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Numero 44 | 24 ottobre 2025

ogm

Nuovi OGM: i rischi di una proposta europea di deregolamentazione


Il 14 marzo scorso il Consiglio dell’Unione europea ha approvato il mandato negoziale per regolamentare le piante ottenute con nuove tecniche genomiche (in pratica nuovi OGM) e i loro prodotti alimentari e mangimi. 

Da vari anni si discute di nuove tecnologie di modificazione genetica che, a differenza degli attuali OGM, non utilizzino metodi di transgenesi, cioè il trasferimento con la tecnica del DNA ricombinante (o ingegneria genetica) di geni provenienti da un qualunque organismo nel DNA di una pianta di interesse agricolo. In particolare l’attenzione dei biotecnologi è rivolta a tecniche chiamate cisgenesi e editing genomico.

Nel luglio del 2023 la Commissione Europea ha presentato una proposta che tende ad esentare la maggior parte delle nuove biotecnologie, identificate con il termine italiano TEA (tecnologie di evoluzione assistita) o con l’inglese NBT (New breeding techniques) dall’attuale regolamentazione sugli OGM. In particolare, ne esclude gran parte dai controlli di sicurezza, consentendone il rilascio deliberato in natura e la presenza nella catena alimentare senza alcuna valutazione dei rischi per l’ambiente o la salute umana. La proposta esclude inoltre che la maggior parte dei nuovi OGM venga monitorata dopo l’emissione, allo scopo di accertare problemi per i consumatori o per l’ambiente che non siano stati rilevati durante la valutazione del rischio.

Ad aprile dell’anno scorso Il Parlamento europeo ha approvato il testo della Commissione europea con due emendamenti che impongono obblighi su etichettatura e tracciabilità.

Il voto ha infatti dovuto tener conto della crescente mole di letteratura scientifica sugli effetti potenzialmente negativi delle TEA, dell’impatto sull’agricoltura biologica e della contrarietà della maggioranza dei cittadini italiani ed europei verso il cibo geneticamente modificato. Per la definitiva approvazione serve ora un accordo tra Commissione, Consiglio e Parlamento, attraverso un confronto chiamato trilogo.

Ma cosa sono i nuovi OGM?

A differenza dei vecchi OGM, ottenuti per transgenesi, metodo che introduce nelle piante geni di specie diverse, la cisgenesi, facendo uso della medesima tecnica, permette di ottenere piante ritenute simili a quelle di partenza, perché il gene o i geni derivano da una pianta donatrice della stessa specie, o di specie affini. La tecnica della cisgenesi vuole dunque ovviare al problema dell’introduzione di un gene proveniente da specie anche molto differenti, ma l’inserimento del cisgene nel genoma avviene in modo casuale come nella transgenesi, per cui potrebbero sorgere comunque imprevisti analoghi a quanto già verificato per gli attuali OGM. Per questo i biotecnologi puntano su una tecnica ritenuta più promettente: l’editing genomico, che utilizza il CRISPR (Clustered Regularly Interspaced Short Palindromic Repeats)

La nuova metodica si avvale di “forbici molecolari” appositamente progettate (nucleasi), che sono enzimi che tagliano il DNA in punti specifici e che possono essere programmati per tagliare in siti target predeterminati. Si tratta dunque di un metodo più preciso della vecchia transgenesi, in quanto consente di inserire (o togliere) il frammento di DNA in un punto specifico, utilizzando anche geni di specie affini o sintetizzati in laboratorio.  

Tuttavia le modificazioni introdotte possono anche in questo caso provocare effetti imprevedibili, oltre a mutazioni legate al processo. Dubbi sono emersi proprio sulla tecnica CRISPR, come afferma la pubblicazione del 2017 “New Techniques in Agricultural Biotechnology” a cura della Direzione Generale per la Ricerca e l’Innovazione della Commissione Europea: quando un nuovo gene viene introdotto con le NBT (come nel caso della vecchia transgenesi), questo gene può interagire con l’intera serie di altri geni endogeni dell’organismo ricevente. I potenziali effetti desiderati e indesiderati non possono sempre essere previsti, come documenta anche una pubblicazione di Nature Biotechnology (Kosicki et al., 2018), con questa tecnica si possono verificare perdite di tratti di DNA (delezioni) e, nel riprodursi, le cellule possono produrre effetti patogeni.

Ancora una volta affermazioni non documentate di sicurezza

Dunque, le affermazioni, non documentate, di sicurezza, derivate dalla presunta precisione di questi nuovi metodi ricordano, così come le promesse, le dichiarazioni della prima ora sui vantaggi dei primi OGM. 

I vecchi OGM sono sottoposti ad una precisa normativa elaborata in oltre vent’anni dall‘Unione Europea. In particolare la direttiva 412 del 2015 riconosce agli Stati membri la possibilità di limitare o vietare la coltivazione di OGM sul loro territorio ed è stata recepita nell’ordinamento italiano, come in quello di altri diciannove Stati membri. Inoltre in Europa è obbligatoria l’etichettatura dei prodotti contenenti OGM, a garanzia di una scelta consapevole dei consumatori.

Alla luce delle considerazioni precedentemente riportate, anche gli organismi modificati con le nuove tecniche devono essere considerati OGM e come tali dovrebbero essere soggetti alla stessa normativa. In tal senso si è espressa, nel luglio del 2018, la Corte di Giustizia Europea (causa C-528/16), che ha stabilito che anche a questi nuovi organismi si devono applicare le norme previste per i vecchi OGM.

I rischi ipotizzabili per l’utilizzo di prodotti derivati dalle nuove biotecnologie richiedono dunque un’attenta valutazione e, fino a quando non saranno pienamente valutabili alla luce di nuovi studi e conoscenze, si dovrebbe applicare il principio di precauzione, previsto dalla Convenzione sulla biodiversità, approvata nel 1992 a Rio de Janeiro e sottoscritta da molti paesi (tra cui tutti quelli europei, ma non dagli Stati Uniti). Tale principio, fatto proprio dall’Unione Europea con il Trattato di Maastricht, prevede come affrontare i rischi degli OGM, vecchi e nuovi: una sostanza chimica, un processo produttivo o un OGM vanno considerati sicuri solo quando, al di là di ogni ragionevole dubbio, non presentano rischi rilevanti e irreversibili per l’ambiente o per la salute.

Meno burocrazia non minor rispetto del principio di precauzione

Quali sono ora le prospettive per la proposta di deregolamentazione dei nuovi OGM? Come già detto, dovrà costituirsi un trilogo, nel quale i rappresentanti della Commissione, del Consiglio e del Parlamento europei dovranno raggiungere un accordo provvisorio su una proposta legislativa che dovrà poi essere ratificata sia dal Parlamento che dal Consiglio.

L’attuale proposta del Consiglio, simile a quella della Commissione, ipotizza due percorsi distinti per l’immissione sul mercato di NBT. Nella categoria 1 verrebbero incluse piante con fino a 20 modifiche genetiche, escluse (secondo il mandato del Consiglio) quelle con tratti di tolleranza agli erbicidi. Tali piante vengono considerate equivalenti (senza però alcun fondamento scientifico) a quelle ottenute con metodi di selezione convenzionale e vengono così sottratte alle regole stabilite per gli OGM di prima generazione.

La categoria 2 comprenderebbe tutte le altre NBT e si applicherebbero le norme della legislazione sugli OGM (inclusa una valutazione del rischio e un’autorizzazione prima della loro immissione sul mercato); sarebbero inoltre etichettati come tali.

I cittadini, in ogni caso, verrebbero privati del diritto di sapere se gli alimenti contengono o sono derivati dai nuovi OGM – NBT di categoria 1, con un’unica possibilità di scelta alternativa: gli alimenti biologici certificati. 

Occorre dunque esercitare ogni forma di pressione sui parlamentari europei e sugli stati membri affinché durante il prossimo trilogo venga respinta la proposta di deregolamentazione che assimila i nuovi OGM alle piante naturali: le NBT sono equivalenti ai vecchi e poco sicuri OGM e pertanto devono essere soggetti alla normativa vigente sugli OGM, come si è espressa, nel luglio del 2018, la Corte di Giustizia Europea. 

Va infine ricordato che sia gli OGM che le NBT continuano a spostare l’attenzione rispetto alle alternative reali che possono garantire un’agricoltura sostenibile, fondata sulla rigenerazione ecologica. Se vogliamo proteggere la sovranità alimentare e il controllo contadino sulle sementi, bisogna ripartire da una visione dell’agricoltura come parte integrante degli ecosistemi, quindi dall’agroecologia, alla base dell’agricoltura biologica. Il sistema agricolo va pensato in armonia con quello naturale, con rispetto degli equilibri tra le specie e della loro capacità di adattamento.

tamino
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Già docente di Biologia generale (ora in pensione) all’Università di Padova, ha svolto ricerche sul rapporto tra ambiente e salute e si è occupato di problemi di Biosicurezza e Biotecnologie.E’ stato membro della Camera dei Deputati dal 1983 al 1992 e del Parlamento Europeo dal 1995 al 1999, dove si è occupato di ambiente, energia ed agricoltura.

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