Qualche domanda sulla salute dei fiumi, il clima, la sicurezza
Mentre resta aperta l’annosa questione sulla sicurezza del Tagliamento e le esondazioni dei fiumi sono sempre più frequenti e disastrose (vedi Versa ma anche fuori Regione basti pensare all’Emilia-Romagna, a Torino, a Genova, il Veneto per citarne alcuni) sono lecite alcune domande, I nostri fiumi come stanno? Dobbiamo sentirci al sicuro? Cosa possiamo fare?
Per rispondere a queste ed altre domande abbiamo fatto una chiacchierata con Andrea Marin, idrobiologo, laureato in scienze naturali, di Udine.
Prima di addentrarci nell’argomento vorrei chiederti chi ha la responsabilità della manutenzione dei corsi d’acqua?
I fiumi sono di proprietà del demanio e fondamentalmente sono di competenza regionale, però è chiaro che spesso si incrociano varie competenze come nel caso delle strade comunali o dei ponti dove capita sovente si accumuli la vegetazione sui piloni. Questi possono essere di competenza, ad esempio, di ANAS, Ferrovie dello Stato, oppure FVG Strade. Va ricordato che spesso i fiumi fanno da confine tra comuni e questo provoca il classico “rimbalzo di responsabilità” tra enti confinanti che poi blocca le cose.
I Consorzi di Bonifica c’entrano qualcosa?
Sì c’entrano, ma hanno competenza esclusiva sulla loro rete di canali, non sui fiumi principali. E’ vero che hanno delega dalla Regione per lavori di manutenzione, ma sono deleghe specifiche e puntuali.
Perché i casi di eventi estremi avvengono con sempre maggiore frequenza?
Siamo dentro un regime di cambiamento climatico, pensiamo alle piogge per le quali non abbiamo una indicazione statistica per sapere se nell’arco di un anno il volume di pioggia è complessivamente aumentato o diminuito, ma possiamo affermare che la pioggia è concentrata in pochi eventi di durata di poche ore, quindi se la pioggia totale, grossomodo, resta la stessa, ciò che cambia è che essa è concentrata in pochi eventi, molto più potenti ed intensi che sprigionano molta energia; questo comporta inoltre che, tra un evento e l’altro, ci siano lunghi periodi di siccità o con precipitazioni scarsissime costringendoci ad affrontare due opposti eventi estremi: forti siccità e piogge intense.
Visti anche gli ultimi fatti di cronaca, quali sono i pericoli derivanti da una piena?
Possono succedere, principalmente, due cose: la più pericolosa è quando la piena rompe gli argini, perché crea un’ondata molto violenta e veloce che mette a rischio la vita delle persone oppure può tracimare, che è quanto accaduto a Versa, e provocare uno sviluppo più lento e graduale. È fondamentale che gli argini siano diaframmati di cemento e bisogna sviluppare un meccanismo di allerta che sfrutti i dati in tempo reale così da evitare di perdere vite umane.
Dato che hai citato Versa, hai avuto modo di capire perché si è arrivati all’esondazione?
L’evento principale è stato contenuto in 3 ore di pioggia ed essendo un bacino piccolo e stretto si è avuto in pochissimo tempo la piena, rendendo molto difficile la gestione con tempismo dell’allarme.
È colpa della mancanza di pulizia degli alvei e degli argini o del mancato sghiaiamento come molti sostengono?
No, non è assolutamente la causa principale, il problema è la pulizia e la manutenzione nei punti critici tipo le strettoie, l’incrocio con ponti e strade che spesso fanno da diga. Per quanto concerne la pulizia dell’alveo del fiume, nei casi come quello del bacino dello Judrio di qualche giorno fa, che viene classificato con un tempo di ritorno (*) di più di 200 anni, non c’è possibilità alcuna che un alveo, anche se perfettamente pulito, possa trattenere tutta quell’acqua. L’alveo, con eventi di questo tipo, è portato ad esondare nelle golene a fianco, che essendo spesso occupate da varie attività antropiche (industrie, abitazioni) ne provoca l’allagamento.
Certamente esistono varie opere di mitigazione che possiamo implementare, ma la pulizia e lo sghiaiamento sono funzionali solo nei punti critici, non per tutto l’alveo anche perchè, andando a tagliare la vegetazione essa dopo poco tempo ricrescerà, ripresentando il problema da capo, inoltre avremo presenze di specie invasive tipo rovi; ma anche l’escavazione di ghiaie non è una soluzione sempre efficace perchè i sedimenti vivono in una situazione di equilibrio naturale: tanto è depositata, tanto viene erosa e perciò, ove la togliessimo, la ghiaia ritornerà perchè i fiumi depositano dove noi asportiamo, quindi in pochi anni saremo punto e a capo. Dobbiamo considerare l’aspetto economico: sghiaiare, tagliare la vegetazione ha un costo elevato e in Friuli-Venezia Giulia abbiamo migliaia di chilometri di alvei su cui operare ogni 2-3 anni; è una soluzione impraticabile.
Dobbiamo renderci conto che l’uso del territorio è stato sbagliato, che gli argini sono stati innalzati troppo vicino ai fiumi e le golene sono state occupate da troppe attività sensibili, la soluzione è ridare più spazio ai fiumi per contenere questi eventi estremi, che si ripeteranno sempre più spesso, andando in questo modo a limitare i danni.
I progetti e le opere si basano su dati corretti?
Le opere che realizziamo sui fiumi (ponti, aperture degli spazi tra piloni, argini) sono progettati per contenere all’interno degli argini piene con un dato tempo di ritorno (solitamente 100 anni), tempo che è calcolato, su base statistica, con modelli di precipitazioni storiche (circa 120 anni di dati), ma adesso la frequenza e l’intensità sta cambiando molto rapidamente, quindi il modello su cui ci siamo basati 20 anni fa per costruire ponti, strade ed argini non è più attuale e questo può mettere in crisi le strutture e le opere che abbiamo costruito negli ultimi decenni.
Quali azioni dobbiamo mettere in campo per prevenire questi eventi?
Ribadisco che l’azione più urgente è quella di ridare spazio ai fiumi allargando gli argini e creare zone di esondazione naturale e controllata per diminuire il danno. Se questi terreni dovessero essere campi coltivati dovremo prevedere degli indennizzi per gli agricoltori, questa è la migliore strategia. Sarebbe stato meglio agire prima sulle emissioni e sulla mitigazione degli effetti del cambiamento climatico, ma non possiamo più tornare indietro.
Ci sono altre opere a cui pensare: prima di tutto, bisognerebbe ricostruire alcuni ponti facendoli più alti e senza piloni nel mezzo, dato che le tecnologie oggigiorno lo permettono; poi sviluppare un piano di gestione dei sedimenti che, purtroppo, in regione ancora non c’è. Questo permetterebbe di conoscere la consistenza del trasporto solido dei fiumi, dove ci sono gli accumuli di ghiaia, dove invece c’è dell’erosione che sta mettendo in crisi la struttura, questo per pensare interventi mirati e puntuali.
Guardando la carta idrografica del F-VG quali sono, secondo te, i punti che necessitano di un intervento prioritario?
Sicuramente lo Judrio e il Versa per le loro caratteristiche di pericolosità, ma anche la parte dei bacini montani è molto critica perchè anch’essi sono stretti e acclivi; vero che di solito non vengono interessati da precipitazioni così intense, ma hanno un problema geologico dovuto alle franate o alle colate di detriti.
Se ne fa un gran parlare, secondo te le grandi opere tipo dighe o sbarramenti hanno una utilità?
Io ho una posizione molto critica su queste opere perché qualsiasi opera trasversale rispetto al fiume, crea un’interruzione del corso d’acqua e serve dunque a garantire sicurezza solo con piene di un certo tipo ma, come abbiamo detto, i tipi di piena possono essere diversi e sono in costante evoluzione. Se entriamo nello specifico del Tagliamento è un fiume che ha ancora la possibilità di espandersi lateralmente su aree non densamente abitate sia nell’alto che medio corso, la cosa da fare è studiare un piano di esondazioni controllate in zone già ora adibite ad agricoltura e pensare a degli scolmatori di piena che possano deviare una parte della portata verso la laguna di Caorle e verso quella di Grado e Marano, in quest’ultima peraltro vi è una crisi idrogeologica e naturalistica per la mancanza di sedimenti e di acqua dolce.
(*) probabilità statistica, in base ai dati in possesso, di ripetizione dell’evento atmosferico
Ecologista e federalista, classe 1991, ex co-portavoce regionale di Europa Verde F-VG, diplomato professionale, inizia la sua esperienza lavorativa nella ristorazione e poi nella logistica, ora metalmeccanico . Da queste esperienze comprende che il mondo del lavoro deve cambiare e che la necessaria transizione ecologica dovrà per forza passare dalla rivoluzione del sistema produttivo.
- Daniele Andrianhttps://ilpassogiusto.eu/author/dandrian/
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