
Il TAR del Lazio colpisce ancora e ribalta il tavolo per la scelta delle aree idonee al fotovoltaico a terra
Chi troppo vuole, nulla stringe!
Questa pare la nemesi di una vicenda, quella sulle aree idonee e non idonee agli impianti fotovoltaici a terra, che da anni, troppi, sta tenendo banco nel mondo agricolo ed energetico.
Risale al 2003, la prima norma che indicava in quali aree, tra quelle agricole, potessero essere ubicati gli impianti (D. Lgs 238/2003 art. 12, c. 7) e, ad oggi, trascorsi 23 anni, lo Stato italiano e, a cascata, le Regioni, non hanno ancora saputo mettere in piedi una legislazione definitiva e ragionevolmente attenta a tutti gli interessi in gioco, che funzioni ed operi dando le certezze e le garanzie che un’operazione ciclopica, come è la transizione energetica, possa marciare col passo giusto e con i tempi (ormai urgenti) necessari a far fronte alle scadenze individuate e condivise.
Non stiamo qui a ripercorrere tutte le norme che nel frattempo si sono approvate (almeno una decina tra regionali e statali); resta il fatto, tutto politico, che una mal interpretata dannosità dei grandi impianti a terra, ha portato questo Governo a emanare nel 2024 due decreti sull’ammissibilità di tali impianti nelle aree agricole, l’uno opposto all’altro (e tanto basterebbe per mandare all’aria ogni buon proposito di normazione seria e coerente della materia).
La transizione energetica efficace e condivisa resta un miraggio
E quando le Regioni (la nostra in testa, purtroppo, una volta tanto), sollecitate fortemente dal mondo agricolo (Coldiretti in primis) che vede questi impianti come il fumo negli occhi, e cioè come un’indebita appropriazione di suolo agricolo, hanno legiferato appoggiandosi, come potevano, ai due decreti suddetti, è arrivato il fulmine a ciel sereno di una sentenza del TAR del Lazio che, testuale, “ annulla l’articolo 7, commi 2 e 3, del decreto ministeriale del 21 giugno 2024 nei termini esposti in motivazione, con obbligo, per le amministrazioni ministeriali resistenti ( e, a cascata, per le Regioni; nota dell’autore), di rieditare i criteri per la individuazione delle aree idonee e non idonee alla installazione di impianti a fonti rinnovabili” (TAR Lazio, Sent. 09155/2025 del 13.05.2025).
Il risultato, oggi, è un groviglio normativo che cimenterà non poco i giuridici della Pubblica amministrazione e gli avvocati delle parti imprenditoriali interessate, ma che, sostanzialmente, aprirà le porte a tutti gli impianti, dovunque e comunque.
La qual cosa, secondo chi scrive, avrà un effetto “double face”; da una parte gli imprenditori dell’energia, quasi sempre gruppi finanziari speculativi che nulla hanno a che vedere con il territorio, gioiranno perché la sentenza apre autostrade normative e procedurali agli impianti di grande taglia, ma che, va detto, sono oggi anche quelli che maggiormente trainano il processo di transizione visto che, su tutte le altre superfici, quelle che meno impatterebbero sulle campagne, come i tetti, le coperture, le aree aeroportuali, portuali, autostradali, militari, discariche, industriali, ecc.) non c’è straccio di norma che ne incentivi l’utilizzo ( a oggi, nella nostra Regione su solo il 12,83% dei tetti residenziali e il 6% di quelli non residenziali c’è un impianto fotovoltaico (v. Piano Energetico Regionale 2023 pagg. 224 e 226) il che la dice lunga sulle potenzialità a portata di mano…); dall’altra, verrà ad aggravarsi lo scontro tra amministrazioni regionale e comunali chiamate ad autorizzare e le popolazioni che non avranno “scudi” normativi che tutelino come meglio possibile, le migliori aree agricole e la diffusione degli impianti (sprawling energetico) vicino alle cabine primarie con maggiore disponibilità di potenza, che sembra ormai essere il principale criterio per scegliere le aree dove insediarsi.
Più facili le scelte più impattanti
In buona sostanza; in tutta questa faccenda delle aree idonee/non idonee si è sempre giocato di rimessa, nel tentativo di limitare questi impianti, inventandosi criteri “sartoriali” di idoneità/non idoneità non previsti (e, dice il TAR Lazio, non consentiti) quando, invece, se ne sarebbe dovuto cogliere le positività e le opportunità, anche agricole, individuando i migliori criteri di progettualità (progettazione ecologica), di inserimento nel territorio, di aumento della biodiversità, di tenuta dell’occupazione agricola, di favore per la partecipazione e condivisione, anche con forme innovative di azionariato e compartecipazione agli investimenti, di ricadute economiche, sociali ed ambientali a pro delle comunità locali sviluppando le Comunità energetiche rinnovabili. Vedasi, a tal proposito, l’interessante sintesi di Luigi Moccia dell’Istituto di Calcolo e Reti ad Alte Prestazioni del CNR
Così, chi troppo ha voluto (limitando le aree per gli impianti) adesso nulla raccoglie, ritrovandosi, almeno per un lungo periodo a venire, in un bailamme normativo dove sarà molto difficile per chi è chiamato a gestire i procedimenti autorizzativi, dettare, richiedere ed ottenere criteri realizzativi e compensativi di alto livello e con ricadute positive locali.

Referente per l’energia e le CER di Legambiente FVG, già ispettore forestale del Corpo forestale regionale.
- Emilio Gottardohttps://ilpassogiusto.eu/author/egottardo/
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