L’amôr dai ultins. La storia di Woody Guthrie in un podcast in lingua friulana
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Siamo nei primi anni ’30, un treno avvolto in una nuvola di fumo nero attraversa le pianure tra il Texas e il New Mexico. E’ un treno merci ma dentro ai vagoni si nasconde anche un’umanità variopinta e sconquassata in cerca di fortuna: neri, indiani, latitanti, vagabondi, immigrati.
C’è chi scappa dalla legge e chi dalla fame, nell’America della Grande Depressione i disoccupati si contano a milioni.
Su quel treno, con la sua chitarra ammaccata, c’è anche un ragazzo smilzo e allegro che viene da uno sperduto paesino dell’Oklahoma con una missione: guadagnarsi il pane con la musica, raccontando con le canzoni tutto ciò che vede attorno a sè.
Quel ragazzo si chiama Woody Guthrie, diventerà il padre della canzone di protesta americana, un riferimento assoluto per tanti grandi musicisti del ‘900.
A lui è dedicato il podcast in lingua friulana “L’Amôr dai ultins. La storie di Woody Guthrie”, tre puntate in cui ho provato a raccontare una storia che mi è sembrata, ancora oggi, piena di significati.
C’è l’aspetto umano e c’è quello politico, che sono inscindibili nella parabola di Guthrie, quella di un uomo che prova un forte senso di appartenenza per quell’America vagabonda e sofferente, che sceglie di esserne il megafono, di raccontarne l’umanità. Che si esibisce nei campi profughi, nelle bettole, nelle bidonville.
Che si arruola volontario nella marina per combattere il nazifascismo dipingendo nella sua chitarra la scritta “this machine kills fascists”.
Fuga, migrazione, speranza di futuro
Al centro della storia c’è la questione dei migranti, che seppur in luoghi e tempi diversi, segue schemi molto simili a quelli dei nostri giorni: il sogno di un futuro migliore, la speculazione, il rigetto da parte delle popolazioni locali, la repressione, la sofferenza.
I migranti che Woody racconta sono gli americani che dall’Okhlahoma, dal Texas, dal Tennesee abbandonano le loro fattorie desolate per raggiungere la California, il “garden of Eden” come lo chiama Guthrie parafrasando gli slogan dell’epoca che lo descrivevano come un luogo idilliaco.
Fuggono dalle ipoteche, dalla miseria ma anche dal “dust bowl”, le terrificanti tempeste di sabbia causate da un utilizzo spregiudicato del suolo nelle grandi pianure americane. Migranti climatici, si direbbe oggi.
E qui la storia si incrocia con quella raccontata in uno dei romanzi più celebri e potenti della letteratura americana, Furore di John Steinbeck, che narra della famiglia Joad, contadini proprio dell’Oklahoma che soffocati dai debiti con la banca, su un vecchio camion percorrono la Route 66 diretti in California. Un destino comune a quello di migliaia di famiglie, costrette a una vita di sofferenza e sradicamento.
E’ proprio alla stregua di quei disperati che Woody conquista una certa popolarità, cantandone il disagio e le speranze per una radio di Los Angeles.
Sono canzoni di testimonianza, di denuncia, di rivendicazione. I protagonisti sono i poveri, i lavoratori, gli emigranti, che scappano dai disastri naturali, che combattono contro i loro padroni, contro il capitalismo predatorio e disumanizzante. Sono gli anarchici italiani Sacco e Vanzetti, il bandito Pretty Boy Floyd. E c’è pure Gesù Cristo, descritto come una figura sempre dalla parte degli ultimi, che se avesse predicato ai giorni nostri sarebbe di certo stato messo in croce dal potere dei ricchi.
Old Man Trump
Se potesse vedere cosa succede oggi, chissà cosa direbbe Woody Guthrie davanti allo sfacelo politico e sociale dei nostri anni, alla delegittamazione delle lotte per i diritti, alla devastazione dell’ambiente in nome dei profitti, alla disumanizzazione dei migranti, all’arroganza di Re Trump e dei suoi cortigiani europei (e pure friulani).
E non è un caso se tra le migliaia di canzoni che Woody ci ha lasciato, ce ne sia una, seppure mai incisa, dal titolo “Old Man Trump” dedicata proprio al padre di Donald, accusato da Woody di gestire le sue proprietà con pratiche di affitto discriminatorie nei confronti dei neri e di voler “tracciare una linea di colore” nei suoi progetti residenziali.
La storia di Guthrie, seppur in modo drammatico, finisce con un’altro inizio. Siamo nei primi anni ’60 e nelle strade del Greenwich village di New York girovaga un ragazzo di diciannove anni venuto dal Midwest, innamorato del folk e che vede in Woody come un modello assoluto di riferimento. Per lui è un idolo, lo va a trovare nell’ospedale psichiatrico in cui è ricoverato per una grave malattia neurodegenerativa, gli suona le sue canzoni con la chitarra. Quel ragazzo si fa chiamare Bob Dylan e una delle prime canzoni che scriverà sarà proprio “Song to Woody”, una dichiarazione d’amore al grande cantautore, che morirà qualche anno più tardi, nel 1967, lasciandoci in eredità migliaia di canzoni e il suo messaggio sociale e universalistico che, ancora una volta, potrebbe mostrarci una via di convivenza e di umanità.
E chissà se un giorno, come scriveva lui, scopriremo che “tutte le nostre canzioni sono solo piccole note di una bella e grande canzone”.
Il podcast, che si può ascoltare al link https://radioondefurlane.eu/programs/prova-woody/ e sulle piattaforme Spreaker e Spotify, è stato prodotto da Radio Onde Furlane con il sostegno di Arci Cral “Galante Ciliti” e ANPI San Vito al Tagliamento, con la direzione tecnica di Luca Morocutti e la partecipazione di Corrado Della Libera. La voce di Woody è interpretata da Guido Carrara (già Mitili FLK e Bande Tzingare), musicista e illustratore friulano la cui arte incarna più di tutte, a mio parere, i valori e la libertà compositiva di Woody.
Nato nel 1984, è presidente dell’Associazione Culturale Artetica di Muzzana del Turgnano. E’ autore di alcuni saggi e contributi sulla storia locale e nel 2020 ha scritto per CTRL Magazine il reportage narrativo “Colonos. Storie di Mezzadri nella Bassa Friulana”.
- Lorenzo Casadiohttps://ilpassogiusto.eu/author/lcasadio/
