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Numero 42 | 26 settembre 2025

No alla chiusura dei consultori

Aborto, un diritto da difendere: tra consultori chiusi, obiezione di coscienza e la mobilitazione delle associazioni


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L’approvazione della legge 194 del 1978 ha rappresentato una conquista storica per i diritti delle donne in Italia. Non fu un punto di partenza, ma l’esito di anni di lotte, mobilitazioni e coraggio: dalle battaglie femministe per l’autodeterminazione, ai movimenti di piazza, fino ai referendum che sancirono la volontà popolare di garantire un aborto legale e sicuro. Prima di allora, l’interruzione volontaria di gravidanza era relegata alla clandestinità, con enormi rischi per la salute e la vita delle donne. La legge 194 ha riconosciuto finalmente che la maternità deve essere una scelta, non un destino imposto, aprendo una nuova stagione di libertà e diritti civili, ed eliminando il pericoloso, degradante e iniquo fenomeno dell’aborto clandestino.

Ma non è tempo di sedersi sugli allori e godersi i diritti ottenuti: le difficoltà di accesso all’interruzione volontaria di gravidanza restano una realtà concreta, aggravata dalla carenza di dati aggiornati, dalla chiusura di consultori e dalla presenza invasiva di associazioni antiabortiste all’interno delle strutture pubbliche.

In occasione della Giornata internazionale per l’aborto libero e sicuro, che si celebra il 28 settembre, vogliamo contribuire al dibattito su un tema che riguarda la libertà, la salute e i diritti fondamentali delle donne. Un diritto che va difeso dagli attacchi retrogradi e patriarcali che periodicamente cercano di ridimensionare la donna a un ruolo di incubatrice priva di libero arbitrio.

La campagna per l’aborto farmacologico senza ricovero

Quest’anno l’Associazione Luca Coscioni ha lanciato in tutta Italia una campagna per rendere finalmente esigibile l’aborto farmacologico senza ricovero. Infatti, le Linee di indirizzo ministeriali dal 2020 consentono di eseguire l’aborto farmacologico in ambulatorio o in consultorio, con la possibilità di prendere la seconda compressa a casa propria. Peccato che a distanza di 5 anni solo due Regioni, Lazio ed Emilia Romagna, abbiano recepito e applicato le indicazioni ministeriali. In tutte le altre regioni, inclusa la nostra fatta eccezione per il Burlo, la somministrazione della pillola RU486 continua a essere vincolata a ospedalizzazione, con percorsi complessi che scoraggiano le donne e ostacolano l’accesso a un diritto fondamentale, oltre a risultare in uno spreco di risorse economiche e professionali. Senza contare che un ricovero non necessario può comportare dei rischi per la salute.

È possibile firmare qui: https://www.associazionelucacoscioni.it/aborto-senza-ricovero

Consultori familiari sotto attacco

Certo, per poter abortire in consultorio bisognerebbe prima aver garantito l’accesso allo stesso. Invece lo smantellamento dei presidi sociosanitari di prossimità portato avanti con ostinazione dalla Giunta Fedriga ha coinvolto anche i consultori familiari, veri e propri presidi di salute territoriale e di prevenzione. Due anni fa Trieste ha visto chiudere due consultori su quattro, nonostante la tenace opposizione delle associazioni Non Una di Meno e il Comitato di Partecipazione per i Consultori Familiari. Una storia che non ha brillato per rispetto nei confronti della cittadinanza.

Noi abbiamo presentato interrogazioni, mozioni ed emendamenti, chiedendo invece più risorse, personale e una rete capillare, capace di sostenere non solo chi affronta una gravidanza indesiderata, ma anche le giovani, le famiglie, le coppie e le donne in tutte le fasi della vita.

La riduzione dei consultori, a cui Trieste probabilmente ha fatto solo da apripista, è un segnale grave: significa rendere sempre più difficile l’accesso all’informazione, alla contraccezione, all’interruzione di gravidanza, al sostegno psicologico, alla programmazione e gestione della nascita di un/una figlio/a, al supporto in caso di separazione, nonché rendere più difficili da intercettare i primi allarmi in caso di violenze, lasciando sole le donne in momenti di fragilità.

L’offensiva dei movimenti pro-vita

Parallelamente, in diverse regioni italiane i consultori sono stati aperti alle associazioni pro-vita, che entrano nei luoghi pubblici di cura con l’obiettivo esplicito di dissuadere le donne dall’interrompere una gravidanza. Anche qui, sempre a Trieste, proprio dopo la chiusura dei consultori ecco comparire all’improvviso un corso preparto pro-vita, con tanto di logo dell’ospedale materno-infantile Burlo Garofolo. Dove c’è una carenza istituzionale, ecco infiltrarsi movimenti ideologici e illiberali, che minano la libertà di scelta delle coppie. Un modello già applicato in Umbria e Marche, dove la cronaca ha documentato episodi di pressione indebita e un clima intimidatorio che contrasta con i principi della legge 194, la quale garantisce libertà di scelta e accompagnamento neutrale. Un diritto che per fortuna molte sono ancora pronte a difendere con ogni mezzo: è del luglio 2025 la notizia che in Piemonte il TAR ha chiuso la “stanza dell’ascolto” aperta dai movimenti Pro-Vita nell’ospedale pubblico di Torino.

Introdurre nei consultori o negli ospedali pubblici queste realtà significa snaturarne la funzione, trasformandoli in luoghi di colpevolizzazione anziché di sostegno.

Il nodo dell’obiezione di coscienza

A complicare ulteriormente il quadro, resta irrisolto il problema dell’obiezione di coscienza. In Friuli-Venezia Giulia i dati ufficiali sull’obiezione e sull’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza non sono pubblicati da quasi dieci anni. Per questo, nelle scorse settimane, ho presentato una richiesta di accesso agli atti: la cittadinanza ha il diritto di conoscere numeri e realtà di un servizio pubblico così cruciale. Senza trasparenza non c’è possibilità di monitorare né di migliorare l’effettiva applicazione della legge 194.

E se l’obiezione di coscienza di operatrici e operatori negli ospedali pubblici aveva oggettivamente un senso nel momento dell’introduzione della legge, per chi già vi fosse impiegato, a 47 anni di distanza si fatica a trovare la ratio del suo mantenimento, arrivando a paradossi come quello della farmacista triestina che per 12 anni si è rifiutata di vendere preservativi, diventata un caso nazionale. Ma si può arrivare anche a veri e propri casi di violenza ostetrica, fenomeno che non riguarda solo il parto e su cui finalmente si sta iniziando ad aprire un dibattito, grazie al coraggio di tante donne nel denunciare trattamenti inumani e degradanti.

Un diritto da riaffermare ogni giorno

Il diritto all’aborto in Italia non è un diritto pienamente garantito: è un diritto a ostacoli, troppo spesso rimesso alla buona volontà delle singole operatrici e operatori, alla geografia dei servizi, alla resistenza delle associazioni.

La legge 194 va difesa e resa realmente applicabile: significa consultori aperti e accessibili, aborto farmacologico senza ricovero, personale formato e numeri trasparent.

iIl corpo delle donne non è terreno di scontro politico né strumento di propaganda ideologica. È libertà, dignità, autodeterminazione. E va rispettato sempre.

Giulia Massolino
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Giulia Massolino, dottorata in ingegneria dell’energia e dell’ambiente, con master in comunicazione della scienza, economia blu sostenibile e studi di futuro. Da sempre attiva nell’associazionismo, dopo esser stata Consigliera comunale con Adesso Trieste, di cui è co-fondatrice, è attualmente eletta in Regione con il Patto per l’Autonomia.

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