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Numero 43 | 10 ottobre 2025

Gorizia sinagoga

Ebrei a Gorizia, restano i segni della loro comunità


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Tra le tante culture che hanno caratterizzato la storia di Gorizia, una considerazione a parte merita la comunità ebraica. 

Si tratta di una presenza molto radicata, certamente almeno dal 1600, quando è attestato l’insediamento nella zona della Cocevia. Si tratta di una via seminascosta della città, addossata alle pendici del colle del castello e parallela della più nota via Rastello.

All’inizio del ‘700 gli ebrei goriziani si trasferiscono nella parte della città che ancora oggi viene ricordata come il ghetto. Corrisponde all’attuale via Ascoli e in origine era chiusa da un cancello con artistiche decorazioni che ancora oggi può essere ammirato all’ingresso del parco dedicato al piccolo Bruno Farber, di famiglia originaria di Gorizia, deportata nei campi di sterminio quando il bimbo non aveva ancora compiuto i tre anni.

Nella zona ci sono le caratteristiche case, alte e con diversi piani per occupare meno spazio possibile. Fino a non molti anni fa, era possibile notare presso gli stipiti delle porte le fessure, nelle quali ogni famiglia poneva un foglietto con sopra scritta una delle tante leggi contenute nel libro della Torah. Recenti restauri hanno rimosso i pezzetti di legno che coprivano tali autentiche memorie storiche, cementando in modo piuttosto rozzo i buchi così creati. Alcuni portali riportano l’anno di costruzione secondo il calendario ebraico.

Lo stesso vale per la Sinagoga, di certo l’edificio più ragguardevole della zona, considerata unanimemente una delle più belle dell’intero Centro Europa. E’ datata 1756, ma un’opportuna tabella riporta anche l’anno “dalla creazione del mondo” 5516. Sopra la maestosa facciata campeggiano le tavole della legge. Entrando per un vetusto portone, si entra in un piccolo cortile, nel quale una lapide ricorda il nome e l’età di 73 ebrei deportati nei campi di sterminio. La maggior parte di essi è stata caricata con la forza sui camion in una sola notte, il 23 novembre 1943. Dei tanti partiti, solo due sono ritornati. I sopravvissuti hanno mantenuto in vita la comunità fino all’inizio degli anni ’70 del XX secolo, quando è stata assorbita da quella di Trieste.

La Sinanoga e altri ricordi

Al piano terra è custodita una preziosa rassegna di importanti ricordi, la memoria di una vera e propria Gerusalemme sull’Isonzo, con molti riferimenti a diverse insigni figure che hanno portato la Cultura goriziana in un ampio ambito internazionale. Solo per ricordare alcuni nomi, si può iniziare dal rabbino Isacco Reggio, al quale è dedicata la scalinata di pietra che collega l’antico corso del Corno con la stessa via Ascoli. All’inizio della via, c’è la casa natale dello stesso Graziadio Isaia Ascoli (1829-1907), uno dei più noti glottologi del XIX secolo, mentre in piazza del Travnik – oggi chiamata pomposamente Piazza della Vittoria – è nato Carlo Michelstaedter (1887-1910), importante filosofo, la cui tesi di laurea, dedicata alla Rettorica e alla Persuasione, è un vero e proprio manifesto dell’inquietudine esistenziale che serpeggia nella Mitteleuropa alla vigilia della catastrofe della prima guerra mondiale. Come non ricordare poi Carolina Luzzatto (1837-1919), prima donna a dirigere un giornale in Italia oppure Silvio Morpurgo (1881-1941), apprezzatissimo medico di tutti i goriziani, morto di crepacuore dopo essere stato costretto dalle leggi razziste mussoliniane a lasciare non soltanto la professione ma anche la casa, sita nell’attuale Largo Culiat. La moglie, Elda Michelstaedter, era la sorella di Carlo ed è morta ad Auschwitz nel 1944.

Al primo piano si trova la sala della preghiera, con gli scranni dove sono conservati i rotoli della Legge antica, i matronei sui quali un tempo si affacciavano le donne nei momenti di preghiera e l’originale pavimento bianco/nero, quasi regolare, salvo per una piastrella fuori posto che vuole ricordare al visitatore che solo Dio è perfetto e tutto ciò che viene realizzato dagli uomini è invece sempre limitato e frammentario.

Vale la pena di dedicare un po’ di tempo anche all’esterno dell’aula di preghiera, dove si può passeggiare nel giardino, in particolare dietro alla stessa sinagoga. Nel piccolo spazio ricavato tra l’edificio e la riva che scende verso la via Brass, si trova un’interessante scultura-teatrino, dedicata ai bambini. Rappresenta la festa del Purim, quella nella quale si racconta la liberazione degli ebrei operata grazie alla mediazione della regina Ester e di Mardocheo, nonché le gioiose celebrazioni che si tengono ogni anno per ricordare tale evento. L’opera, commissionata dal Comune di Gorizia nel 2007, è stata disegnata dal famoso scenografo e illustratore genovese Emanuele Luzzati (1921-2007) e realizzata da Coca Frigerio (1937-2023), fondatrice del gruppo Giocare con l’arte.

Se la zona del ghetto e la Sinagoga sono importanti memorie dell’ebraismo goriziano, un altro sito molto suggestivo è il cimitero di Rožna dolina, zona conosciuta in italiano con il toponimo di Valdirose. Si trova qualche centinaio di metri dopo il valico internazionale della Casa Rossa, in territorio sloveno, poco distante dal viadotto della strada che conduce verso la galleria del Panovec e la zona commerciale di Nova Gorica.

Il disordinato cimitero di Rožna Dolina

Varcato il fiumiciattolo chiamato Vrtojbica, si entra nello spazio cimiteriale, rimanendo subito colpiti dall’apparente disordine con il quale sono seminate le tombe. Sembra quasi che l’armonia e la spiritualità del luogo, siano particolarmente accentuate proprio dall’apparente casualità delle disposizioni. Val la pena di esaminare le lastre sopravvissute all’incedere del tempo. Il cimitero è stato inaugurato nel 1881, vi si scoprono i principali cognomi, alcuni dei quali già richiamati, della comunità. Ci sono iscrizioni in lingua ebraica – lo »Shalom« è riconoscibile anche da chi non conosce i caratteri antichi – ma anche in italiano, tedesco e latino. Sono molto belli i simboli, si potrebbe dire sorprendenti. Accanto al vaso dal quale fuoriesce un fiotto abbondante di acqua – memoria evidente dello scorrere della vita verso il suo svuotamento – si incontra spesso il segno di Giona, un uomo inghiottito dal mostro marino, come a voler ricordare un’apertura alla speranza. Il profeta antico è stato sì mangiato dalla morte, ma poi essa ha dovuto risputarlo sulla spiaggia di una nuova vita. Non si tratta certo di un appoggio all’allegoria cristiana, bensì di un invito alla speranza che la morte non abbia sempre l’ultima parola rispetto alla vita.

Tra le tante tombe, merita soffermarsi in meditazione di fronte al piccolo cippo che ricorda il grande filosofo goriziano Carlo, quasi sovrastato da quello che ricorda lo zio Alberto Michelstaedter, quasi un riproporsi delle difficoltà che il giovane studente aveva incontrato nella propria famiglia e più in generale nella realtà goriziana agli albori del XX secolo. Tempo fa, la sua tomba era all’ombra di un albero giapponese, dalla forma simile a una mano tesa versa l’alto, una specie di invocazione – o forse imprecazione – verso il mistero che tutto e tutti trascende.

Ecco, sono solo alcuni minimi spunti, accompagnati dal caldo invito a venire a Gorizia e a immergersi nella realtà dell’ebraismo, un’esperienza ricca di storia, di arte, di cultura, di autentica e profonda spiritualità.

Andrea Bellavite
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Goriziano di adozione. Giornalista professionista, teologo, scrittore, operatore sociale, soprattutto viandante. Ha scritto diversi testi riguardanti il territorio e numerosi articoli su riviste di cultura politica, archeologica, filosofica e teologica. Lavora presso la Basilica di Aquileia. Direttore responsabile della rivista Isonzo Soča, è collaboratore del Kulturni dom di Gorizia. Cura il blog storieviandanti.blogspot.com.

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