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Numero 46 | 21 novembre 2025

Palazzo Chigi

Per una finanziaria “in progress”, una critica “in progress”


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Come diceva Gianni Agnelli (l’ultimo che riusciva a far funzionare la FIAT, e che riusciva a far vincere sia la Juve che la Ferrari), che se la “finanziaria” riesce ogni anno a scontentare un po’ tutti, è fondamentalmente giusta. 

Comunque dopo tre e passa anni di questo governo, siamo alla 4^ Finanziaria, il risultato è sconfortante, per non dire peggio (me la prendo con questa coalizione di governo, tanto a quella dell’opposizione ci ha già pensato la maggioranza degli italiani, tre anni fa, facendole perdere le elezioni). Certamente è solo una bozza, è “in progress”, non che la politica debba essere sempre criticata, per principio, ma anche questa finanziaria mi sembra il solito tentativo di cercare scorciatoie, invece di fare funzionare le cose, di affrontare i problemi. 

Storia vecchia: anche questa sembra punire chi si sforza di creare valore, chi lavora, e invece sembra premiare – non sfiorandole neppure – le posizioni di rendita, le lobby, quindi chi accumula inefficienze; è il caso delle grandi imprese statal-nazionali, che agiscono in condizioni di mercato “controllato”, al riparo da qualche “golden share” (energia, costruzioni, difesa); è il caso delle micro-imprese, individual-familiari, sacre e intoccabili, che rappresentano lo zoccolo duro del consenso ai partiti di governo. 

Curare il consenso sociale

E’ il caso di lobby e corporazioni varie, con tassisti, “balneari”, burocrazie auto-referenziali, tipo “ponte di Messina”, rottamati e rottamandi vari… l’elenco è già molto lungo, e si allunga a ogni nuova “finanziaria”. D’accordo, una massa di manovra che si rende necessaria per chi – come noi, tutti, neonati e immigrati clandestini compresi – ha un debito pro capite record, forse è inevitabile, ma la strada maestra sarebbe un’altra, non quella di continuare con favori e favoritismi. Procediamo con il solito… disordine. Tasse, niente da fare, si recupera un po’ di fiscal drag, si toglie dall’ISEE la prima casa, ma neppure questa finanziaria lascia il segno. La pressione fiscale aumenta, continua a vessare, a salire verso un livello per certi versi espropriativo. 

Certamente, i problemi li hanno tutti, i sindacati in crisi di rappresentatività, le associazioni di categoria che non riescono a ragionare al di fuori delle proprie tasche. Ma il governo è il governo, è un’altra cosa. Se non sa prendere decisioni che cosa gli resta da fare? I premiati sono ancora una volta le micro imprese, quelle che garantiscono consenso, per le quali “tutto deve restare così come è”, che certamente garantiscono la sopravvivenza a molte famiglie, ma che non migliorano la produttività del sistema. Invece bisognerebbe combinare le due cose, se no anche le famiglie prima o poi resteranno senza niente. 

Tra l’altro, tra “flat tax” e rottamazioni di rottamazioni si crea una situazione di oggettiva concorrenza sleale vero le imprese più strutturate, quelle che creano sviluppo. Tra l’altro le rottamazioni vanno molto oltre l’economia, e premiano anche chi per esempio guida spericolato (se pensiamo che le nostre strade stanno diventando una sorta di jungla quotidiana), che grazie alle rottamazioni non paga di fatto le multe (ma spero che non capiti anche a me!). Certi dati indicano che ormai le multe le pagano piuttosto quelli che hanno una busta paga aggredibile. 

E’ un problema che riguarda la “produttività” del sistema – che continua a calare -per salari, stipendi, costo della vita: tra non molto l’IRPEF del ceto medio non basterà a tappare i buchi. E comunque la causa principale, se gli investimenti continuano a stagnare, i giovani che hanno voglia di fare continuano a migrare, è che le imprese restano piccole, e continuano a dipendere (per il settore della moda, del lusso, del tessile) dalla Francia e per le manifatture, la meccatronica, i distretti industriali dalla Germania. 

Economia di esportazione nell’incertezza globale

C’è anche l’agro-alimentare, e l’Italia resta un grande esportatore, ma attenzione che non resti solo un ricordo, un’eco di “Italian sounding”: le politiche neo-protezionistiche, o neo-nazionalistiche, non solo in forma di “dazi”, rischiano di innescare effetti a catena, di ritorcersi contro chi le propone. Ormai le mozzarelle, il “parmesan”, il “proschek”, lo sanno fare anche gli altri, e lo sanno vendere anche meglio, con aziende strutturate che fanno marketing, che fanno strategia, e che riescono nell’incredibile impresa di farci concorrenza vendendo vino fatto con polverine, “nutelle” senza zucchero, prosciutti senza maiali, insomma “made in Italy” senza “Italy”. Continuiamo così, facciamoci del male. 

D’accordo, la “finanziaria” deve funzionare a saldi invariati, e poi non è l’unico strumento, neppure è quello principale per fare le riforme. Ma storicamente è quello che permette ai governi che non sanno riformarsi, o forse a tutti i governi, di “sopravvivere” oltre la scadenza; così mentre gli altri crescono, noi continuiamo di anno in anno ad accumulare problemi. Piuttosto che grandi economisti, mi viene da citare il principe De Curtis, il grande Totò. Forse ne aveva capito più lui sulla “finanziaria”. 

Così – continuando l’elenco, non siamo neppure a metà – per la solita tassa sulla casa, questa volta mascherata da contributo sugli affitti brevi… vabbè che non si vuole la patrimoniale, ma così è anche peggio, si punisce chi cerca di risolvere il problema, chi con il “patrimonio” vuole lavorare, cioè chi cerca di mettere a reddito la 2^ o 3^ casa che altrimenti resterebbe desolatamente vuota. Ed è anche un paradosso se pensiamo che secondo certe stime 1/3 o un 1/4 delle costruzioni – ma solo di quelle “accatastate” – risultano essere sotto-utilizzate o anche abbandonate; questo anche se da più parti si grida all’emergenza abitativa. Solo una delle varie emergenze, che devono essere affrontate prima che ci travolgano. 

La casa, il turismo, la fiscalità

Tra l’altro – se considero alcune delle proposte “in progress”, ma restiamo in attesa della versione definitiva – la tassa colpirebbe quelli che affittano “non professionalmente”, si presume, senza riferirsi a piattaforme, che fra l’altro sono a maggiore rischio di evasione. Un modo per strizzare l’occhio ai soliti furbetti, e nello stesso tempo di punire il nemico dichiarato del governo “nazionale”, le multinazionali – che però hanno il merito di svecchiare un po’ il nostro sistema economico, di proporre qualche cosa. Insomma tassa sul B&B digitale, invece di cercare la soluzione del problema. È l’ennesimo modo per farci del male da soli, è come per la tassa sul turista (che, almeno questa, ha un consenso bi-partisan!), è come tassare il cliente che entra in negozio, il giovane che vuole avviare una start up, l’azienda che investe per innovare, per creare posti di lavoro. E poi l’ennesimo tentativo di fare pagare la finanziaria a banche e assicurazioni – anche questo un film già visto, ammesso che ci si riesca: un discorso che si presta ai vari populismi di destra o di sinistra, o di centro, per far pagare la grande finanza che “parassitizza” il sistema. 

La soluzione sarebbe invece quella di far funzionare il mercato, la concorrenza, per mettere in condizioni le banche di fare il loro mestiere – finanziare le imprese, sostenere la crescita, promuovere start up, abbassare le tariffe, e perché no, remunerare i depositi in conto corrente (che di fatto sono dei prestiti a lungo termine che i correntisti “fanno” alle stesse banche!). Invece banche e assicurazioni – in realtà le uniche ultime multinazionali che agiscono in un contesto di tipo privatistico di cui il nostro paese dispone, le altre sono già scappate – continuano ad accumulare profitti, extra-, super- e mega-profitti, letteralmente soldi che poi non riescono a utilizzare, con cui ingaggiano scalate e altre operazioni “non caratteristiche” del loro business. C’è da scommettere che le banche continueranno a fare quello che fanno, a gestire un mega-debito pubblico, come sottintende il tono trionfalistico che segue ogni emissione di “buoni” statali – che in realtà provocano anche una distorsione per tutto il sistema, che non riesce a usare quelle risorse per l’economia “vera”. 

Migliorare perché gli altri peggiorano

Certamente, la priorità delle priorità sarebbe ridurre il debito… che invece continua a salire. Ce l’hanno fatta altri paesi prima di noi (Belgio, Portogallo, anche la Grecia, che fra un po’ ci lascerà il posto di ultimi della classe in Europa, secondo dati del FMI, ma almeno saremo superati in debiti su PIL dalla MAGA America di Trump). Fatto che è anche un modo per interpretare certe politiche anti-europee e super-atlantiste del nostro governo. Ma ci conforta che varie società di rating ci abbiano riconosciuto una certa stabilità, anche se ho il dubbio che questo avvenga piuttosto perché gli altri vanno male, non perché noi siamo così bene. 

Mi fermo qui, per limiti di spazio, non voglio essere lungo come una… “finanziaria”, ma anche perché resta sempre la speranza che un governo così “stabile” possa finalmente fare qualche cosa di utile, prima che sia tardi. Le “cassandre” dei principali quotidiani economici, anche di quelli più seri, scrivono di bolle che sarebbero proprio dietro l’angolo, quella finanziaria, quella delle criptovalute, quella dei “dazi” e dei “contro-dazi”, quella dell’intelligenza artificiale, quella (della fine) del PNRR. Certamente, i conti sono stabili, forse usciremo dalla procedura di infrazione europea. E questo grazie soprattutto ai provvedimenti dei governi … precedenti, alla legge Fornero, alle leggi sui pagamenti digitali, sulle fatture elettroniche (che limitano il “sommerso” e regolarizzano le “entrate”), provvedimenti a suo tempo osteggiati da chi è oggi al governo; e così magari anche grazie alle “lenzuolate” di Bersani, lo “sportello unico” di Bassanini (chi se ne ricorda più!), alle leggi sul lavoro, al jobs act. Ma almeno questo in realtà è un merito del governo attuale, di saper trarre profitto dalle riforme dei governi precedenti, cosa che altri governi non hanno saputo fare.

Igor Jelen
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Professore di geografia e geopolitica presso l'Università di Trieste, di recente ha pubblicato la monografia "Geography of Central Asia", Springer, 2021, con oggetto i paesi post sovietici, dove svolge prevalentemente le sue ricerche sul terreno; si occupa inoltre dei vari argomenti che caratterizzano le varie transizioni - ecologica, tecnologica, post moderna ecc. -, e di vari temi che riguardano lo sviluppo economico e sociale in particolare nelle aree periferiche.

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