
Tra il luogo e il mondo: la trasformazione delle catene del valore e gli impatti sulla nostra economia ed i sistemi territoriali.
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Viviamo uno straordinario e discutibile paradosso: mentre il mondo della produzione alla scala globale si sta radicalmente trasformando, non esiste una politica industriale promossa dal Governo centrale e dalla Regione malgrado intere componenti della nostra produzione (automotive, arredamento, sportsystem) siano fortemente interconnesse alle catene del valore globali e risentano dei forti processi di cambiamento in corso.
Paradossi rappresentati dalla leggerezza e disincanto con cui i due responsabili della politica industriale (Urso, Bini) si occupano dei caratteri che dovrà assumere il “made in Italy del nuovo millennio”, con il connesso “scippo identitario” cioè per un verso l’acquisizione di notevoli brand e campioni nazionali perpetrato dalle imprese straniere, e per l’altro la specializzazione monofunzionale turistica noncuranti, val la pena di ricordare, degli stessi fenomeni strutturali che stanno attraversando produzione e territori come il cambiamento climatico.
A queste dinamiche si aggiungono gli effetti sull’approvvigionamento delle materie prime e sull’invio di beni fini e semilavorati attraverso il trasporto marittimo, talmente condizionato dalla difficoltà di accessibilità del canale di Suez che determina un aumento dei costi finale, incidendo con ciò sulla competitività delle nostre imprese e sul costo finale dei beni ai consumatori.
L’Istat ha ben registrato gli impatti alla scala nazionale sottolineando come la produzione industriale è diminuita del 3,6% rispetto al periodo precedente sotto la spinta del crollo al 40% dell’auto, con l’indice della produzione del settore ridimensionato da 120,8 a 72,1 su base annua. Ed è da registrare negativamente la flessione fatta registrare dal comparto fabbricazione di mezzi di trasporto (-16,4%) dove l’Italia ha oramai definitivamente abdicato ad una delle sue principali filiere produttive, dopo che questo processo ha coinvolto quella del “bianco”. Quanto al comparto ‘legno – arredamento’, è diminuito in Italia del 14,3% (2023 vs 2022) e quello specifico dei mobili del 4,7% con un fatturato di filiera che è passato da 57,3 mld di € a 52,6 mld € (-8,1%).
Come un battito d’ali di una farfalla in Germania può causare…
Riguardo l’automotive è tutto un susseguirsi di effetti domino: dalla Volkswagen, con la chiusura di 3 grandi impianti in Germania, all’Audi, con la riduzione delle capacità produttive degli stabilimenti situati in Belgio; dal fallimento di colossi come la Gerhardi Kunststofftechnik GmbH, che si occupa di componenti auto, e alla compressione di grandi imprese come la Iwis Mechatronics. Senza contare gli impatti che stanno subendo imprese come Bosch e Schaeffler.
Sono in corso consistenti licenziamenti nei paesi di origine delle principali produzioni automotive (Germania in primis) e, di riflesso, le ricadute locali sui sistemi produttivi interconnessi rischiano di essere altrettanto rilevanti. I nomi dei grandi gruppi appena citati atti non sono quindi “altro” rispetto a noi: sono in realtà elementi costitutivi tra loro integrati ed interdipendenti. Se si vendono meno veicoli vi è meno bisogno di componenti provocando conseguenze radicali per il complesso dell’indotto automotive.
In Friuli Venezia Giulia sono insediate imprese quali, ad esempio, Bosch (Udine) e Automotive Lighting (Tolmezzo), coinvolta dalla ridiscussione di parti di commesse (Ferrari, Mercedes, Ford, Opel, Audi, BMW, Porsche, Volvo).
Riguardo il comparto ‘legno – arredamento’, gli effetti dati dalla contrazione dei mercati di consumo, anzitutto europeo e statunitense, sono piuttosto sensibili con un calo dell’export superiore al 20% per la componente del legno e al 10% per quello del mobile.
Si tratta di una filiera rilevante per l’economia locale con un tessuto produttivo diffuso e radicato che vive una fase di transizione che va sostenuta e accompagnata.
All’interno di questo scenario è utile sottolineare come nel decennio sono scomparse 10.000 imprese operanti nelle diverse articolazioni settoriali (pari all’11,4% del patrimonio produttivo) che pur non alterando le capacità di creazione di posti di lavoro hanno reso più deprimente l’offerta commerciale e artigianale di prossimità specie nei paesi di pianura e nelle aree montane, cui oggi si aggiunge la seria frenata nella formazione del Pil e nell’export (19,1 mld € con una flessione del 13% rispetto l’anno precedente).
Un piano per il lavoro, l’innovazione e il clima
Non serve solo “alzare lo sguardo” per leggere il mondo. E certamente è un esercizio assai poco praticato da quanti hanno responsabilità di governo. Appare essenziale darsi nel contempo una prospettiva industriale e manifatturiera sapendo anticipare e reagire ai fenomeni regressivi e, contemporaneamente, immaginare un nuovo modello di produzione fondato sulla qualità anziché sulla quantità e sulla circolarità delle produzioni quale fattore di competitività.
Questa proiezione non richiede solo l’affermarsi di una strategia delle competenze e di portare a compimento le due transizioni, quella ecologica e digitale. In quest’ultimo caso verso Industry 4.0 e la smart manufacturing che permettono la produzione intelligente data dall’integrazione di tecnologie avanzate nel processo produttivo (analisi dei dati, robotica, apprendimento automatico, IoT, Ai), ambiti in cui si assiste ad una asimmetria tra un ristretto gruppo di imprese già posizionate su questo versante e larga parte del patrimonio produttivo regionale che registra estraneità, lentezze e ritardi di adeguamento. Sollecita le imprese ad assumere una altrettanto più elevata responsabilità sociale nei confronti dei lavoratori, delle comunità in cui sono insediate e del contesto naturale (Industry 5.0, welfare territoriale).
Attraverso un “Piano per il lavoro, l’innovazione e il clima” è possibile affrontare la ricostruzione del modello, progettare e attuare un programma integrato di accelerazione, stabile e duraturo, verso nuovi paradigmi.
E’ colpevole quindi che una finanziaria da 6.3 mld di € non si sia occupata dei nuovi termini di connessione tra il luogo e il mondo e di attrezzare il sistema (istituzioni, comunità, imprese) per affrontare la trasformazione delle catene del valore anticipando e gestendo gli impatti sulla nostra economia e sistemi territoriali.
Urbanista, ricercatore.
- Maurizio Ionicohttps://ilpassogiusto.eu/author/mionico/
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