare a stoccare tanto carbonio quanto un ettaro di bosco, lo fa sottoterra, nel suo estesissimo e massiccio sistema radicale. 

Le conferme dai report della Commissione Europea

Di questi temi si è parlato a Udine nel novembre scorso presso la Fondazione Friuli e a dicembre a Villa Manin, fil rouge l’agricoltura biologica, che proprio le pratiche di mitigazione già utilizza e che molto sta lavorando sulle pratiche di adattamento.  

Casuale, ma non proprio, il fatto che pochi giorni prima del 26 novembre sia stato pubblicato dalla Commissione Europea un report di valutazione sul potenziale di mitigazione delle diverse pratiche agricole economicamente sostenute dalla PAC 2023-27. 

Ebbene, il report di valutazione della Commissione ci mette ben chiaro su carta come i soldi meglio spesi della PAC, in termini di mitigazione, sono quelli relativi alle misura di diversificazione e rotazione  delle colture (28% del potenziale di mitigazione, ovvero di capacità di stoccare carbonio), quelli per migliorare la gestione del suolo con sovesci, inerbimenti et similia (29% del potenziale) e quelli per esplicitamente sostenere il biologico  (21% del potenziale). 

Da notare come il biologico includa anche pratiche di diversificazione e gestione della fertilità fisica e organica dei suoli, ovvero quelli degli altri due macrogruppi. Messa in milioni di tonnellate di CO2 equivalenti per anno e facendo una media tra misure e territori diversi, la conversione al biologico arriva a 6,57, che sono, appunto, i milioni di tonnellate di CO2 equivalenti per anno che il bio può stoccare rispetto alla conduzione convezionale. A questi si devono aggiungere i gas serra non emessi dall’agricoltura bio rispetto al convenzionale (proprio perchè non usa energia fossile sotto forma di fertilizzanti di origine petrolifera o fitofarmaci di sintesi o concentrati nella razione dei poligastrici)

Insomma, numeri chiari che ci dicono che se siamo seri nell’impegno ad evitare il peggio in termini di clima e vogliamo usare nel miglior modo i soldi pubblici della PAC, c’è poco da girarci attorno, lì vanno messi, dove lì sta per “biologico”!

Al consumatore far sapere…

Ancora un paio di sottolineature per i consumatori consapevoli:

  • che non tutta la zootecnia sia il male, lo abbiamo già spiegato sopra;
  • il cibo locale non è per forza amico dell’ambiente. Chiedete che cosa mangiano le indigene vacche, se c’è della farina di soia nel loro mangime è verosimile che provenga dall’altro lato dell’oceano e comunque, se coltivata qui, abbia beneficiato di urea e nitrati, nonchè erbicidi. Se invece le vacche mangiano erba, fieno, insilati d’erba… allora è un’altra partita!
  • non tutto il cibo vegetale è di per se buono per il clima, chiedete come e dove è stato coltivato e guardate bene quanti imballaggi ha.

Insomma, mangiare in amicizia con il clima non è semplice ma ce la si può fare, ben più complesso fare l’agricoltore amico del clima. Più semplice sarebbe fare il politico amico del clima ma l’unico buon esempio che mi viene è un po’ datato: l’ex ministro dell’agricoltura francese Stéphane Le Foll che alla COP 21 di Parigi, correva il 2015, propose qualcosa di semplice ma efficacissimo, la strategia del 4%°, ovvero incrementare del 4%° la sostanza organica di tutti i suoli e finanziare solo le pratiche agricole che vanno in tale senso. Oggi tutti i dati gli danno ragione ma… è andata diversamente e le soluzioni semplici ed “agricole” non scaldano i cuori quanto gli investimenti in tecnologia e grandi opere.

 

Per chi vuole leggere il report della Commissione per intero: 

https://agriculture.ec.europa.eu/common-agricultural-policy/cap-overview/cmef/sustainability/climate-change-mitigation-potential-csp-eu-18-2023-27_en

 

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