Energia, autonomia, sviluppo locale
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Il vento popolare della protesta che ha preso di mira le distese fotovoltaiche nei terreni agricoli non manca oggi di rivoltarsi contro proposte di pale eoliche nelle prealpi orientali delle Valli del Natisone e Torre. Motivi non ne mancano ma comincio a provare qualche dubbio sulla razionalità di alcune di queste posizioni e sulla facilità con cui si affrontano questioni territoriali complesse.
Cercherò di partire dalla novità della proposta eolica, ma la cosa ormai riguarda anche le altre due fonti rinnovabili che troviamo nei nostri territori, il solare fotovoltaico e l’idroelettrico.
Non nascondo di avere una posizione “ideologica”: aria, acqua e sole, elementi fondamentali della cosiddetta transizione energetica basata sulle fonti rinnovabili, sono dei beni comuni dell’intera umanità e non merci a disposizione di produttori e commercianti che se ne appropriano.
Le comunità locali su questi beni vivono e con essi si confrontano per controllarne la disponibilità e gli effetti sulle dinamiche ambientali, sociali ed economiche che il loro eventuale uso determina.
Lo stesso referendum del 2011 aveva sancito questo principio in Italia con il voto popolare.
Un inatteso progetto eolico
Il fatto di cronaca: si è aperto un procedimento amministrativo per la realizzazione di un campo eolico ed energetico denominato “Pulfar” sul monte Craguenza nelle Valli del Natisone unitamente ad una stazione di stoccaggio, dalla potenza di 28 MW per la generazione e di 20 MWh per l’accumulo. Compresi gli interventi accessori (trasporto, etc.) si tratta nel complesso di un investimento dichiarato superiore ai 60 milioni di euro.
Come succede spesso con le mirabolanti richieste di “parchi fotovoltaici” sui terreni agricoli si sono concretizzate opposizioni, sia di cittadini che di istituzioni, per motivi ambientali e paesaggistici ed anche per eventuali effetti di danno economico su prospettive di sviluppo dell’area.
Come per il solare nei campi anche in questo caso la diatriba si giocherà sulla legittimità delle richieste, confortate da leggi che cercano di favorirne (e talvolta di limitarne) la realizzazione nel quadro della transizione energetica e quindi della lotta al cambiamento climatico.
Non entro in questo dibattito e cerco di introdurre una valutazione di tutt’altro tipo. Dò per scontato che il “vento” adatto alla produzione di energia elettrica con le pale eoliche ci sia effettivamente nel caso in oggetto e che gli investitori non abbiano dato i “numeri” per burla. Magari servirebbe una verifica ben documentata.
L’energia prodotta sulla base della proposta equivale alla soddisfazione di fabbisogno elettrico per cittadini e imprese (non super energivore) di una ampia area delle valli del Natisone e del Torre. Per chi si propone l’intervento c’è un sistema del credito (e del debito) che mette a disposizione i 60 milioni di euro perché è convinto che si tratti di un buon affare.
Chi conosce i meccanismi di sostegno alla transizione energetica e il costo della produzione nel caso dell’energia elettrica da fonte eolica (la cosa vale analogamente per il fotovoltaico) sa che questo investimento, se realizzato, rientrerà nei suoi costi nel tempo di circa cinque anni e poi continuerà a dare ulteriori profitti.
Un po’ di conti
Sul piano prettamente industriale la letteratura in materia, senza tener conto degli incentivi, chiarisce che il costo di produzione di energia elettrica da fonte eolica va in media sui 40 euro a MWh, così come quella fotovoltaica viene valutata sui 50 euro a MWh. Per semplice confronto quella termo-elettrica dipende fortemente dalle materie prime utilizzate e può variare dai 100 ai 200 euro a MWh.
Anche il più “economico” uso dell’energia nucleare, che non riesce a mettere nel conto tutti gli elementi di spesa (in particolare lo smaltimento delle scorie e il de-commissioning dell’impianto, ma anche i ritardi nella progettazione e realizzazione degli impianti), è comunque superiore ai 100 euro a MWh.
Ogni fonte di produzione ha poi le sue caratteristiche di continuità o di frammentarietà della produzione che deve confrontarsi con le richieste della rete, e quindi con i problemi di stoccaggio, trasporto e distribuzione.
I prezzi pagati dai consumatori nelle bollette sono ben diversi e dipendono da un meccanismo di formazione gestito dalle autorità di sistema non correlato alla media dei costi dei produttori nelle diverse modalità.
Di questi tempi in Italia per un consumatore normale non si va mai sotto i 200 euro a MWh.
Produrre energia elettrica da fonti rinnovabili, l’idroelettrico (se c’è l’acqua) ha addirittura attivi di molto superiori a quelli sopra segnalati, quindi conviene e c’è la corsa di “investitori”, a credito o a debito, a giocare anche questa partita.
Chi non sa giocarla, e ad esse in più sono frapposte mille difficoltà, sono le comunità territoriali custodi dei “beni comuni” costituiti dall’acqua, dal sole e dal vento. E per la verità la stessa consapevolezza di questo diritto latita.
La partita che le comunità devono poter giocare sono non solo quelle della produzione, ma anche quelle della distribuzione nel proprio territorio e quella dello stoccaggio in una logica anche di integrazione con reti generali ma in cui l’intelligenza artificiale e le connessioni guidate (smart grid) permettano di massimizzare il rapporto tra produzioni e utilizzazioni diffuse in un determinato territorio.
Perché i vantaggi d’uso di quel che è “nostro” devono essere di “loro”
La politica, europea, statale, regionale, percorre altre strade rispetto a prospettive di autonomia energetica dei territori, senza voler o saper interpretare adeguatamente il concetto di resilienza che talvolta emerge e che nei “mala tempora” odierni significherebbe anche un concetto di “difesa” ben più efficace di quello militare dei confini.
Il neo liberismo vuole che il mercato si impadronisca di tutto. E allora si dia anche la possibilità al “popolo” dei territori di fare i propri affari, organizzandosi per avere l’energia elettrica basata sulle proprie risorse al suo vero costo e non a quello della speculazione.
In fin dei conti era quanto faceva la cooperazione nelle valli alpine oltre 100 anni fa, e i cui ultimi resti sono peraltro ancora vivi.
Qualcuno può domandarsi: con quali soldi, per investimenti da dimensioni quali quelle del caso eolico da cui sono partito? La risposta non è banale ma concreta.
Fonte la Banca d’Italia, la ricchezza privata in Friuli-Venezia Giulia è di circa 230 miliardi di euro, circa metà di proprietà immobiliari ed il resto in valori finanziari. Chi utilizza oggi la dinamica finanziaria di questa ricchezza è un sistema che ormai non ha più nessun rapporto con il territorio e che gioca, anche e oltre ai titoli di stato, su un mercato globale.
Con riferimento al caso concreto dell’eolico nelle Valli, sempre che la miniera del vento ci sia e che sia gestibile con rispetto territoriale, non vedo perché una qualche forma di Comunità montana con aggregazione di propri cittadini ed imprese che vivono sul territorio non possa indebitarsi di 60 milioni di euro ed organizzare una risposta energetica conveniente per chi vive in quella realtà, gestendo correttamente le risorse locali ed i beni comuni.
Se la politica regionale, oggi ricca di risorse anche finanziarie, giocasse la propria specialità in questa direzione cercando le soluzioni amministrative adeguate e iniziando le vertenze necessarie con lo Stato e l’Unione europea là dove attualmente ci è impedito di arrivare, gliene saremmo ben grati.
Attivo in politica dai primi anni Sessanta del secolo scorso, è stato consigliere regionale di opposizione per tre legislature e per due mandati assessore all’Urbanistica e alla Mobilità del Comune di Udine, presidente regionale di Legambiente FVG negli anni Novanta e Duemila. Saggista, ha decine di pubblicazioni all’attivo. Collabora con testate di informazione locale su temi di attualità politica, sociale ed economica.
- Giorgio Cavallohttps://ilpassogiusto.eu/author/gcavallo/
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