Non è la guerra a costruire la pace
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“Ubi solitudinem faciunt, pacem appellant” dice Calgaco, capo di Caledoni, per descrivere la politica di conquista dei Romani. (Tacito, Agricola, 30,4).
La famosa pax romana. “Fanno il deserto e lo chiamano pace”.
Pare che finalmente, ogni tanto, le armi tacciano a Gaza. Sempre meglio di niente. Questa specie di pace sarà sempre meglio dell’inferno di prima.
Ammesso che regga.
E ammesso che una tregua che fa 150 morti si possa davvero chiamare tregua.
Ma ammettiamo. Turiamoci gli occhi e ammettiamo.
Però.
Però. Sarà vera pace? Sarà davvero possibile una vera pace in un deserto chiamato pace?
Il detto popolare recita: “Chi semina vento raccoglie tempesta”. Verissimo. Ma chi ha seminato tempesta che cosa si aspetta di raccogliere?
“La giustizia non si è accontentata di essere vilipesa quando era debole, ma, il più delle volte, ha cessato di essere giusta quando è diventata forte (Jean D’Ormesson).
Nella storia non si contano le circostanze in cui ciò si è avverato. Pensiamo solo alla fine della seconda guerra mondiale: se ne trovano ovunque: giustizie sommarie, deportazioni in massa, vendette, ecc. I cittadini italiani del confine orientale ne hanno avuto esperienza diretta, con la tragedia delle foibe.
Lasciamo perdere la sfacciata strumentalizzazione che ne ha fatto e continua a farne la destra, resta il fatto che quella vicenda è un classico esempio di una giustizia che cessa di essere giusta quando diventa forte dopo essere stata vilipesa.
“Il croato lurido s’arrampicò su per le bugne del muro veneto, come scimmia in furia, e con un ferraccio scarpellò il Leone alato ⎣…⎤ Quell’accozzaglia di Schiavi meridionali che sotto la maschera della giovine libertà e sotto un nome bastardo mal nasconde il vecchio ceffo odioso…” D’Annunzio, Lettera ai Dalmati, 1919.
Così scriveva l’immaginifico. Che cosa ci si poteva aspettare come reazione?
Un popolo vilipeso per decenni, poi perseguitato, massacrato. Se poi riesce a vincere chi lo opprimeva non andrà per il sottile. È inevitabile. Se lo facesse, vedrebbe la sua vittoria minacciata a ogni momento. Se perdono a uno che ha impiccato mio figlio, come faccio a sentirmi sicuro che quello non impiccherà anche l’altro figlio che mi è rimasto?
“A Tolmin (i tedeschi) avevano subito fatto capire di cosa fossero capaci impiccando alcuni bambini dell’asilo al grande tiglio del cortile” (Angelo Floramo, La veglia di Ljuba, p. 42).
Dispiace per il vangelo, ma pretendere che la gente porga l’altra guancia NON è realistico.
I palestinesi di Gaza NON diventeranno forti, non saranno in grado di esercitare la giustizia non giusta dei forti. E allora quale sarà il loro destino?
Il destino di quelli che rimarranno a Gaza? In una Gaza ricostruita secondo i criteri imperanti del capitalismo finanziario. Un resort turistico per tasche colme di dollari.
Sarà una “popolazione rurale espropriata con la forza, cacciata dalla propria terra, resa vagabonda, spinta con leggi tra il grottesco e il terroristico a sottomettersi con la forza di frusta, di marchi a fuoco, di torture, alla disciplina necessaria al sistema del lavoro salariato”. Così scriveva un tale Karl Marx. E anche in questo caso la storia è ricca di conferme.
Sarà questa la pace di Gaza? Sarà questo lo scenario su cui costruire l’avvenire della striscia?
Il cittadino israeliano come farà a sentirsi sicuro camminando per una qualsiasi strada dove potrebbe incrociare un palestinese di quelli che non porgono l’altra guancia? Uno di quelli a cui il suo esercito ha sterminato la famiglia?
Seminare vento non è mai cosa saggia.
Seminare tempesta è firmare una cambiale da incoscienti. È creare le condizioni ideali per l’affermarsi del terrorismo. Per l’arruolamento nelle sue file di quanti non vedono nessun’altra prospettiva per il loro avvenire. Hamas non è sconfitta definitivamente. Non lo sarà mai. Si chiamerà magari in altro modo, ma sarà lì, minacciosa. Fino a quando l’odio non lascerà il posto alla convivenza pacifica, al rispetto reciproco, alla tolleranza, Hamas ci sarà.
Si potrà mai uscire da una tale spirale di odio e di vendetta?
Forse una strada ci sarebbe: diffondere cultura, spirito di dialogo, di confronto civile, di solidarietà, di valori umani. Utopia?
Sì. Forse sì.
Ma.
L’utopia è come l’orizzonte. Cammino due passi e si allontana di due passi. Cammino dieci passi e si allontana di dieci passi. L’orizzonte è irraggiungibile. E allora a che cosa serve l’utopia? A questo serve: a camminare” (Eduardo Galeano)
Ex insegnante, ex sindaco (di S. Vito al Torre), ex dirigente scolastico. Più volte candidato in elezioni provinciali e regionali per Democrazia Proletaria e per i Verdi. Attualmente nonno.
- Laurino Nardinhttps://ilpassogiusto.eu/author/lnardin/
