Autonomia va cercando ch’è sì cara…
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Alla fine la Corte costituzionale si è pronunciata sulla legge Calderoli. Per ora le motivazioni sono desumibili solo dalla comunicazione emessa il 14 novembre e, in attesa del deposito della sentenza, di questa bisogna accontentarsi, però…
Ciò è bastato perché tutti gli interessati (sì, c’è stata anche più di una tiepida reazione da più parti della coalizione di governo evidentemente meno interessate) si dichiarassero vincitori.
A dire il vero alla sola lettura del primo capoverso della comunicazione l’impressione è che abbiano perso tutti, tranne chi delle autonomie regionali non aveva una visione politica strumentale, attenta solo al momento politico.
Riportiamo il testo nella sezione Documenti per una lettura completa ma l’incipit sembra chiaro: “… la Corte costituzionale ha ritenuto non fondata la questione di costituzionalità dell’intera legge sull’autonomia differenziata delle regioni ordinarie… considerando invece illegittime specifiche disposizioni dello stesso testo legislativo”.
C’è chi è colpito…
Il crescendo di mobilitazione a sinistra nei mesi di preparazione, discussione parlamentare ed approvazione della legge Calderoli sono stati significativamente segnati da due elementi di semplificazione propagandistica, accentuati in particolare in alcuni settori più radicalmente “bonapartisti”. L’autonomia differenziata è stata presentata come incostituzionale in sé e come un momento di disgregazione dello stato/nazione, omettendo che la stessa previsione fu introdotta in Costituzione su volontà e voto del (solo) centrosinistra. Ma non bastava: le autonomie in quanto tali andavano respinte, quasi come “creature del maligno”. Si sono visti convegni convocati sotto lo slogan “contro tutte le autonomie!”, si sono sentiti autorevoli esponenti politici dalla lunga carriera amministrativa concludere filippiche, ammettendo che, comunque ed ovviamente almeno “il decentramento” … bisogna accettarlo.
Questi orientamenti sono nettamente smentiti dalla Corte che, semplicemente, richiama come l’art. 116 del Titolo V “deve essere interpretato nel contesto della forma di Stato italiana” (che, all’art. 114 recita “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato”) che, insieme alla possibilità di forme particolari di autonomia, riconosce “i principi dell’unità della Repubblica, della solidarietà tra le regioni, dell’eguaglianza e della garanzia dei diritti dei cittadini, dell’equilibrio di bilancio” nel rispetto dei quali possono realizzarsi autonomie differenziate.
Questa Repubblica è una repubblica delle autonomie, altro che “contro ogni autonomia” …
… e chi è affondato
Non meglio è andata alla maggioranza governativa, segnatamente alla Lega.
Nella comunicazione vengono elencati e riassunti sette profili di incostituzionalità riguardanti aspetti centrali della legge e dell’orientamento politico che la ispirava.
Non si trasferiscono “materie o ambiti di materie” come fossero quarti di bue, ma “specifiche funzioni legislative e amministrative” è ciò deve “essere giustificata, in relazione alla singola regione, alla luce del richiamato principio di sussidiarietà”. In più di un aspetto attuativo della procedura devolutiva, e segnatamente in quelle che possano incidere sui diritti dei cittadini, non si possono utilizzare sbrigativamente decreti ed altri atti ministeriali ma serve il passaggio parlamentare.
Ce n’è anche per chi, a capo di questa Regione, teorizzava il vantaggio indiretto che da questa legge sarebbe venuto anche per le Regioni ad autonomia speciale. Sempre nella comunicazione si legge che uno dei profili di incostituzionalità riguarda proprio l’estensione della legge Calderoli “alle regioni a statuto speciale, che invece, per ottenere maggiori forme di autonomia, possono ricorrere alle procedure previste dai loro statuti speciali”.
Non marginale, infine, l’avviso interpretativo che la Corte avrebbe dato alle norme restanti anche in vista di una rinnovata attività legislativa del Parlamento sul tema. Si interviene sugli aspetti finanziari, sui diritti dei cittadini attraverso i LEP, e, ancora, sul potere di emendamento delle Camere sulla legge di recepimento dell’intesa Stato-Regione che non può essere un semplice “accordo” fra esecutivi, magari anche monocratici…
Il Patto a congresso
Vuoi vedere che ha vinto chi ha sempre detto e scritto, nei convegni del Patto, nell’Aula del Consiglio regionale, su queste pagine, che la legge Calderoli non rappresentava una nuova stagione del regionalismo, ma anche che le autonomie differenziate sono una possibilità legislativa utile. E che le riforme istituzionali è meglio farle creando consensi e convergenze piuttosto che a colpi di maggioranza. E che, prima e invece del ricorso alla richiesta di referendum abrogativi, sarebbe stato possibile attendere l’inevitabile pronunciamento della Corte?
Sembra ci sia allora un buon viatico per il prossimo congresso del Patto per l’Autonomia.
Un congresso che si pone almeno un paio di obiettivi ambiziosi, come verificabile dai documenti preparatori. (qui: https://www.pattoperlautonomia.eu/assemblea2024 )
Una idea di autonomie, regionalismo, civismo, che non guarda all’ombelico dei (tanti) Friuli e di Trieste. Che immagina un’azione “a chilometro zero”, un impegno locale, senza dimenticarsi del contesto e delle sempre più profonde ed invasive relazioni fra globale e locale in campo climatico, economico, di sicurezza. Che registra una caduta generalizzata della qualità della nostra democrazia e della nostra politica e vuole ricostruire dal basso partecipazione e credibilità nelle comunità locali.
Che propone, proprio all’insegna di autonomie solidali e collaborative per obiettivi comuni, una formula di attività e collaborazione originale, federale e federativa fra il Patto per l’Autonomia e le liste e le aggregazioni civiche presenti ed attive nei Comuni e nei territori, con le quali già è stata condivisa la campagna per le regionali 2023 e con le quali, e con altre ancora, si può fare un altro, lungo, pezzo di strada.