Quando la guerra ti arriva in casa…
Il 14 ottobre scorso la guerra è arrivata a Udine sotto forma di una partita di calcio e di una manifestazione che, in modi e forme diverse, hanno rotto una lunga e strana atmosfera di opaco silenzio e di cauto conformismo attorno alla guerra che Israele sta conducendo in varie parti e contro vari Stati del Medio Oriente, nell’ennesimo conflitto per imporre la propria “sicurezza” ai vicini.
Da un lato una partita di calcio che, per il solo fatto di veder giocare la nazionale di Israele smentisce in modo evidente ogni retorica sulla “politica che non deve condizionare lo sport” così come sul “mondo governato dalle regole”, che non sono palesemente uguali per tutti. Al di là dei giri di valzer su patrocini negati o concessi, alla città è stata imposta una overdose di apparati di sicurezza attorno allo stadio, nella città e sopra la città che hanno, come era prevedibile, semisvuotato lo stadio dove pure giocava la nazionale di calcio.
Dall’altro lato il corteo cittadino, sul quale si addensavano crescenti timori e tensioni nelle giornate precedenti, accompagnato da misure di sicurezza prevedibili, forse dovute, ma che gli udinesi non vedevano dalla notte dei tempi. E invece tutto è filato liscio, la manifestazione è stata largamente partecipata, da italiani e da stranieri, da molti, e anche da tanti giovani, ragazze e ragazzi.
La guerra, le guerre, in corso, alla fine non possono essere esorcizzate. Anzi è giusto e doveroso discuterne, confrontarsi, dividersi più o meno radicalmente, ma non subirle da spettatori passivi o da cittadini timorosi e intimiditi.
Anche per questo ospitiamo in questo numero un ricordo di don Pierluigi Di Piazza, tenuto il 20 ottobre nel cimitero della sua Tualis. Non sappiamo cosa ci direbbe sulla crisi ucraina o su quella mediorientale. Siamo però sicuri che non avrebbe passato più di due anni in silenzio mentre la “terza guerra mondiale a pezzi” prendeva e continua a prendere forma davanti a noi. Possiamo immaginare da lui atteggiamenti diversi da quelli della diplomazia vaticana che si pone il problema di creare le condizioni per delle tregue e dei cessate il fuoco?
E mentre si moltiplicano gli scenari dove i conflitti diventano militari e diventano, a torto o a ragione, parte di un confronto più ampio, e dove i protagonisti locali sono o vengono fatti diventare strumenti delle logiche delle maggiori potenze, è sempre più importante che le opinioni pubbliche si esprimano attraverso il confronto democratico, la libertà di parola e la manifestazione delle proprie opinioni.
Anche per questo ospitiamo in questo numero un’analisi del disegno di legge sulla “sicurezza” che il governo e la sua maggioranza hanno già approvato al Senato. Chi “sta facendo la storia” ha così costruito una gabbia anche, e volutamente, attorno a forme di dissenso e di protesta, a manifestazioni di opinione, ad attività politica e sociale, per distruggere preventivamente l’opposizione sociale e politica, prima e al di fuori dai riscontri del consenso.
Dopo quasi tre anni di guerra in Ucraina e dopo un anno di guerra asimmetrica a Gaza e altrove, è forse il caso di farsi anche qualche conto in tasca sull’impatto economico e sociale, oltre a quello etico, storico e ideale, di quanto sta accadendo anche in questa nostra Regione, la cui economia è fortemente orientata alla manifattura ed all’esportazione e che comprende un porto rilevante per i traffici europei, non solo energetici.
Anche per questo ospitiamo un intervento sui traffici e la logistica attuali del porto di Trieste, in riferimento alla crisi del Mar Rosso, dove, con tutta evidenza, la presenza di almeno cinque marine militari operative non produce dopo mesi di presenza né sicurezza né quella garanzia della “libertà di navigazione” che, forse, una tregua se non una pace garantirebbero.
È di questi giorni, ancora, la pubblicazione di qualche dato economico da parte di Confartigianato Udine. il Friuli Venezia Giulia avrebbe perso circa 130 milioni di euro in valore di export nel primo semestre del 2024 nel solo interscambio con la Germania. ISTAT è la fonte dei dati. Nei settori maggiormente rappresentati in questo interscambio (siderurgia, macchinari, agroalimentare e gomma) si stima che almeno 130 aziende artigiane siano state colpite dalla crisi, con circa 400 lavoratori coinvolti.
UnionCamere del Veneto, altra grande Regione con caratteristiche produttive e dei mercati simili e ben più consistente, parlando del solo settore dell’automobile nei rapporti con le case francesi e tedesche certifica un impatto diretto su un numero significativo di aziende locali, che, secondo i suoi dati, ammontano a 350. Queste aziende impiegano circa 5.400 persone e operano in diverse aree: dalla componentistica ai carrozzieri, dai fornitori di vetri agli specialisti in interni in pelle e verniciatura. La produzione complessiva di questo comparto si attesta intorno a 1,4 miliardi di euro, rappresentando l’8% del totale nazionale. Considerando però anche concessionarie, officine e servizi post-vendita, il numero di aziende coinvolte sale a oltre 11.000, riguardando più di 26.000 posti di lavoro. Su questa realtà locale incombono la recessione tedesca, il debito pubblico francese, l’austerità comunitaria e una transizione industriale più complessa di sempre. Non facciamoci mancare le guerre senza fine…
È il caso di cominciare a parlare il linguaggio della pace, di non farsi più intimidire dalle “parole magiche” con cui si è preteso e si pretende di zittire le opinioni.
Fotografie di Marco Lepre.