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Numero 22 | 8 novembre 2024

estratta dalla presentazione del progetto
estratta dalla presentazione del progetto

Ovovia di Trieste: tutto e il contrario di tutto


Lunedì 24 giugno si è tenuta in Consiglio regionale l’audizione sul progetto dell’ovovia di Trieste (qui la registrazione completa). Su questo progetto, così come sul resto della mobilità, da chi ci amministra si sente dire tutto e il contrario di tutto. Manca una visione sistemica di un futuro migliore al quale ambire, a partire dalle scelte sugli investimenti per le infrastrutture di mobilità che ci dovrebbero garantire un diritto fondamentale del nostro vivere: il diritto a muoversi.

Un’ovovia nella città della bora

Farebbe ridere, se non fosse vero. Un progetto inutile, impattante e insostenibile ostinatamente portato avanti dal Comune di Trieste. Si tratta di 62 milioni di euro provenienti dal PNRR per un impianto che dovrebbe portare dal Molo IV a Opicina, distruggendo un bosco protetto Natura 2000 proprio mentre in EU viene approvata la Nature Restoration Law che le dovrebbe invece tutelare e ampliare. Un’opera che tra eventi climatici normali ed estremi e manutenzione ordinaria e straordinaria sarebbe più ferma che in movimento. E se consideriamo che in 8 anni la nostra Regione non è riuscita a far ripartire l’amato tram di Opicina, rischiamo che diventi un ingombrante scheletro, un orrendo ecomostro che deturperà per sempre lo splendido e paesaggio del ciglione carsico nonché quello – tutelato – dell’archeologia industriale del Porto Vecchio.

Sarà la Regione a coprire le perdite?

Un tema che dovrebbe interessare tutta la Regione, perché il deficit economico dell’ovovia diventerebbe facilmente un buco che drenerebbe annualmente ingenti finanziamenti regionali. Ma anche l’Italia tutta, perché, se dovessero realmente costruirla e se l’Unione europea, a consuntivo, dovesse ritenere che l’opera non abbia rispettato il principio chiave di non arrecare danno significativo all’ambiente (il famoso criterio DNSH che prevede che gli interventi PNRR non arrechino danni significativi all’ambiente), saremmo chiamati a restituire anche l’intero finanziamento iniziale. Oltre il danno, anche la beffa.

Quale obiettivo per le infrastrutture di trasporto: turismo o cittadinanza?

Chiaramente, il trasporto pubblico è sempre coperto da fondi pubblici, ed è giusto che così sia. Ma questo ha senso solo se è a servizio della collettività, e non del turismo. Infatti, sebbene il finanziamento sia stato acquisito come “trasporto pubblico di massa”, l’idea che ci sta dietro è ormai palese, e palesata anche da diverse dichiarazioni del primo cittadino Di Piazza (abbiamo provato a scherzarci qui). Ma c’è ben poco da scherzare, perché l’idea di svendere una città al turismo di massa mordi e fuggi, e di dedicare a chi lo pratica gli unici fondi considerevoli ricevuti dalla città in tema di mobilità negli ultimi decenni, è agghiacciante.

Trieste ha sete di tram

Non solo lo storico tram di Opicina, quella sì un’attrazione turistica di valore, rispettosa della nostra cultura e che con la sua unicità valorizza davvero il nostro territorio. Un tram che è fermo da 8 anni, e per il quale ancora non si prevede una data di riattivazione. E figurarsi se quest’amministrazione riuscirebbe a gestire un’ovovia costruita su un versante ad altissimo rischio idrogeologico (basta vedere la cronistoria delle frane in Strada del Friuli per rendersene conto).

Ma tralasciando il tram storico, Trieste vorrebbe anche un tram moderno. Efficiente, capiente, comodo, silenzioso, bello, senza barriere architettoniche, sicuro. Di quelli che vediamo in tutta Europa. Un tram che potrebbe veramente cambiare il paradigma della mobilità sugli assi chiave della città, da Barcola a Campo Marzio e dalla Stazione a Borgo San Sergio e Muggia, e in futuro potrebbe essere esteso anche fino a Koper, in un’ottica di cooperazione transfrontaliera. Un ritorno al ferro che aveva fatto la fortuna di Trieste e del suo Porto, e che infatti Zeno D’Agostino in questi anni ha ampiamente promosso per il traffico merci. Ne avevamo scritto, ancora nel 2020, agli albori della vicenda ovovia, in questo articolo elaborato dalle associazioni ambientaliste unite, a cui avevamo contribuito come Trieste Secolo Quarto, progetto precursore di Adesso Trieste.

Il Comune di Trieste è invece arrivato ad affermare che l’impatto visivo del tram in Porto Vecchio sarebbe peggiore di quello dell’ovovia, e il Sindaco afferma che “non vuole vedere tram che si trascinano stancamente per le Rive”.

L’ovovia come simbolo del contrario dell’autonomia

L’ovovia è anche il simbolo dell’esatto contrario dell’autonomia per come la intende il Patto: una scelta calata dall’alto, senza trasparenza e senza coinvolgimento della popolazione, che pur sta tentando di opporsi in tutti i modi. Si è infatti costituito un Comitato, che a sua volta si avvale di un Comitato tecnico-scientifico composto da esperte ed esperti di grande competenza. Il Comitato ha analizzato tutti gli atti, ha controdedotto gli stessi, ha presentato corpose osservazioni nelle sedi e nei momenti opportuni, ha provato a indire un referendum (il cui quesito è stato bocciato perché “di interesse sovralocale”), ha presentato numerosi ricorsi al TAR e ha raccolto 10.000 firme per il Parlamento europeo. A fronte di questa enorme mobilitazione, l’Amministrazione si è dimostrata sorda, capace solo di denigrare e sminuire le obiezioni portate, senza mai rispondere nel merito. Tutti i materiali prodotti dal Comitato NO ovovia si possono trovare qui.

Fatta la legge, trovato l’inganno

L’aspetto sconfortante è l’atteggiamento tipicamente italiano di trovare scappatoie a qualunque regolamento, normativa e decreto che si possa immaginare. Il divieto di costruire impianti a fune in area Natura 2000? Derogato per motivi di “salute pubblica”, con un discutibile parere ASUGI che suonava come “l’impianto dovrebbe calare le emissioni di CO2 da traffico, quindi non può far male”, senza alcuno studio epidemiologico a supporto. Il parere negativo dato dalla Regione sulla valutazione di incidenza ambientale di II livello? Nessun problema: facciamo delle compensazioni in un bosco nel comune di Dolina. Fino ad arrivare allo sgarro istituzionale relativo all’audizione tenutasi poco fa in Regione. La stessa era stata da noi richiesta il 20 febbraio e si sarebbe dovuta tenere da regolamento entro 13 giorni lavorativi. Era stata fissata per il 29 giugno, ma è saltata per impegni improrogabili dell’Assessore Scoccimarro a Roma. Lo stesso giorno, però, Scoccimarro convoca una seduta straordinaria di Giunta dove viene approvato proprio il III livello della VINCA. Nello stesso giorno, esce la sentenza del TAR, che dà ragione al Comitato sul fatto che le alternative all’ovovia non siano state valutate in fase di progetto. La Giunta Fedriga ha quindi dovuto ritirare la delibera nelle concitate giornate successive. Per poi approvarla nuovamente inserendo “imperanti motivi di interesse pubblico”. Quando ho ripercorso questa vicenda nell’introduzione dell’audizione infine riconvocata un mese dopo, con la VINCA ormai approvata, Scoccimarro ha derubricato le mie affermazioni a “stupidaggini”.

I giochi non sono chiusi

C’è un solo aspetto positivo in questa vicenda:  la grande attivazione, da oltre 3 anni e mezzo, dimostrata dalla cittadinanza. La partita è ancora aperta, e come Patto per l’Autonomia la giocheremo fino in fondo, a fianco del Comitato: per vincerla avremo ancora bisogno di una grande mobilitazione, e di mantenere alta l’attenzione, in attesa di chiedere conto delle responsabilità di chi ha incastrato il nostro territorio con questa follia, spendendo – già ora – ingenti risorse pubbliche.

Giulia Massolino

Giulia Massolino, dottorata in ingegneria dell’energia e dell’ambiente, con master in comunicazione della scienza, economia blu sostenibile e studi di futuro. Da sempre attiva nell’associazionismo, dopo esser stata Consigliera comunale con Adesso Trieste, di cui è co-fondatrice, è attualmente eletta in Regione con il Patto per l’Autonomia.

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