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Numero 42 | 26 settembre 2025

slovenia

Slovenia ai referendum su spese militari e associazione alla Nato


Uno dei film sloveni più visti di sempre si intitola “Noi andiamo per la nostra strada”. Una commedia brillante, piena di gag e di situazioni paradossali, ambientata nello splendido scenario dell’Alto Isontino. Lì un gruppo di spensierati ragazzi campeggia agli ordini di un irresponsabile capo scout. Sembra essere la metafora della politica slovena. L’ultima trovata è quella dei referendum sulla difesa, decisi ed annunciati in parlamento la settimana scorsa.

Il Capo dello Stato Nataša Pirc Musar ha invitato tutti a non far fare al paese brutte figure a livello internazionale. Questa, però, non sembra né una preoccupazione, né tanto meno una priorità dei partiti, che oramai stanno scaldando i motori in vista delle elezioni del prossimo autunno. Andiamo con ordine. Nel paese non poche critiche negli ultimi anni sono piovute all’indirizzo della Nato ed anche dell’Unione Europea. L’idea di spendere di più per la difesa non piace agli sloveni, che non si sentono minacciati da nessuno.

La maggioranza, comunque, ritiene ancora che far parte dell’Alleanza Atlantica sia la scelta migliore per il paese. Senza la Nato, del resto, Lubiana resterebbe praticamente senza difese e in balia di vicini con i quali non sempre è andata d’accordo. Il governo così è costretto a barcamenarsi tra la necessità di presentarsi come un alleato credibile e fare i conti con un’opinione pubblica sempre più critica.

In vista del vertice della Nato del giugno scorso, che doveva discutere dell’aumento della spesa per la difesa, l’esecutivo ha elaborato una risoluzione, che prevedeva di aumentare progressivamente la spesa militare sino al 3% del PIL. La Sinistra, il più piccolo partito di governo, non ha mai nascosto di volere più fondi per la spesa sociale e meno per i carri armati. Se fosse per loro Lubiana sarebbe già fuori dall’Alleanza Atlantica e starebbe cercando di costruire, assieme ai BRICS e ad altri volonterosi, un ordine mondiale alternativo a quello occidentale.

Proprio per questo la Sinistra ha chiesto di indire un referendum consultivo sull’aumento delle spese per la difesa. Un’iniziativa, che comunque pareva dover morire sul nascere, visto che tutti gli altri partiti dell’arco parlamentare sembravano concordi sulla necessità di correre ai ripari, visto l’aggravarsi della situazione internazionale. Si sarebbe trattato, quindi, solo di seguire il classico iter parlamentare: attendere la decorrenza dei termini previsti e bocciare il referendum prima di approvare la risoluzione. La presidente della Camera Urška Klakočar Zupančič, però, non era per nulla intenzionata a sottostare a quello che non considerava altro che un dispetto bello e buono ordito dal più radicale partito della coalizione.

Infischiandosene della procedura e non seguendo le indicazioni che le arrivavano dall’Ufficio affari legislativi della Camera, ha fatto approvare la risoluzione, lasciando in sospeso la richiesta di referendum. L’urgenza era quella di dare al capo del governo la luce verde per poter discutere a pieno titolo con gli altri leader della Nato. Frattanto il presidente americano Donald Trump ha dato ad intendere che non si sarebbe accontentato e che bisogna arrivare al 5% del PIL da spendere per la difesa.

Tertium non datur

A Bruxelles diplomatici e politici hanno negoziato il documento del vertice e alla fine hanno accontentato il “paparino” Trump, come ha dato a intendere il segretario generale della Nato, Mark Rutte.

Mirko Cigler, ex eminenza grigia della diplomazia slovena con esperienza militare, ha sottolineato che l’informazione di quanto era accaduto era a disposizione di tutti i partiti di governo e che sicuramente lo sapeva anche l’ex leader socialdemocratica, nonché ministra degli esteri, Tanja Fajon. Come era prevedibile l’atteggiamento accondiscendente di Lubiana non ha mancato di destare perplessità in patria. Bogdan Biščak, un ex politico, diventato un eminente commentatore, ha scritto senza mezzi termini che oramai “è tempo di riflettere se la Slovenia tiene più alla democrazia o al suo posto nell’Unione Europea e nella Nato”. Poi ha laconicamente concluso che entrambe le cose non si potranno avere insieme. Di fronte alla caterva di critiche, il premier Golob si è difeso dicendo che le decisioni prese a Bruxelles non sono vincolanti e che la Slovenia farà quello che sta scritto nella sua risoluzione, che parla di una spesa del 3%.

Il premier non si è per nulla preoccupato del fatto che simili considerazioni non contribuiscono ad aumentare la credibilità internazionale della Slovenia. Golob, prima di andare al vertice, ha comunque infilato tra i materiali del governo un documento che l’autorizzava a dare luce verde a una risoluzione su cui solo la Spagna ha avuto da ridire. Socialdemocratici e Sinistra hanno detto che nulla hanno visto, nulla hanno sentito e che se c’erano dormivano. Per dimostrare di essere un partito di principio, i socialdemocratici hanno annunciato che avrebbero appoggiato la richiesta di referendum sulle spese militari inoltrata dalla Sinistra.

A quel punto il leader dell’opposizione, Janez Janša, ha chiesto a Golob di mettere la fiducia sul provvedimento. Lui gli ha risposto irridendolo e Janša non ci ha pensato due volte a rendergli pan per focaccia. L’opposizione di centrodestra e due partiti di governo hanno, così, votato il referendum, che a questo punto si farà.

Verso le elezioni

Sarà un vero e proprio prologo della campagna elettorale della prossima primavera. A quel punto Golob ha pensato bene di buttare altra benzina sul fuoco sbottando che, se si vuol far parte di un circolo, bisogna anche pagarne la quota sociale, pertanto ha annunciato che si voterà anche per un referendum sulla permanenza della Slovenia nella Nato. Subito Socialdemocratici e Sinistra hanno detto di essere d’accordo. Janša, invece, ha praticamente bollato l’iniziativa come una colossale stupidaggine, visto che per uscire dall’alleanza bisogna avere in parlamento due terzi dei voti, cosa che l’attuale coalizione non ha e che il centrosinistra non avrà nemmeno nel prossimo mandato.

In ogni modo adesso la scena politica è in fermento. I partiti di governo assicurano che la tenuta dell’esecutivo non è a rischio, ma la maggioranza scricchiola. La campagna elettorale è iniziata. Per contendersi il potere i protagonisti della vita politica nazionale useranno ogni mezzo.

Le poltrone evidentemente sono più importanti della credibilità del paese e delle conseguenze che eclatanti iniziative come quelle dei referendum sulla difesa potrebbero avere a livello internazionale.

Questo articolo è stato originariamente pubblicato l’8 luglio 2025 su OBC Transeuropa: Slovenia fuori dalla NATO

stefano lusa
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Storico e giornalista sloveno, nato a Capodistria. Dottore in Storia delle Società Contemporanee all'Università di Torino, attualmente è caporedattore del programma informativo di Radio Capodistria, per cui conduce la trasmissione di approfondimento Il vaso di Pandora. Per l'emittente nel 2015 ha seguito i profughi sulla rotta balcanica. Corrispondente dalla Slovenia di Osservatorio Balcani e Caucaso, collabora con testate italiane, slovene e croate. Come storico si è occupato dei processi di democratizzazione nell'ex Jugoslavia e dei rapporti italo-sloveni.

È autore di Italia-Slovenia 1990-94 (Il Trillo, 2001) e La dissoluzione del potere (Kappa Vu, 2007).

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