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Numero 42 | 26 settembre 2025

Aree interne

Aree Interne: anche per la CEI si deve guardarle con altri occhi per progettare futuri di qualità


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I Vescovi a Benevento hanno esortato le istituzioni a definire impegni comuni e nuovi percorsi necessari per assicurare vitalità alle comunità e costruire un avvenire alle aree interne e montane del Paese. 

Un messaggio del tutto “politico” nella versione più alta del termine che intravvede nell’abbandono di queste aree, nella fuga dei giovani, perdita di economie di prossimità e industriali e nel cambiamento climatico le principali sfide che sollecitano una condivisione e reciprocità fra i soggetti pubblici e privati, reti associative e società civile. Si tratta di un richiamo autorevole e accorato che si rivolge ai credenti e non credenti chiamati a raggiungere futuri possibili e desiderabili. 

Al fondo, la riflessione della CEI mette di fronte due modi per affrontare le questioni critiche: o considerare le avversità eventi a cui, in qualche modo, porre qualche rimedio, oppure occasioni per cambiare paradigmi e ri-progettare uno sviluppo armonico. Ecco, suggerisce la seconda strada, quella più creativa e generosa, quella destinata a “riaprire dei possibili” per dirla con François Jullien.

Proprio i fenomeni che attraversano le terre alte e gli effetti complessi determinati dalle interdipendenze richiedono alleanze tra territori. Se si vogliono gestire bene i servizi ecosistemici prodotti in montagna e l’acqua, è urgente una relazione con la pianura e le città. La pianura non è “altro” rispetto ai processi in corso e lascia stupiti come interi territori friulani non ritengano di operare assieme nel governo dei patrimoni naturali specie della risorsa idrica, malgrado la ricerca assillante di fonti di approvvigionamento necessarie per la quotidianità e sostenere le produzioni come l’agricoltura.

Costruire alleanze tra territori

Serve un unico sguardo territoriale poiché sono medesimi i destini. In questo senso, vi è bisogno di una “strategia metromontana ed un “forum di consultazione e concertazione”: un patto per il futuro tra l’alto e il basso che permetta il buongoverno dei capitali territoriali e alimenti il confronto su demografia, clima e innovazione.

Questa impostazione comporta una revisione delle modalità attraverso cui in montagna si pensano e progettano le soluzioni nei vari ambiti di attività. Va superata un’impostazione ancora troppo spesso legata ai confini amministrativi dove si assiste al prevalere del carattere “autonomo” delle iniziative intraprese, sia in termini di visione sia di progetto. Come se i fenomeni strutturali richiedessero di essere rinchiusi in spazi preordinati. La complessità impone approcci ecosistemici e multiscalari. Per far restare le persone, far arrivare famiglie e imprese e per far ritornare i giovani e le donne servono policy integrate e la fiscalità di vantaggio che dichiarino, tra l’altro, quali impatti principali e secondari si propongono di determinare.

La montagna non è solo arrivi e turismi transitori. Una montagna vitale ha la necessità di radicare la dimensione produttiva e manifatturiera, costruire veri e propri ecosistemi dell’innovazione e di rendere virtuose le relazioni tra ‘arte-creatività-manifattura’ incentrate sul sapere e sapere fare. Si tratta di fattori fondamentali che assicurano forza ai sistemi e che, tuttavia, non fanno parte integrante delle direttrici dello sviluppo alla scala regionale. Queste leve accompagnate dal fattore di fiducia rappresentato dal flusso di 1.200 persone che nel corso dell’ultimo triennio, seppur nel contesto della regressione, si sono insediate nei 58 Comuni montani regionali concorrono a far fuoriuscire questi territori dalla “trappola per lo sviluppo”, da quella impossibilità di colmare i divari e generare opportunità, e realizzare le  “condizioni giuste” che permettano ai giovani e donne nati qui di non “spezzare le radici”, avendo la libertà di allontanarsi ma senza che questa sia l’unica possibilità di futuro e mantenendo sempre la libertà e la possibilità concreta di ritornare.

Spes contra spem. La speranza contro la speranza. Gli scenari previsti per il prossimo decennio sono piuttosto controversi e critici. Ma, come indica la CEI, non vi è altra strada che la responsabilità di coltivare ed assicurare struttura ai “possibili” e credere nelle relazioni tra comunità ed imprese. Un modo per intraprendere, malgrado circostanze sfavorevoli e inique, quel percorso di sviluppo armonico che comporta benefici per tutti.

Piano Strategico per le Aree Interne, CEI

Scarica e consulta la Lettera aperta al Governo e al Parlamento, sottoscritta a conclusione dell’annuale convegno dei Vescovi delle Aree interne.
Maurizio Ionico autore
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Urbanista, ricercatore. Amministratore Unico di Melius srl – impresa sociale

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