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Numero 42 | 26 settembre 2025

Tarvisio

La battaglia di Tarvisio, primo atto della Resistenza ancora poco valorizzato.


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L’8 settembre 1943 un reparto di Guardie alla frontiera (Gaf) al confine di Tarvisio rifiuta di arrendersi alle truppe tedesche che in risposta attaccano la caserma Italia. In assenza di disposizioni dai comandi superiori, gli ufficiali decidono in autonomia di resistere e combattere: “La nostra guerra comincia adesso” ordina il colonello Giovanni Jon, affiancato dal capitano Bruno Michelotto. La battaglia, asprissima, dura l’intera notte: trecento uomini scarsamente armati contro la schiacciante superiorità nemica. Nella giornata del 9, l’inevitabile resa. Sul campo restano 29 caduti italiani, alcune decine quelli tedeschi. I sopravvissuti saranno catturati e inviati nei campi di prigionia in Germania e Polonia. 

La loro sorte li unisce a tutti i soldati italiani lasciati dopo l’armistizio senza ordini superiori in Italia e sui vari fronti di guerra (Francia, Grecia, Jugoslavia, Albania). Rastrellati e catturati dai tedeschi, considerati traditori, vengono deportati come Italienische Militärinternierte (internati militari italiani, in sigla Imi) per non concedere loro lo status di prigionieri di guerra e le garanzie previste dalla Convenzione di Ginevra. Molti soldati durante il trasferimento riescono a scappare in modo rocambolesco, alcuni rimangono nascosti dalla popolazione, altri aderiscono alle forze della Resistenza nei vari paesi europei; ricordiamo anche il grande lavoro delle donne friulane nelle stazioni ferroviarie per distrarre i tedeschi e aprire i ganci dei portelloni dei treni in transito e consentire la fuga dei soldati italiani prigionieri stivati nei carri bestiame, anche con l’aiuto dei conducenti. Ne arriveranno complessivamente in Germania circa 650.000 e tra loro nemmeno il 10 per cento accetterà di venire inquadrato nelle formazioni che i tedeschi tentano di riorganizzare con la parvenza della neonata Repubblica sociale italiana, costituita a loro servizio. La stragrande maggioranza preferisce rimanere nei campi di prigionia in condizioni di sfruttamento intensivo e mancanza di qualsiasi tutela. Anche tra i pochi che scelgono di collaborare, una buona parte di coloro che vengono armati e rispediti in Italia, appena può diserta. Si tenga presente che in quei giorni di settembre non si era ancora organizzato un vasto movimento armato di Resistenza con le relative motivazioni politiche.

Una data e un episodio importanti per la storia della Resistenza italiana

La “battaglia di Tarvisio” è, almeno cronologicamente, il primo atto della Resistenza italiana contro l’occupazione tedesca in Italia. Episodio poco conosciuto e poco valorizzato, ha lasciato rare tracce nella storiografia della guerra di Liberazione. “Purtroppo nessuno ne ha mai parlato, perché eravamo avulsi dalla politica; agli storici non è mai importato nulla di noi, dei nostri morti, dei nostri feriti, dei nostri ideali” denuncia molti anni dopo un artigliere della Gaf, il Corpo incaricato di difendere i confini nazionali. È una microstoria, di coraggio e determinazione, e di forte valore simbolico: per il contesto, per il carattere dei suoi protagonisti e per la sua implicita natura geo-politica.

L’armistizio dell’8 settembre rivela, a iniziare proprio da Tarvisio, il vero volto del nostro Paese e la sua scelta dal basso. Per responsabilità, per dovere, per la patria. E per un preciso schieramento di campo: combattendo prima contro l’invasore tedesco e poi – per i sopravvissuti – rifiutando l’offerta di arruolamento con i nazisti, pur di fronte alla prospettiva di una dura prigionia che si concluderà solo a guerra finita. 

Ricordiamo che per quasi due mesi, dopo la caduta del regime fascista il 25 luglio 1943 e l’arresto del duce, divisioni tedesche dilagano liberamente in Italia sull’onda di un doppio inganno. Hitler non si fida di Badoglio; il nuovo governo dichiara fedeltà all’alleato nazista mentre tratta segretamente con gli anglo-americani. Quando tutto precipita e l’esercito si dissolve, i nostri soldati sono soli. L’alleato di colpo diventa nemico. Accade in un preciso momento, quando la radio trasmette l’annuncio dell’armistizio: è allora che un pugno di ufficiali della Guardia alla frontiera, abbandonati dai comandi, sceglie unanimemente l’opzione militare – sbarrare la strada al nemico tedesco – e non l’inerzia, seguito da tutti i soldati. Nella notte tra l’8 e il 9 settembre, la caserma Italia di Tarvisio è il fortino che resiste per sei ore a un furibondo attacco di un reparto SS. I rinforzi richiesti non arriveranno mai. Il Comando della Gaf di Treviso è evasivo, mentre il generale Zannini del XXIV Corpo d’armata di Udine ha ordinato di non essere disturbato nel suo riposo (diffusa viltà degli alti comandi). Esaurite le munizioni, i nostri soldati si arrenderanno con l’onore delle armi. 

Riconoscimenti in ritardo e in sordina

Nel dopoguerra, arriveranno alcuni riconoscimenti, ma quasi in sordina. Uno di questi a Luigia Picech, prima donna italiana decorata con medaglia d’argento al valor militare. La notte della battaglia è al suo lavoro di centralinista nel posto telefonico pubblico, strumento chiave per i collegamenti con i comandi. È difeso da un nucleo di anti-paracadutisti, attaccati dai tedeschi. Ferita dallo scoppio di una granata, la “Gigia” risponde al fuoco con la pistola sottratta a un soldato caduto. Catturata, riesce a sfuggire alla fucilazione e scompare nell’anonimato. Nessuno scriverà di lei. 

Ci vorranno alcuni decenni di rivisitazione storica per riconoscere agli Imi, gli internati militari italiani del disciolto Regio esercito catturati dopo l’8 settembre, lo status di resistenti senza armi. Eppure non avevano esitato a rifiutare ogni collaborazione coi tedeschi e, dove possibile, a schierarsi contro di loro. Avvenne e Tarvisio e in altri fronti, come a Cefalonia.

Oggi, a ricordare la battaglia di Tarvisio resta una cerimonia annuale di commemorazione davanti al monumento che riporta il nome dei caduti, la prima settimana di settembre, che peraltro ottiene poca attenzione dai media. 

L’ANED, l’Associazione nazionale degli ex deportati nei campi di sterminio nazisti (i cosiddetti KZ), ha di recente ampliato le sue iniziative per ricordare nelle sue manifestazioni non solo i partigiani e i perseguitati politici e razziali ma anche i militari internati nei campi di prigionia, che meritano un riconoscimento sia che abbiano impugnato le armi contro i nazifascisti, sia che abbiano sofferto la condizione di prigionieri senza diritti per una loro scelta coraggiosa.

Giuseppe Mariuz
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Giornalista, storico e scrittore, è nato nel 1946 e vive a San Vito al Tagliamento. Ha al suo attivo numerose pubblicazioni di storia su Prima e Seconda guerra mondiale, Resistenza, lotte contadine, alcune biografie (fra cui tre libri su Pier Paolo Pasolini e una sul partigiano G. Del Mei "Pantera"), programmi radiotelevisivi, testi teatrali, raccolte di poesie in italiano e friulano, racconti e due romanzi fra cui uno edito anche in francese.

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