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Numero 42 | 26 settembre 2025

Abitanti e ospiti: in cammino con Riccardo Carnovalini per riflettere su turismo, ospitalità e comunità

Abitanti e ospiti: in cammino con Riccardo Carnovalini per riflettere su turismo, ospitalità e comunità


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«Curioso viene dal latino cura. Curiosità e cura: sono questi gli ingredienti fondamentali della ricetta di valori che la nostra Carta propone in un singolare botta e risposta tra abitanti e ospiti. La fertile curiosità dell’ospite che scopre il paesaggio storico; la cura secolare dei Walser nel costruirlo con fatica e con il senso del limite imposto dall’ambiente alpino. Curiosità come lentezza e silenzio, cura come accoglienza educante e autentica, sempre più ricercata da chi viaggia».

Con queste parole Riccardo Carnovalini ha introdotto la  Carta dei valori Walser alle 35 persone che domenica 14 settembre hanno camminato insieme a lui da Opicina a Trieste. L’iniziativa, organizzata da Territori in Movimento e Patto per l’Autonomia, aveva un obiettivo chiaro: riflettere e confrontarsi sul turismo partendo da un decalogo che aspira a tutelare patrimonio culturale e paesaggistico pensando al futuro delle comunità.

Cosa possiamo imparare dai Walser

I Walser, popolo di origine germanica, tra XII e XIII secolo migrarono dal Vallese verso nuove valli alpine, fondando insediamenti in zone impervie del Monte Rosa, dei Grigioni, del Vorarlberg, fino all’Alta Savoia, all’Oberland Bernese, al Ticino e al Tirolo. Il relativo isolamento ha permesso loro di conservare per oltre 700 anni non solo l’architettura, ma anche lingua e cultura.

La Carta dei valori Walser nasce da un percorso collettivo: sette incontri, più di venti ore di confronto in presenza e online, 200 persone coinvolte e oltre 2000 chilometri percorsi insieme. I principi emersi sono numerosi e profondi: adattamento, rispetto, collaborazione, cooperazione, solidarietà, familiarità, accoglienza, responsabilità, consapevolezza, conoscenza, creatività, qualità, durevolezza, bellezza, salvaguardia, sostenibilità.

Ne risulta una guida pensata sia per gli abitanti che per gli ospiti, che sottolinea come il turismo possa essere una risorsa solo se fondato su un rapporto rispettoso e generativo, capace di armonizzare ambiente, cultura ed economia. L’intento non è quello di chiudere la porta, né un impraticabile né utile ritorno al passato, bensì la volontà di salvaguardare il patrimonio culturale e paesaggistico con l’importante ricchezza delle conoscenze e dei valori che sono tuttora attuali e utili per affrontare le sfide del nostro tempo, riconoscendo i limiti ambientali e gli equilibri del territorio, nonché rispettando le aspirazioni delle persone e delle Comunità.

E se può sembrare qualcosa di astratto o di irrealizzabile, i riferimenti che guidano il decalogo sono invece assai concreti e attuali: la Costituzione della Repubblica Italiana, la Convenzione Europea del Paesaggio, alla Convenzione per la salvaguardia del Patrimonio Culturale Immateriale dell’UNESCO, l’Enciclica Luadato Sii e l’Agenda ONU 2030. Riferimenti che diventano una dichiarazione di impegno, un decalogo che tocca temi a noi particolarmente cari, di quella che, come noi, è una “civiltà di frontiera”: la partecipazione attiva; la lingua come bene culturale e oggetto di curiosità; l’economia di pace tra esseri umani e con pianeta come strumento di contrasto allo spopolamento e di giustizia intergenerazionali; l’armonia con la terra e la solidarietà di fronte al cambiamento climatico; agricoltura sostenibile e pratrimonio alimentare; la salvaguardia di bosco, prato e pascolo; l’ospitalità; la cura e custodia del territorio; la conoscenza e la consapevolezza. Un testo in cui ogni parola conta e nessuna è di troppo, da leggere e assimilare con attenzione e con il gusto con cui si assapora un liquore di qualità.

Il decimo punto del decalogo contiene quello che dovrebbe diventare un impegno o un giuramento per noi tutti: “Noi, abitanti, amministratori, operatori economici delle Comunità ci impegniamo a dedicare il tempo necessario all’interazione con i luoghi e la cultura […]”. E possiamo ritenerci fortunati per la generosità delle Comunità Walser che hanno voluto diffondere quest’opera delicata e profonda anche a comunità lontane perché ne possano trarre i giusti insegnamenti.

Camminare a fianco di un gigante

Ad accompagnare questo percorso urbano è stato Riccardo Carnovalini, una delle figure più straordinarie e visionarie del camminare in Italia ed Europa. Nato a La Spezia nel 1957, da oltre quarant’anni percorre a piedi il continente, documentandone la bellezza ma anche le contraddizioni. Una rivoluzione lenta, fatta di passi, incontri, scatti e racconti: una ventina di libri, centinaia di reportage per riviste come Atlante, Airone, Epoca, collaborazioni con il Touring Club Italiano, l’Istituto Geografico De Agostini e Getty Images.

Il suo archivio conta oltre mezzo milione di fotografie, molte su pellicola di medio formato. Tra i suoi viaggi a piedi: due volte l’Appennino e tre volte le Alpi per intero; quattromila chilometri di coste italiane da Trieste a Ventimiglia; il periplo di Sardegna e Sicilia; il Camminaitalia lungo l’intera dorsale appenninica; PasParTu, seimila chilometri senza meta per raccontare un’Italia che si fida; la via Appia da Roma a Brindisi; e ancora l’Europa da Trieste a Copenaghen ai tempi del Muro, il TransAlpedes da Vienna a Nizza, tutta la Scandinavia fino a Nordkinn.

La sua ultima avventura, 365 volte Europa, è stata un viaggio di un anno intero attraverso il continente, concluso rientrando in Italia lungo la Rotta Balcanica al fianco dei migranti, fino a Trieste.

Ed è stato proprio al Porto Vecchio, simbolo del futuro della città e al tempo stesso rifugio per persone migranti, che il cammino Abitanti e ospiti si è concluso: un luogo emblematico che richiama il viaggio di Carnovalini e invita a guardare con occhi nuovi il rapporto tra accoglienza, comunità e turismo.

Un contributo a una narrazione polarizzata

Il cammino urbano è stato un momento di riflessione prezioso su un tema oggi al centro del dibattito, reso ancora più caldo dall’attenzione che testate nazionali e internazionali – tra cui il New York Times, che ci ha intervistato proprio avendo trovato un articolo sul tema su Il Passo Giusto! – stanno dedicando a Trieste.

Interrogarsi sul turismo a partire dalla comunità ospitante non significa “essere contro” o rinunciare a un’importante opportunità economica. Significa piuttosto chiedere che il fenomeno venga studiato, monitorato e gestito, attraverso un osservatorio che raccolga dati e orienti le politiche. Solo così si evitano storture che portano a fenomeni di overtourism, quando i cittadini smettono di voler accogliere e la destinazione perde autenticità, diventando paradossalmente meno attrattiva anche per i visitatori. In tal senso, partire dall’Obelisco di Opicina e poter osservare l’impatto sul paesaggio delle immense navi da crociera ormai quasi sempre ormeggiate in pieno centro è stato un avvio di cammino piuttosto eloquente.

Venezia, Firenze, Barcellona insegnano che senza governance i danni possono diventare irreversibili. Allo stesso tempo, modelli virtuosi – come quello delle comunità Walser – dimostrano che è possibile immaginare un turismo diverso, basato su equilibrio, rispetto e reciprocità.

Abitanti e ospiti non è stato solo un cammino, ma un invito a prendersi cura: della città, delle persone che la abitano, di chi la visita. Perché solo così potremo scegliere un futuro fatto di bellezza condivisa e comunità che non si consumano, ma crescono.

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