Skip to main content

Numero 42 | 26 settembre 2025

campo di canapa

Il ritorno della canapa


Nel 1937 venne vietata la coltivazione di canapa negli Stati Uniti, in Italia invece venne vietata nel dopoguerra. Da allora inizia una battaglia ideologica, che dura tutt’ora, dove le uniche vittime sono le aziende agricole e quelle dell’intera filiera produttiva; purtroppo sono scarsamente rappresentate essendo piccole realtà impegnate in una coltivazione ancora di nicchia (50 mila ettari in tutta Europa, per renderci conto della dimensione basti pensare che solo in Veneto per la coltivazione dell’uva sono occupati 100mila ettari).

Oggi possiamo dire che il proibizionismo, proposta nata per “combattere la droga”, ha fallito poiché paradossalmente tutti i settori della lavorazione della canapa sono stati quasi azzerati, tranne uno: lo spaccio di droga, che anzi gode di ottima salute (secondo la Relazione della Direzione Centrale dei Servizi Antidroga il solo ricavo illegale degli introiti relativi alla cannabis in Italia supera i 6 miliardi di euro).(Cannabis e Mafie: cosa ci dice la nuova relazione della DIA – Meglio Legale)

Qui, però, non parleremo dell’uso stupefacente della canapa ma di quello industriale, che ricordiamo ha un contenuto quasi nullo di THC (delta-9-tetraidrocannabinolo) che non supera lo 0.2%. (Linee Guida per la coltivazione della Canapa Industriale da estrazione | Federcanapa), il principio attivo ad effetto psicotropo presente nella cannabis (https://it.m.wikipedia.org/wiki/Delta-9-tetraidrocannabinolo). 

Lo faremo dialogando con Ivan Cisilino co-titolare dell’azienda agricola Bassi Vienda. Ma prima alcuni cenni storici.

Umanità e canapa, a braccetto nei secoli

E’ una pianta infatti che si coltiva da oltre 10 mila anni nel mondo. In Italia hanno trovato tracce di coltivazioni già dal 4500 a.C. La prima Bibbia di Gutemberg venne stampata su carta di canapa importata dall’Italia e di canapa erano le vele delle caravelle di Cristoforo Colombo.

Nella prima metà del novecento l’Italia era il secondo maggior produttore di canapa del mondo (dietro soltanto alle distese smisurate dell’Unione Sovietica). Nel 1940 infatti l’Italia dedicava alla coltura della canapa 90mila ettari del proprio territorio. Producevamo più canapa di quanta se ne produca oggi in tutto il mondo.

La coltivazione di canapa nel nostro territorio ha visto anni bui, ma ora, sia perchè i prodotti derivanti da raffinazione del petrolio sono in costante aumento di prezzo, sia per una rinnovata sensibilità ecologica la canapa è pronta a riprendersi la scena da protagonista.


Un’azienda friulana

L’azienda agricola Bassi Vienda di Mereto di Tomba è una delle primissime realtà agricole di coltivazione della canapa a nascere a livello nazionale “In Italia, esistevano solo una ventina di aziende” ci ricorda Ivan Cisilino che poi prosegue raccontandoci che l’idea di coltivare canapa venne a suo padre una decina di anni fa: “arrivò casa con due notizie, una pessima ovvero che gli diagnosticarono una grave malattia, l’altra fu che aveva deciso di coltivare canapa. Non so se questa sua passione lo abbia fatto vivere più a lungo, ma di certo lo mantenne vivo e vivace, ne parlava sempre”.
Possiamo dire che ci vide lungo perché oggi l’azienda è florida anche di idee e progetti per il futuro. Ad ora coltiva 10 ettari che principalmente forniscono una filiera corta e di qualità per la produzione di olio di semi biologici di canapa (e altri semi quali lino, camelina, colza, girasole) da utilizzare per il mercato della cosmetica e per la nutraceutica (la disciplina che indaga tutti i componenti o i principi attivi degli alimenti con effetti positivi per la salute, la prevenzione e il trattamento delle malattie) e in molti altri progetti sperimentali di cui parleremo. 

“Io sono un fisico – ci dice – quindi l’uso che faccio di questi oli è spesso futuristico ,sperimentale, per riassumere potrei dire che quello che si può fare con il petrolio si può fare con gli oli vegetali”.
Per trasformare i semi in olio, l’azienda ha un oleificio di proprietà  “per ora non lavoriamo a livello industriale , ma a livello laboratoriale, è un lavoro lungo ma produrre olio in prossimità garantisce una migliore conservabilità e qualità del prodotto (perché si riduce drasticamente il rischio di ossidazione) inoltre, se l’olio è sottoposto a sollecitazioni come può avvenire in un lungo viaggio in camion, tende a cristallizzare.”

Cisilino chiarisce che “i semi sono naturalmente privi di Cannabinoidi in quanto queste sostanze servono alla pianta come autodifesa da agenti esterni come i batteri (infatti tutta la pianta, i fiori soprattutto, ne sono carichi), ma i semi quando poi cadono sul terreno devono essere attaccati da questi batteri per iniziare la germinazione, non potrebbe avvenire se fossero pieni di cannabinoidi”.

Teniamo a sottolineare che la coltivazione di canapa per l’uso industriale è agli antipodi rispetto a quello per l’uso ludico infatti come ci viene spiegato “nel nostro caso l’obiettivo sono soprattutto i semi, mentre per produrre cannabis ‘stupefacente’ la fecondazione è da evitare assolutamente, perchè l’obiettivo è il fiore che, per avere una buona qualità, non deve avere sostanze oleose derivanti dai semi”

La coltivazione della canapa industriale, ci spiega, è ogni giorno una scoperta perché non c’è una vera agronomia per la produzione di canapa “le tecniche agricole sono ferme agli anni ‘50, non esistono macchinari specifici per la lavorazione della canapa”.
Per loro fortuna la canapa è naturalmente resistente ai batteri e, mediante tecniche agricole quali la rotazione delle coltivazioni, riescono a tenere a bada anche gli infestanti “in totale assenza di prodotti chimici e fitofarmaci” tanto che hanno trovato oltre 100 tipi diversi di insetti nelle loro piantagioni “non sappiamo ancora quali specie siano positive per la coltivazione, quali negative e quali neutre, lo stiamo studiando”.

Vantaggi ambientali ed altre opportunità

La canapa ha capacità di assorbire i metalli pesanti e nocivi dai terreni in cui cresce, come selenio, piombo, cadmio e nichel, pericolosissimi per la salute umana, è quindi un ottimo metodo per bonificare terreni contaminati.

Gli studi esistenti ci dicono che un ettaro di canapa può assorbire tra le 8 e le 15 tonnellate di CO2 all’anno, mentre un ettaro di foresta tra le 2 e le 6 tonnellate di CO2 (dipende dal tipo ed età degli alberi).

La canapa è una pianta molto versatile, è il maiale vegetale, di essa non si butta via niente.

Può essere usata nei settori: tessile, high tech, medico, aerospaziale, automotive, alimentare, edile, o in sostituzione di materiali quali plastica e cemento.

Due delle applicazioni possibili della canapa, ad esempio, ce le illustra Cisilino:

  • Benda per diabetici: è un progetto sviluppato con l’Università di Trieste, ed è in corso di sperimentazione. Si tratta di una benda in fibra di canapa da applicare sulle ferite, specie ai piedi, delle persone con diabete. Queste bende poi, secondo le intenzioni del progetto, dovrebbero cambiare colore in caso di infezione della ferita. Questo garantirebbe ai pazienti di intervenire immediatamente evitando che l’infezione si propaghi fino alla più tragiche conseguenze.
  • Lampade fonoassorbenti: lampade costruite con materiale derivante dalla canapa utili per assorbire il classico rumore di sottofondo, che a lungo andare crea fastidiosi mal di testa, tipico delle sale affollate (pensiamo ai ristoranti) rendendo di fatto più confortevole il soggiorno in queste sale. 

Abbiamo capito, parlando con Ivan Cisilino, che dietro alla canapa c’è una realtà composta da aziende, persone, lavoro, passione e competenze che spesso dimentichiamo quando si pensa alla canapa solo come bersaglio della “lotta alla droga”. Per fortuna ormai le evidenze a favore della canapa sono sotto gli occhi di tutti, questi sono gli ultimi, maldestri colpi di coda del fenomeno proibizionista che sa di aver ormai perso questa battaglia.

Daniele Andrian
+ posts

Ecologista e federalista, classe 1991, ex co-portavoce regionale di Europa Verde F-VG, diplomato professionale, inizia la sua esperienza lavorativa nella ristorazione e poi nella logistica, ora metalmeccanico . Da queste esperienze comprende che il mondo del lavoro deve cambiare e che la necessaria transizione ecologica dovrà per forza passare dalla rivoluzione del sistema produttivo.

Iscriviti alla newsletter de Il Passo Giusto per ricevere gli aggiornamenti