
Il D.L. “Sicurezza” ed i possibili interventi della Corte Costituzionale
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Come hanno dato ampiamente conto tutti gli organi di stampa, il giorno 4 Giugno ultimo scorso è stato convertito, dal Senato, in legge il decreto-legge 11 aprile 2025, n. 48 recante disposizioni urgenti in materia di pubblica sicurezza, di tutela del personale di servizio, nonché di vittime dell’usura e di ordinamento penitenziario.
La posizione radicalmente contraria dell’Unione delle Camere Penali sul provvedimento è nota e ha portato alla proclamazione di tre giorni di astensione dalle udienze. Anche l’Associazione Nazionale Magistrati ha espresso le sue perplessità ed i Professori dell’Associazione Italiana di Diritto Penale hanno sottoscritto un appello fortemente critico nei confronti, prima, del disegno di legge e, poi, del decreto governativo.
Poiché la politica non ha voluto sentir ragione, non resta che sperare nell’intervento della Corte Costituzionale. Cercherò così di segnalare alcuni profili di contrarietà alla Carta fondamentale che potrebbero prospettarsi nei confronti di quel provvedimento.
Uso improprio del decreto-legge
Il primo dei temi che intendo trattare riguarda lo strumento utilizzato per normare la materia, ovvero il decreto-legge, che rappresenta un difetto, per così dire, genetico dell’intero complesso normativo adottato.
Com’è noto, l’art. 77, 2° comma, della Costituzione autorizza il Governo ad adottare, sotto la sua responsabilità, in casi straordinari di necessità ed urgenza, provvedimenti provvisori con forza di legge.
Il Giudice delle leggi ha in più occasioni affermato che l’ampia autonomia del Governo nel ricorrere al decreto-legge non equivale all’assenza di limiti costituzionali, giacché “non può dare un’interpretazione talmente ampia dei casi straordinari di necessità e urgenza da sostituire sistematicamente il procedimento legislativo parlamentare con il meccanismo della successione del decreto legge e della legge di conversione” (da ultimo la sentenza n. 146 del 2024 della Corte Costituzionale).
Muovendo da questo presupposto non è sufficiente la mera enunciazione dei presupposti di cui all’art. 77 Cost., e, neppure, si potrebbe invocare la complessiva ragionevolezza della disciplina adottata, come invece è accaduto col decreto-legge n. 48 del 2025, che nel preambolo si limita ad elencare le ragioni a sostegno della decretazione di urgenza in maniera assolutamente apodittica.
Come puntualmente affermato nella sentenza appena richiamata “il decreto legge presenta, nella gerarchia delle fonti, […] natura particolare […] come provvedimento provvisorio adottato in presenza di presupposti straordinari, provvedimento provvisorio che è destinato a operare per un arco di tempo limitato, venendo a perdere la propria efficacia fin dall’inizio in caso di mancata conversione in legge entro il termine fissato nell’art.77 della Costituzione”.
L’adozione del decreto-legge è, infatti, prevista come ipotesi eccezionale, subordinata al rispetto di condizioni precise e, fra queste, merita ricordare che, come ha affermato sempre la Corte Costituzionale, in una democrazia parlamentare moderna, che riconosce il fondamentale ruolo dei partiti politici (art. 49 Cost.), si realizza un continuum tra il Governo e il Parlamento, grazie all’operare della maggioranza parlamentare che sostiene lo stesso. Pertanto, il Governo assume il ruolo di propulsore dell’indirizzo politico.
Tale funzione, tuttavia, non può giustificare lo svuotamento del ruolo politico e legislativo del Parlamento, che resta la sede della rappresentanza della Nazione (art. 67 Cost.), in cui le minoranze politiche possono esprimere e promuovere le loro posizioni in un dibattito trasparente (art. 64, secondo comma, Cost.), sotto il controllo dell’opinione pubblica, tenuto altresì conto che “il correlativo esame delle Camere in sede di conversione comporta una valutazione del tutto diversa e, precisamente, di tipo prettamente politico, sia con riguardo al contenuto della decisione, sia con riguardo agli effetti della stessa” (sentenza n. 29 del 1995 della Corte Costituzionale).
Disomogeneità delle norme, illegittimità della norma
E la conferma la si trova, nel caso del decreto sicurezza, nel fatto che è stata posta la fiducia in sede di conversione in legge.
Com’è evidente, i limiti più sopra evidenziati alla decretazione d’urgenza in materia penale, si rivelano assolutamente pertinenti al caso di specie.
E’ sufficiente, infatti, considerare a tal proposito come il testo previgente (peraltro di iniziativa governativa) sia stato “abbandonato” dopo i rilievi del Presidente della Repubblica e dopo le diffusissime osservazioni di molti giuristi, che hanno fatto emergere plurimi vizi di incostituzionalità, per essere, poi, “trasformato” in decreto legge, in assenza di qualsivoglia ragione obiettiva e con previsioni del tutto disomogenee l’una dall’altra.
Si trattano, infatti, nello stesso provvedimento il terrorismo e la criminalità organizzata, le vittime dell’usura, le forze dell’ordine e il personale di sicurezza, le rivolte negli istituti penitenziari, le proteste su strada e i blocchi ferroviari, l’accattonaggio minorile e la cannabis light.
La lunga gestazione, in forme diverse, dello stesso corpus normativo e l’eterogeneità delle materie in esso disciplinate, nella fattispecie, sono indici precisi di illegittimità costituzionale nell’utilizzo della decretazione d’urgenza.
La mancanza di questi presupposti è poi destinata a riflettersi anche sulla legge di conversione, giacché questa non potrebbe mai sanare l’assenza delle condizioni alla base della scelta governativa, poiché “la preesistenza di una situazione di fatto comportante la necessità e l’urgenza di provvedere tramite l’utilizzazione di uno strumento eccezionale, quale il decreto legge, costituisce un requisito di validità dell’adozione di tale atto, la cui mancanza configura un vizio di legittimità costituzionale del medesimo, che non è sanato dalla legge di conversione, la quale, ove intervenga, risulta a sua volta inficiata da un vizio in procedendo fra le molte sentenze della Corte Costituzionale n. 8 del 2022, n. 149 del 2020, n. 10 del 2015, n. 93 del 2011, n. 128 del 2008, n. 171 del 2007 e n. 29 del 1995)”.
Dunque, può seriamente dubitarsi che il Decreto Legge c.d. Sicurezza sia stato emanato a fronte di una situazione di straordinaria necessità ed urgenza e, se così non fosse, ciò travolgerebbe anche la legge di conversione.
Venendo, poi, alle specifiche previsioni e senza alcuna pretesa di completezza, osserviamo sommariamente quanto segue.
Alcune osservazioni puntuali
Con l’introduzione dell’articolo 270 quinquies.3 (art.1 del D.l. n. 48/2005) in materia di delitti con finalità di terrorismo si inserisce una nuova figura di reato, nella quale la condotta che si intende incriminare e punire con la reclusione da due a sei anni prevede un’ulteriore anticipazione della soglia di rilevanza penale e, ciò, in contrasto con la giurisprudenza costituzionale, che ha chiarito come le condotte con finalità di terrorismo debbono conoscere, innanzitutto, una matrice oggettiva, rivelando l’esistenza quanto meno di un pericolo concreto di grave danno ad un Paese o ad un’organizzazione internazionale, (poiché “non è sufficiente il finalismo psicologico dell’azione, essendo necessaria anche l’identità in concreto delle condotte” così Corte Cost. n.191/2020).
Così anche questa specifica disposizione introdotta dal d.l. sicurezza si espone a sicura censura del Giudice delle leggi.
Con l’art.10 (Modifiche al Codice penale e al Codice di procedura penale, per il contrasto dell’occupazione arbitraria di immobili destinati a domicilio altrui) si introduce il nuovo reato di cui all’art. 634 bis c.p. (Occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui).
Nella norma sono punite con la medesima pena condotte all’evidenza diverse (occupa/detiene un immobile destinato a domicilio altrui/impedisce il rientro…del proprietario) e ciò espone la stessa ad una evidente irragionevolezza, come tale costituzionalmente censurabile (cfr. sent. Corte cost. n. 236/2016).
Ancora l’art. 13 estende il c.d. Daspo urbano, consentendo il divieto di accesso a determinate aree cittadine per un periodo massimo di dodici mesi anche in presenza di una semplice denuncia (perfino risalente ai cinque anni precedenti).
Appare qui evidente il contrasto con l’art.2, protocollo 4, della Cedu (cfr. sent. GC Corte EDU De Tommaso c. Italia), nonché con la riserva di giurisdizione in materia penale prevista dall’art.13, comma 2 della Costituzione.
In materia di impedimento alla libera circolazione su strada, l’art. 14 trasforma, con l’evidente finalità di reprimere il dissenso politico, l’illecito amministrativo in delitto, laddove la condotta venga attuata “con il proprio corpo” anche su “strada ferrata”, prevedendo altresì un’aggravante “se il fatto è commesso da più persone riunite”. Evidente, mi pare, l’irragionevole aumento di pena rispetto alla sanzione della fattispecie base (punita con la reclusione fino a un mese o la multa fino a 300 euro) e il contrasto con diritti costituzionali, quali quello di riunione (art. 17) e sciopero (art. 40).
Nell’art. 15 (Modifiche agli articoli 146 e 147 del Codice penale in materia di esecuzione penale e di misure cautelari nei confronti di donne incinte e madri di prole di età inferiore a un anno o a tre anni) la modifica introdotta prevede che anche le donne incinte, o madri di infante di età inferiore ad anni uno, possano essere oggetto di incarcerazione, sebbene presso un istituto a custodia attenuata per detenute madri. Anche su questa norma potrebbe intervenire la Corte costituzionale alla luce del violato interesse preminente del minore, protetto dalla Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e adolescenza (firmata a New York il 20.1.1989 e ratificata con la L.n.176/1991), essendo la Consulta, con plurime sentenze, già intervenuta sulla disciplina penitenziaria concernente, a vario titolo, il rapporto tra genitori detenuti e figli (da ultimo, cfr. sent. n. 30/2022 e 52/2025).
L’art. 26 (Modifica all’articolo 415 e introduzione dell’articolo 415 bis del Codice penale, per il rafforzamento della sicurezza degli istituti penitenziari) prevede un’aggravante se le condotte di fabbricazione o detenzione di materie esplodenti avvengano all’interno di un istituto penitenziario ovvero a mezzo di scritti o comunicazioni diretti a persone detenute.
L’aggravante si pone in aperto contrasto con la nozione di ordine pubblico materiale, e non formale, il quale solo può formare oggetto di tutela penale (cfr. sent. Corte cost. n. 108/1974).
Infine, quanto al reato di rivolta all’interno di un istituto penitenziario, di cui all’art. 415 bis c.p., si equiparano, sanzionandole in modo uguale, condotte assolutamente diverse.
Alla violenza o minaccia che possono accompagnare una sommossa vengono, infatti, aggiunte condotte di resistenza anche passiva all’esecuzione degli ordini, commessi congiuntamente da tre o più persone.
In questo modo, oltre alla consueta irragionevolezza, quanto all’assimilazione di condotte all’evidenza diverse, qualunque condotta di dissenso (perfino includente la previsione di resistenza passiva), verrà punita con la spropositata sanzione da due a otto anni di reclusione (per i promotori, organizzatori o dirigenti) e da uno a cinque per i partecipanti.
Ancora con l’art. 34 del d.d.l. si prevede l’inclusione degli artt. 415 e 415 bis c.p. tra quelli di cui all’art. 4 bis, comma 1 ter ord.pen. con conseguente inibizione ai benefici nel corso dell’espiazione della pena, così implementando il sovraffollamento carcerario.
I principi costituzionali garantiscano la sicurezza
Queste alcune (fra le altre, che da un esame più attento potrebbero enuclearsi) delle possibili questioni di costituzionalità che si potrebbero porre con riferimento ad un provvedimento che criminalizza condizioni di disagio e il dissenso, in nome di un’idea autoritaria dei rapporti sociali, senza alcuna particolare efficacia e con costi che si misurano in termini di restrizioni delle nostre libertà e dello Stato di diritto.
Più diritto penale e più carcere non equivalgono a più sicurezza, che è un tema centrale ma va, ma va sempre affrontato con strumenti e modalità assolutamente rispettosi dei principi costituzionali e dunque non ci resta che confidare nell’intervento riequilibratore della Consulta.
Presidente della Camera Penale Friulana
- Rino Battoclettihttps://ilpassogiusto.eu/author/rbattocletti/