
Autonomie a menù fisso, à la carte e gourmet
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Con l’approvazione della legge Calderoli e la successiva richiesta referendaria si è aperto uno scontro frontale su un aspetto dell’ordinamento della Repubblica, l’attuazione delle autonomie differenziate per le Regioni che intendano utilizzarle, che abbisogna di approfondimenti sullo stato del confronto politico e può aprire spazi ad un ripensamento sul sistema delle autonomie regionali e locali il cui esito è, a nostro avviso, del tutto aperto.
Per le ricadute possibili anche per la nostra Regione a Statuto speciale riprendiamo un recente intervento apparso sul quotidiano trentino “IlT”, di Lorenzo Dellai, sindaco di Trento nel 1990-98, poi presidente della Provincia autonoma di Trento nel 1999-2012, e deputato con Scelta Civica nel 2013-2018.
Rimandiamo inoltre ad un altro intervento, apparso ad agosto su Jacobin Italia, scritto da Riccardo Laterza, consigliere comunale di Adesso Trieste, e da Danilo Lampis, vicesindaco di Ortueri (NU) e co-presidente di Sardegna chiama Sardegna.
Contro la legge Calderoli, oltre il centralismo
Il regionalismo differenziato del governo va fermato perché rafforza i poteri economici esistenti. Ma la campagna referendaria non va condotta a difesa dello Stato nazione: bisogna riappropriarsi da sinistra dei concetti di autodeterminazione e autogoverno
Scriviamo, mentre il referendum contro la legge Calderoli ha superato di slancio il mezzo milione di firme raccolte online, da due punti di vista segnati dai contesti in cui viviamo: la Sardegna e una terra di confine, il Litorale meglio conosciuto in Italia con il nome di Venezia Giulia.
Unità nazionale e Stato alla prova della contemporaneità
Abbiamo sottoscritto il referendum per una ragione su tutte: il combinato disposto tra la possibilità di trattenere parte del gettito fiscale generato sul territorio per il finanziamento dei servizi e delle funzioni di cui si chiede il trasferimento attraverso le intese, e la definizione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni sulla base di una ricognizione della spesa storica dello Stato in ogni Regione nell’ultimo triennio. In sintesi, chi si è arricchito in questi decenni tratterrà maggiori risorse, chi è rimasto senza investimenti infrastrutturali e sui servizi, con una base produttiva debole e arretrata, resterà inchiodato alla sua condizione perché storicamente ha speso meno. In questo modo si cristallizzano sul piano legislativo le disuguaglianze territoriali sulle quali si è fondata e costruita nei decenni l’Italia unita, rafforzando il processo storico di addensamento di infrastrutture, capitale umano e sociale, capacità istituzionale, sistemi produttivi e reti di imprese nel cuore del Nord Italia. Un processo permesso dal centralismo statale e da dispositivi di colonialismo «interno» funzionali a uno sviluppo diseguale tra – pochi – centri e – molte e diverse – periferie, che hanno visto nella Sardegna sabauda un laboratorio anticipatore di ciò che in seguito sarebbe stato confermato con la «rivoluzione passiva» risorgimentale di gramsciana memoria.
Dal basso e dall’alto, oltre lo Stato-Nazione
Il disegno di legge costituzionale sul «premierato» non va visto in contraddizione con il regionalismo differenziato. Esso va inscritto in un una tendenza globale delle democrazie liberali che registrano un indebolimento progressivo del contrappeso parlamentare e un accrescimento dei poteri degli esecutivi (a tutte le scale, sia quella statale che quelle regionali e comunali) nel nome della governabilità. Un centralismo, dunque, che non entra in contraddizione con il regionalismo differenziato, ma che al contrario viene implementato da quest’ultimo. Con la legge Calderoli infatti si consoliderebbe giuridicamente una preminenza economica e politica dei centri di potere economico del Nord, mentre con il «premierato» si aumenterebbe la governabilità dello Stato, anche in funzione di un’inclusione differenziale e subalterna delle popolazioni del Sud e delle Isole, così come delle aree più interne e marginali del Paese, entro l’assemblaggio economico-politico del cuore dell’Europa.
La fine della specialità?
I motivi sono squisitamente economici, e poggiano sul «liberi tutti» creato dall’assenza di politiche industriali a tutti i livelli: il cuore del Nord fa leva sulle sue istituzioni per restare agganciato al sistema produttivo tedesco, mentre le aree marginali e periferiche, soprattutto il Sud e le Isole, si devono accontentare della concorrenza al ribasso sulle economie dell’Est Europa e delle dinamiche estrattiviste, dal turismo di massa al land grabbing energetico, per le materie prime o i rifiuti speciali. Con la piena realizzazione del disegno del Governo Meloni, marginalità economica e marginalità politica si salderebbero definitivamente, di pari passo con un divario sempre più ampio tra uguaglianza formale e uguaglianza sostanziale.
Il punto è, tuttavia, che questo scenario non è un futuro distopico, ma fa già parte della realtà di oggi. Sia la difesa ideologica dell’unità nazionale quale garanzia dell’uguaglianza sostanziale, sia la preoccupazione relativa all’incapacità dello Stato di operare politiche redistributive e di riequilibrio territoriale a causa del regionalismo differenziato non trovano riscontro nella realtà, per il semplice fatto che, a parte alcune brevi parentesi storiche, l’attuale assetto istituzionale non ha mai garantito nessuna delle due cose.
Autogoverno e autodeterminazione non sono parole di destra
Le critiche difensive che emergono a piè sospinto nel campo delle opposizioni e delle Regioni governate dal centro-sinistra, oggi riunite sotto l’obiettivo del referendum, sono dunque fallaci. Il referendum costituisce sicuramente un’occasione importante per respingere un disegno istituzionale sbagliato e per assestare un colpo significativo al Governo Meloni, che lo ha elaborato. Risulta però altrettanto urgente ragionare di un’alternativa allo status quo che non merita affatto una battaglia conservativa.
Il testo integrale è leggibile a questo indirizzo:
https://jacobinitalia.it/contro-la-legge-calderoli-oltre-il-centralismo/