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Numero 24 | dicembre 2024

Il presente di Porto Vecchio


Nel precedente articolo si era giunti al momento della cosiddetta “sdemanializzazione” delle aree del vecchio scalo asburgico, un provvedimento definito da alcuni come un “colpo di mano” dell’ex senatore Francesco Russo nel dicembre 2014 durante l’approvazione della Legge di Stabilità.

“Togliendo il punto franco non si bada all’interesse della collettività, bensì si corre concretamente il rischio di una speculazione edilizia, laddove invece si sarebbero potute insediare nuove attività produttive capaci di rilanciare l’economia e l’occupazione” furono le parole dell’attuale Presidente della Regione, Massimiliano Fedriga. Ancora più critico l’ora assessore regionale alle Autonomie locali, Pierpaolo Roberti, il quale affermò che, “di notte, nell’ora in cui agiscono i ladri” (un riferimento al momento in cui l’emendamento alla legge di stabilità fu approvato dal governo), il Porto Vecchio fu “scippato” alla città.

Affidare a due commi di legge una parte così importante del futuro di Trieste appare anche oggi, a distanza di tempo, come una decisione perlomeno azzardata. L’opinione pubblica triestina si divise tra chi apprezzava l’opportunità di restituire un’area così significativa alla città, abbattendo le barriere che delimitavano la zona franca dal 1891, e chi temeva che tale scelta sottraesse opportunità di sviluppo all’economia locale, che avrebbe potuto trarre beneficio dall’applicazione completa delle prerogative del Porto Franco Internazionale.

Manifestazione dell’8 dicembre 2013 – foto Il Piccolo

Già nel 2013, durante due distinte manifestazioni organizzate da movimenti indipendentisti, diverse migliaia di persone sfilarono in città fino al Porto Vecchio. Questi eventi provocarono la reazione della magistratura, che emise oltre cinquanta avvisi di garanzia con l’accusa di eversione politica. “Chiederemo l’intervento dell’Onu per ripristinare la legalità nel porto franco di Trieste restituendolo al Territorio libero – aveva dichiarato uno degli organizzatori – e eventualmente che l’intera zona A venga trasferita a un altro Paese: l’Austria o la Russia, ad esempio, come dimostra l’interesse per Trieste in occasione del vertice bilaterale di novembre”. Quel vertice si tenne infatti a Trieste il 26 novembre 2013 tra il Presidente Putin e l’allora Presidente del Consiglio dei Ministri Enrico Letta. Destarono grande impressione, e non poca curiosità, le parole di Letta al momento della loro stretta di mano: “Viva Trieste, Trieste libera.”

Le idee per 66 ettari

La giunta comunale di Trieste, a quel tempo guidata dal Sindaco Roberto Cosolini, si trovò quindi a dover iniziare a costruire un “modello” di riuso, di restauro e di sviluppo dei 600.000 mq sul mare per i quali peraltro avevano già elaborato proposte o costosi progetti negli anni precedenti Manuel de Solà-Morales (Progetto Trieste Futura ‘97), Stefano Boeri (Recupero del Porto Vecchio, 2001), Systematica e Norman Foster&Partners (Master Plan del Porto Vecchio, 2005), Bradaschia-Cecchetto (Master Plan for Trieste Expo 2008), Caroli (Italia Nostra, 2014).

Master Plan di Trieste Expo 2008 | Maurizio Bradaschia

Il 26 gennaio 2016, il Commissario di Governo del Friuli Venezia Giulia decretò ufficialmente lo spostamento del regime giuridico di Porto Franco dalle aree di Porto Vecchio passate a proprietà comunale in attesa di essere alienate, ad altre aree individuate all’interno dell’ex provincia, chiudendo così la questione della “sdemanializzazione”. Nello stesso giorno, la giunta comunale annunciò di aver affidato al network internazionale Ernst & Young l’incarico di redigere le linee guida per la valorizzazione dell’area che partì con una numerosa serie di incontri con i principali portatori di interesse della città.

Lo studio Ernst & Young

Quali furono le risultanze del network inglese per l’antico scalo? Innanzitutto, l’analisi svolta su tre interventi che furono ritenuti studi di caso (Lione, Marsiglia e Amburgo) evidenziò come in tutte e tre le rigenerazioni fu fondamentale l’identificazione di una Governance condivisa con una istituzione pubblica e una strategia di comunicazione che potesse individuare e coinvolgere come target l’opinione pubblica (consultazioni per un’accettazione progressiva). Altri punti di partenza, desunti dalle esperienze internazionali, furono fissati nell’equilibrio tra modernità e tradizioni e nel piano di sviluppo per uso misto. 

Tutto il ripensamento di usi e destinazioni avrebbe dovuto convivere con la scelta strategica di lasciare una zona di punto franco all’interno del Porto Vecchio per utilizzi non tradizionali. Mentre gli studi e le analisi fornivano i primi risultati sui quali elaborare le proposte, la riqualificazione dell’area portuale fu destinataria di appositi interventi economici ministeriali, a partire dai 50 milioni di euro erogati con il Piano Cultura e Turismo varato nel 2016.

I cambi di rotta

Dopo un primo momento nel quale la condivisione degli intenti e propositi tra amministrazione uscente e quella entrante sembrava reggere, la nuova giunta comunale, insediatasi a giugno 2016 nuovamente a guida Dipiazza, si allontanò dalle linee tracciate da E&Y. Mentre si avviavano all’interno del Porto Vecchio i lavori per la costruzione del nuovo Centro Congressi, frutto di un partenariato pubblico-privato, furono date alla luce le linee di indirizzo per la riqualificazione di tutta l’area, prevedendo quattro “Sistemi”, nei quali sviluppare in ognuno di essi attività o insediamenti specifici, prevedendo una quota residenziale nel solo Sistema Misto, non superiore al 10% dell’insieme.

I “Quattro Sistemi” previsti dalla delibera di indirizzo adottata il 28/01/2019 con i soli voti contrari del M5S

Nella stessa delibera trovarono collocazione uno specifico richiamo all’utilizzo delle aree ancora rientranti nelle competenze del Porto Franco (aree quindi sottoposte a regime extradoganale e quindi attrattive per terziario avanzato o per insediamenti industriali hi-tech o alimentari non impattanti a livello ambientale) e la necessità di costituire una struttura adeguata per la gestione del Porto Vecchio e della sua valorizzazione (nascerà il consorzio URSUS il 28 maggio del 2021, e ne faranno parte il Comune di Trieste, la Regione e l’Autorità Portuale). Trascorso il periodo pandemico, altri finanziamenti provenienti dal Piano Nazionale di Ripresa e di Resilienza arrivarono alle casse dell’amministrazione locale per gli interventi nel Porto Vecchio: 40 milioni per la realizzazione di un parco lineare urbano e di un viale monumentale con recupero del tracciato ferroviario si aggiunsero ai 50 già citati. 

L’ovovia, ossia la Cabinovia metropolitana Trieste – Porto Vecchio – Carso

La partecipazione a un consorzio composto da cinque città portuali europee (Aberdeen, Anversa, Costanza, Klaipeda e Trieste) nell’ambito di Horizon 2020, il programma dell’Unione Europea creato per promuovere attività di ricerca e innovazione volte a rafforzare il potenziale economico e industriale dei Paesi membri, ha dato origine al progetto PORTIS (Port-cities Integrating Sustainability). Questo progetto aveva l’obiettivo di migliorare l’integrazione tra ambiente urbano e porto nelle città costiere, attraverso la progettazione e la sperimentazione, con il coinvolgimento dei cittadini, di soluzioni di trasporto innovative. Tali soluzioni miravano a collegare i centri storici ai porti, a sviluppare o rigenerare aree portuali e a razionalizzare la mobilità turistica tra scali e città.

Le azioni previste dal progetto erano numerose: dalla predisposizione di un Piano Urbano della Mobilità Sostenibile (PUMS), al potenziamento dei sistemi di raccolta e analisi dei dati sul traffico, passando per la progettazione e realizzazione di applicazioni digitali e sistemi informatici, fino all’incremento dei percorsi ciclabili e delle aree pedonali. Tuttavia, le risorse assegnate a Trieste (2 milioni di euro) si concentrarono, a partire dal 2019, sull’elaborazione del PUMS e sull’individuazione di un sistema di collegamento alternativo tra il centro città e la periferia.

Chiari furono già dal quel momento gli intenti dell’amministrazione comunale, che affidò l’incarico riguardante lo studio delle possibili soluzioni di mobilità ad un esperto di progettazione funiviaria, collaboratore dello studio di ingegneria che poi verrà incaricato di elaborare il progetto di fattibilità tecnico-economica di quella che verrà chiamata ovovia all’interno del PUMS stesso.

Inserimento nel contesto urbano del Porto Vecchio – Presentazione Monplan al Mobilityweek2020

Al progetto, poi inserito nella variante Piano Regolatore riguardante il Porto Vecchio visto che il tracciato si sviluppava per i ⅔ all’interno dell’antico scalo, venne destinato apposito finanziamento dal Mit di 46,5 milioni di euro, sucessivamente trasferito a capo del PNRR ed integrato con altri finanziamenti pubblici per arrivare a 62 milioni complessivi. La proposta, che partiva all’interno di un progetto che prevedeva il coinvolgimento dei cittadini, fu presentata invece al pubblico solo a dicembre 2021. A gennaio venne fondato il Comitato No Ovovia che in pochissime ore raccolse un migliaio di firme per chiedere l’indizione di un referendum cittadino che venne dichiarato inammissibile, in quanto l’opera era ora inserita all’interno del PNRR. La contestazione si basò fin da subito sul secco no delle cittadine e cittadini di Trieste ad un’opera illegittima, impattante, inutile, insostenibile ed insicura.

ovovia

Manifestazione No Ovovia del 25 ottobre 2024 – foto Il Piccolo

L’iter autorizzativo per la realizzazione della cabinovia prese comunque il via, ma il passaggio della stessa all’interno di una zona ambientale protetta (il ciglione carsico tra Barcola e Opicina) e tra i viali del Porto Vecchio (tutelati dal punto di vista storico) comportò una notevole complessità dell’iter, fino ad arrivare ad un parere negativo degli uffici tecnici regionali. Se questo parere potè essere superato attraverso una procedura di compensazione, i danni previsti all’interno dell’area salvaguardata causarono la perdita dei finanziamenti PNRR obbligando negli ultimi mesi l’amministrazione locale ad attivarsi per il reperimento di fondi alternativi, visto che nel frattempo la gara per l’aggiudicazione dei lavori fu comunque espletata (senza l’approvazione della variante urbanistica da parte della Regione). (https://ilpassogiusto.eu/ovovia-il-punto-nave-dopo-tre-anni-di-opposizione-a-unopera-inutile-impattante-e-insostenibile/)

Le Archistar e la ricerca di investitori

66 ettari nei quali sviluppare azioni di recupero e di generazione urbana e tanti fondi disponibili attirarono numerose “star” dell’architettura nazionale e internazionale: Consuegra con il suo raggruppamento di imprese si aggiudicò la progettazione del Museo del Mare (1,2 milioni di euro), Fuksas fu incaricato della elaborazione del concept delle stazioni della cabinovia (soluzioni poi bocciate dalla Soprintendenza, 175.000 euro), l’Atelier di Alfonso Femia sviluppò il progetto di fattibilità del Parco Lineare (175.00 euro, sempre il massimo per affidamenti diretti), l’architetto Kipar con la LAND ha redatto il Piano Paesaggistico del Porto Vecchio per 85.000 euro e per la stessa cifra l’elaborazione architettonica di piazza Libertà. Tante Archistar ma ancora nessun investitore, nonostante la partecipazione dell’amministrazione a numerose fiere internazionali del settore. E se tra gli investitori il privato non si vede, il pubblico interviene: la Regione a fine 2022 acquisì dal Comune quattro edifici all’interno del comprensorio del Porto Vecchio per trasferirvi gli uffici regionali (10,5 milioni di euro) incaricando il sopracitato Femia per la progettazione esecutiva del loro recupero per un importo di 6,7 milioni di euro.

Solo nell’estate del 2024 venne confermato e ufficializzato il coinvolgimento nelle trattative riguardanti la rigenerazione complessiva delle aree disponibili del Porto Vecchio di un’impresa immobiliare già attiva in altri interventi di rigenerazione in Italia, la Costim di Bergamo, controllata dalla Polifin, holding della famiglia Bosatelli. L’intervento scelto fu quello misto tra il cosiddetto Project Financing e l’alienazione con la vendita dei beni immobiliari. I presupposti indicati come necessari riguardanti il coinvolgimento dei cittadini e dei portatori di interesse nelle scelte riguardanti il Porto Vecchio, nonché la permanenza nelle stesse aree di imprese produttive o di terziario avanzato furono disattesi e la delibera riguardante questo intervento creò delle fratture importanti all’interno del Consiglio Comunale di Trieste: per garantire un futuro sostenibile a Trieste, è essenziale aprirsi al dialogo, abbandonando un modello decisionale calato dall’alto e abbracciando un percorso condiviso. Solo con il supporto e l’impegno di tutti sarà possibile trasformare il Porto Vecchio in un simbolo di innovazione, accessibilità e coesione per la città.

 

Federico Monti

Federico Monti, fondatore e membro del coordinamento di Adesso Trieste, è Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione di uno Stabilimento di Produzione di Imbarcazioni da diporto a Monfalcone. Cultore della Storia del Confine Orientale, è attivo nell’associazionismo e nel movimentismo politico regionale.

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