
Non è la vittoria del No se pol, ma quella del buon senso
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Ci sono episodi nella storia politica di una città o di un territorio che vanno ben oltre i contorni dell’episodio in sé, cambiando nella sostanza le sorti della comunità oltre che della vicenda specifica. Credo che l’ovovia di Trieste sia uno di questi episodi. Ma andiamo con ordine. Anzi, no: partiamo dalle buone notizie, che di questi tempi non abbondano!
La vittoria al TAR
Il Tribunale Amministrativo del Friuli Venezia Giulia ha accolto parte dei ricorsi presentati dalle e dai residenti e dalle associazioni ambientaliste. In particolare, è stata accolta la critica relativamente alla scarsa riduzione della CO2, che era stata adottata come motivazione per giustificare i “motivi di imperante interesse pubblico” che avrebbero consentito di derogare al divieto di costruzione in area Natura 2000.
Infatti, come probabilmente noto a chi ci legge e come avevamo già esposto nelle puntate precedenti (potete leggere gli articoli qui e qui), l’ovovia avrebbe disboscato Bosco Bovedo, Zona di Protezione Speciale e Area Natura 2000, il che ha comportato una Valutazione di Incidenza Ambientale di II livello negativa nonché la perdita del finanziamento PNRR a causa della mancata ottemperanza del criterio di non arrecare danni significativi all’ambiente. La costruzione di impianti a fune è vietata in tali zone, salvo motivi appunto di superiore interesse pubblico, riguardanti la salute o la sicurezza della popolazione, come confermato dal Ministero stesso.
Sembrava già allora la pietra tombale sul progetto, ma qui era entrata in gioco l’Azienda Sanitaria ASUGI che aveva prodotto un documento per la conferenza dei servizi in cui affermava che la riduzione del traffico veicolare che l’ovovia avrebbe [forse, ndr] comportato non poteva far del male alla cittadinanza, avvallando quindi le motivazioni legate alla salute. Un decisamente opinabile “se non fa male, fa bene”, per altro in assenza di studi epidemiologici.
Una riduzione del traffico, inizialmente calcolata sull’8% e poi ridimensionata, grazie all’encomiabile lavoro del compianto Prof. Fermeglia. Ed è proprio su questo che la sentenza del TAR incide maggiormente: una eventuale riduzione dell’1.3% del traffico veicolare non è un imperante interesse di ordine pubblico. Tutto da rifare dunque, con tutti gli atti e le delibere delle procedure ambientali, la VINCA regionale e la VAS comunale annullate, con tutti gli atti conseguenti, variante urbanistica inclusa.
È finita?
Non possiamo dire che non sentiremo più parlare di ovovia. Le strade, da parte delle amministrazioni regionale e comunale sono tre: la rinuncia al progetto, l’impugnazione al Consiglio di Stato, oppure riavviare gli iter. Per quanto riguarda l’ultima eventualità, la motivazione alla base dell’accoglimento delle sentenze davvero non si capisce come possa dare degli spiragli in tal senso. D’altra parte, un ulteriore ricorso al Consiglio di Stato ormai a ridosso delle elezioni, per un’opera così palesemente impopolare (il sondaggio de Il Piccolo aveva dato un netto 73% di NO) sarebbe un suicidio politico. Non solo, ma ci sono anche i ricorsi a Roma relativi al Decreto Salvini che assegnerebbe (a rate, in 8 anni) i fondi che sono stati persi dal PNRR. Resta la strada della rinuncia al progetto, che sarebbe l’unica di davvero buon senso e che impedirebbe ulteriori danni a carico della collettività. Buon senso che, tuttavia, le amministrazioni non hanno dimostrato nelle numerose occasioni che hanno avuto per porre fine a questa incresciosa vicenda.
Certo è assordante il silenzio totale di chi quest’opera l’ha sostenuta, in parole, opere o omissioni: Fedriga, Dipiazza, Scoccimarro, Amirante, Lodi, Bertoli, Babuder. Ma anche di un tecnico in particolare, il Responsabile Unico RUP del progetto, che in passato è stato molto loquace, anche in occasioni inopportune: ricordiamo la partecipazione a un evento politico in campagna elettorale, nonché a un evento della ditta affidataria dell’appalto che lui dovrebbe supervisionare, oltre alle numerose apparizioni in televisione al posto delle parti politiche. Un silenzio che non basterà a farci dimenticare le pesanti responsabilità che hanno portato a impensabili errori e forzature, a vere e proprie illegittimità. Il Comitato ha affermato che non ha intenzione di fermarsi qui, e noi continueremo a sostenerlo.
Non si decida di noi senza di noi
L’ovovia è sempre stata una battaglia emblematica per il Patto per l’Autonomia. Lo striscione di Adesso Trieste alla primissima manifestazione contro l’ovovia recitava “non sulle nostre teste”. È esattamente quello che troviamo inconcepibile di un certo modo di intendere il governo del territorio, ragionamenti che spesso contagiano anche alcuni rappresentanti politici al di fuori degli schieramenti di destra. Al di là di non ritenerlo giusto, ispirandoci ai valori dell’autonomia, dell’autodeterminazione dei territori, che è il fuoco che ha fatto nascere il Patto e che continua a guidare le nostre scelte, un’altra buona motivazione per evitare questo modo di amministrare è che semplicemente non funziona.
Perché il modello top down della conoscenza, e con esso quello dell’esercizio del potere, ha dimostrato di non essere in grado di affrontare le sfide attuali. Il territorio triestino, grazie a questa battaglia, non sarà mai più lo stesso. E ci auguriamo che possa costituire un esempio di organizzazione dal basso che contamini anche i territori continui. Flaubert affermava che non siano le perle a fare una collana, ma sia il filo. Ebbene, tessiamo questo filo, andiamo a cercare tutte le perle e conquistiamoci il futuro del nostro territorio.
Giulia Massolino, dottorata in ingegneria dell’energia e dell’ambiente, con master in comunicazione della scienza, economia blu sostenibile e studi di futuro. Da sempre attiva nell’associazionismo, dopo esser stata Consigliera comunale con Adesso Trieste, di cui è co-fondatrice, è attualmente eletta in Regione con il Patto per l’Autonomia.
- Giulia Massolinohttps://ilpassogiusto.eu/author/gmassolino/
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