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Numero 42 | 26 settembre 2025

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Alpini nella Resistenza: dal mito alla storia


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La questione fondamentale sull’utilità e la rilevanza di un convegno o di una giornata di studi trova una risposta semplice, forse persino banale, nell’interesse che essa riesce a generare. L’evento tenutosi il 13 settembre a Treppo Ligosullo, presso la suggestiva Galleria De Cillia, ne è un esempio eloquente. L’iniziativa, organizzata dalla Sezione Anpi Val But e dall’Associazione Giorgio Ferigo, ha beneficiato del sostegno e della collaborazione di vari enti, tra cui i Comuni di Treppo Ligosullo, Paluzza e Tolmezzo, l’Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione, la Fondazione Nuto Revelli, la SPI Cgil, la Secab e la Comunità Montana della Carnia.

Il titolo dell’incontro, Alpini nella Resistenza (1943-45). Casi e prospettive di studio nelle Alpi italiane, desta curiosità ben prima di addentrarsi nei contenuti specifici degli interventi. Infatti, il “mito alpino”, nell’immaginario comune, è tradizionalmente e fortemente associato ad altri momenti storici: le trincee e l’eroismo della prima guerra mondiale, la campagna italiana di Russia, l’attività umanitaria nel secondo dopoguerra, che – per il Friuli – trova un momento identificativo nel periodo del post-sisma del 1976. Un immaginario che anche ai giorni nostri vede tale figura ancorata al binomio dell’impegno volontaristico-solidale e della funzione militare (che si vuole tale anche nel contesto esteso delle adunate). In pochi, parlando di “penne nere”, penserebbero quindi alla Resistenza; la memoria collettiva ricorda altro e la ricostruzione del ruolo cruciale degli Alpini nel Movimento di Liberazione rimane spesso confinato agli addetti ai lavori e ai ricercatori.

Alpini Ribelli

Il 26 gennaio scorso a Varese (nella terza “Giornata Nazionale della Memoria e del Sacrificio degli Alpini”, coincidente con l’anniversario della battaglia di Nikolajewka), è stata l’ANA nazionale ad aprire una breccia su questa silenziosa rimozione, organizzando il convegno Alpini Ribelli. Le Penne Nere nella Resistenza. 1943-1945, da cui è nato l’omonimo volume – edito da Mursia – che ne raccoglie gli atti. Un’opera che ha avuto il pregio di indicare una strada possibile per un percorso che rimane comunque ampio e articolato.

I sette relatori intervenuti al convegno di Treppo Ligosullo si sono assunti il compito di contribuire alla riduzione di questo vuoto storiografico, di fare chiarezza e di superare gli stereotipi più radicati, tracciando nuovi percorsi di ricerca. Che si trattasse di approcci più narrativi, focalizzati sulle biografie, o di analisi più statistiche e quantitative, l’obiettivo comune era chiarire il peso storico di un dato: quello degli Alpini che aderirono con convinzione e con sacrificio alla lotta di Liberazione.

Un aspetto che, a tutt’oggi, non risulta ancora perfettamente messo a fuoco nel grande affresco della storia italiana. Non mancano certo i profili di Alpini che, operando come autonomi, osovani o garibaldini, hanno offerto un contributo fondamentale alla Liberazione dal nazifascismo. Le loro gesta, tuttavia, sono state sovente raccontate e assorbite all’interno della narrazione delle brigate partigiane di appartenenza, anziché essere studiate e valorizzate come parte di un’esperienza specifica di un corpo militare. La scelta compiuta da questi uomini dopo l’Armistizio dell’8 settembre 1943 fu radicale e drammatica, un bivio esistenziale, in alcuni casi anche per ciò che concerne il frangente politico. Purtroppo, dopo l’iniziale attenzione a questo momento di rottura, le loro vicende sono state velocemente inglobate in una narrazione più ampia e onnicomprensiva.

Riscoprire la Storia e le storie

Andrea Zannini ha opportunamente riportato alla luce figure che hanno lasciato un’impronta fondamentale in Friuli Venezia Giulia, sia durante che dopo la guerra di Liberazione, in una visione che intreccia strettamente storia e memoria. Nomi come Paolo Del Din “Renato”, il primo caduto partigiano in Carnia, o figure chiave come Pietro Maset “Maso”, Mario Candotti “Barbatoni” e Ciro Nigris “Marco”, sono emblematici. Questi Alpini portarono nel movimento resistenziale una stabilità, una competenza e un concetto di Resistenza fondato sulla pratica militare e sull’organizzazione tecnica, ponendole al servizio di quello che a tutti gli effetti era diventato un esercito di popolo.

I fatti che coinvolgono questi protagonisti locali presentano inoltre profonde somiglianze con quella più nota a livello nazionale, Nuto Revelli, magistralmente raccontata dal figlio Marco. Revelli una volta conclusa la guerra, tradusse il suo impegno per la pace attraverso la scrittura e un antifascismo militante, rivolto soprattutto agli ultimi della storia e alle popolazioni montane dimenticate.

Le ricerche presentate da Diego Cason e Francesco Tessarolo hanno ulteriormente arricchito il quadro. Cason si è concentrato sull’apporto organizzativo fondamentale degli Alpini aderenti alla Divisione partigiana Belluno, evidenziando come la loro professionalità abbia strutturato in modo efficace l’azione di guerriglia. Tessarolo, invece, ha illustrato gli intrecci biografici, accomunati dalla medesima scelta antifascista, che collegavano la montagna alla pianura veneta e univano alpini divenuti partigiani per slancio ideologico come per istanza patriottica prima che partitica.

Le Alpi e gli Alpini al confine occidentale

Un approccio metodologico diverso, ma altrettanto prezioso, è emerso con lo studio statistico presentato da Enrico Pagano. Il suo lavoro ha avuto il pregio di valorizzare le preziose fonti archivistiche delle qualifiche partigiane che, pur non essendo sempre di precisione assoluta, offrono una panoramica essenziale. Nel caso specifico del Biellese, Vercellese e Valsesia, Pagano ha tracciato un affondo mirato sull’apporto circoscritto e specifico degli Alpini nella Resistenza, utilizzando dati anagrafici fondamentali per una descrizione di massima del contesto: origine, residenza, qualifiche, tempi di adesione, orientamento politico e distribuzione nelle zone operative. L’analisi non si è soffermata unicamente sulle singole storie individuali, ma ha tracciato un contesto d’insieme che permette di formulare categorie interpretative a peso universale.

Tali tipologie, tuttavia, si sviluppano lungo sentieri diversi quando si analizzano le complesse zone di frontiera multiculturali. Se si è discusso molto sul confine italo-jugoslavo e delle drammatiche questioni annesse, meno clamore ha suscitato a livello nazionale la dinamica sul confine italo-francese. Ma anche questa frontiera fu profondamente influenzata da posizioni ideologiche e annessionistiche che coinvolsero attivamente i partigiani, compresi gli Alpini, come ha ricordato Alessandro Celi. Da una parte all’altra dell’Italia, elementi comuni e differenze regionali, lungo l’intero arco alpino da ovest a est, collegano e al contempo arricchiscono l’articolata trama della storia.

A tenere un filo conduttore sulle diverse casistiche presentate nel corso del convegno è stato l’intervento di Filippo Masina che con un’esposizione chiara ed esaustiva ha tratteggiato l’apporto fondamentale della storiografia. La narrazione del “mito alpino” è stata uniformemente orientata dall’Associazione nazionale Alpini che, soprattutto nell’intento di superare i traumi e le profonde divisioni del secondo conflitto mondiale, ha operato scelte precise. L’obiettivo era lenire le ferite del periodo 1940-1943 (il fronte) e, ancor più, quelle del 1943-1945 (la guerra civile e la Resistenza). Dopo un breve intervallo di riconoscimento e celebrazione delle azioni resistenziali tra il 1945 e il 1948, l’Ana ha preferito abbandonare il ricordo del periodo resistenziale. Questa decisione fu influenzata dalla necessità di privilegiare un modello più solido, apparentemente più gestibile e unificante, quello della Prima guerra mondiale, riconosciuto come un momento di coesione nazionale incontestabile. Attraverso questo percorso di cernita, è più facile comprendere le influenze, le memorie selettive e gli stereotipi ancora molto radicati sulla storia degli Alpini.  Oltrepassando una narrazione consolidata, convenzionale e spesso cristallizzata, gli approfondimenti offerti da questo convegno (dove non sono mancati i rimandi alle divisioni/reparti/reggimenti alpini/e incardinate nella repubblica di Salò) hanno permesso di cogliere molte delle sfumature e dei differenti approcci con cui ci si può avvicinare alla conoscenza della storia, oltre che offrire concreti esempi di metodo.

Alpini nella Resistenza: dal mito alla storia
Alpini nella Resistenza: dal mito alla storia
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Laureata in Filosofia all'Università di Padova ha poi conseguito il Master in Formazione, gestione, conservazione di archivi digitali in ambito pubblico e privato all'Università di Macerata. Si interessa di storia della Resistenza e di archivi del Novecento. Suoi recenti contributi sono stati pubblicati nei volumi Scarpe rotte eppur bisogna andar. Una storia della Resistenza in 30 oggetti, a cura di Paola E. Boccalatte e Mirco Carrattieri (Milano, Biblion Edizioni, 2024) e Rimuoviamo la polvere. Per una storia della Commissione Pari Opportunità di Udine attraverso il suo Archivio (Udine, Comune di Udine – Commissione pari opportunità tra uomo e donna, 2024), e nella rivista "Storia contemporanea in Friuli" a. LIII, n. 54, 2024.

Nato a Salino di Paularo, 1979, storico di formazione, autore di studi e ricerche sulle vicende socio-politiche delle comunità alpine nella prima metà del '900, con particolare attenzione alla storia della montagna friulana. Già cooperatore sociale, attualmente attivo nell'ambito della grave marginazione adulta

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