La pacchia non è finita, ma finirà
Pubblichiamo aggiornato questo intervento, con il consenso di Friulisera dove era apparso nell’ottobre scorso, ritenendolo utile a comprendere l’origine dell’attuale notevole disponibilità finanziaria regionale e, quindi, la sua transitorietà.
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Nei tempi recenti la cronaca ci ha costantemente annunciato ottime disponibilità finanziarie per ogni variazione di bilancio che Giunta e Consiglio regionale del Friuli-Venezia Giulia si siano apprestate ad affrontare. Così anche per la legge di bilancio 2024. Come noto le finanze regionali dipendono fondamentalmente da entrate erariali proprie, ed è quindi evidente che queste stanno crescendo in maniera ampia ed imprevista rispetto alle aspettative di partenza.
C’è naturalmente da domandarsi quali eventi economici contribuiscano a ciò ed anche quali previsioni vadano fatte per il futuro.
Partiamo da una affermazione incerta relativa allo stato generale della salute socio economica dei territori regionali: pur con inevitabili differenze tra un luogo e l’altro credo che nessun economista serio possa affermare che la regione stia attraversando un periodo di vorticosa crescita. Chi è vicino al potere regionale parla di segnali parziali talvolta positivi (ad es. occupati, esportazioni, etc.), c’è chi parla di vera e propria decrescita (valutando un arco di tempo pluriannuale), ma in genere le variazioni degli indicatori (PIL, etc.) dalle dimensioni “zero virgola” fanno parlare di stagnazione. E ciò pare chiaramente in contrasto con l’evidenza delle disponibilità regionali.
Prima di tentare una qualche interpretazione specifica vanno ricordati due fattori che incidono sulle entrate della Regione. Il PIL nominale in Friuli-Venezia Giulia è di circa 38 miliardi di euro, e si può ritenere che in prima approssimazione in Italia (ed anche da noi) le entrate fiscali (nel loro complesso) corrispondano praticamente al 50% del PIL. Per la Regione una quota parte di queste entrate, relative ad un set di specifici introiti pubblici, costituiscono la “riserva erariale” della specialità che serve a finanziarie le diverse potestà di cui dispone. Va inoltre ricordato che per alcune di queste entrate la riscossione avviene direttamente nelle casse regionali con successivo inoltro allo Stato delle sue competenze con ulteriori partite di ricalcolo a saldo.
Dopo l’austerità di bilancio
Partendo da questo presupposto credo si possa introdurre una prima questione di diversità rispetto alle “vacche magre” vissute dalle finanze regionali (e degli enti locali) nel secondo decennio di questo secolo. La differenza è dovuta al rapporto con lo Stato con alcune sessioni di ri-contrattazione delle devoluzioni regionali (ai fini della compartecipazione di tutto il sistema delle autonomie regionali e locali al “risanamento” della finanza pubblica), ed anche ai tempi tecnici della parificazione delle partite di giro. In sostanza credo si possa affermare che è finita la folle partita di depauperamento “romano” delle casse regionali (valutabile in 10 miliardi complessivi di riduzione delle disponibilità di spesa regionali e del sistema degli Enti locali) da parte dei governi Monti e Renzi, e qui in Regione da Tondo e Serracchiani. I cinque anni delle legislature statale e regionale 2018-2023 hanno costruito di fatto con successivi passi un nuovo quadro di riferimento per le finanze regionali.
Una ulteriore considerazione di partenza. Sulle attuali finanze regionali con entrate proprie (stimabili tra i cinque e i sei miliardi di euro) il quadro delle competenze regionali conta praticamente nulla e le spese rispondono a due criteri fondamentali: intervento in materie in cui la competenza legislativa è molto relativa per autonomia d’azione (quali la sanità, il sistema degli enti locali, il trasporto pubblico locale) di cui si finanzia tutta l’organizzazione e l’attività di implementazione contributiva su svariati interventi spesso in origine dovuti a normative statali ed europee.
Ma da dove arrivano le entrate crescenti che sono state utilizzate in misura massiccia nelle variazioni di bilancio regionale ed oggi in questo bilancio di previsione?
Da dove provengono le crescenti entrate regionali
È opportuno segnalare tre “evenienze” che mi pare possano incidere per successivi accumuli di entrate a partire dalla fase finale della “pandemia” ed all’inizio della guerra “russo-ucraina”:
- il peso dirompente per l’economia regionale dei lavori riferiti al bonus del 110% (le statistiche parlano di circa 2 miliardi di euro);
- la dimensione delle spese programmate (ed in parte avviate) relative alle spese di soggetti pubblici e privati con sede in Regione per quanto riguarda il PNRR. Anche in questo caso gli interventi finora aggiudicati valgono circa 2 miliardi di euro;
- gli effetti monetari dell’inflazione degli ultimi 30 mesi che cautelativamente può essere valutata in almeno il 15%, determinando quindi un effetto notevole sulle entrate connesse alle attività ed ai consumi. Una variazione dei prezzi del 15% si ripercuote sul PIL regionale per una cifra intorno ai 6 miliardi di euro, ma tenendo conto del mancato adeguamento all’inflazione delle retribuzioni da lavoro dipendente, si può ipotizzare che la cifra di riferimento per un calcolo sugli effetti erariali, presenti e futuri (per l’inflazione già avvenuta), possa essere dimezzata e valutata intorno ai 3 miliardi di euro che, pure in un periodo di stagnazione, producono surplus di entrate erariali.
Bisognerebbe avere gli strumenti conoscitivi e dati elaborati con una certa precisione per capire, anche nel susseguirsi dei tempi in cui si palesa l’effetto, come hanno inciso e potranno ancora incidere sulle entrate regionali queste espansioni di spesa di circa 7 miliardi di euro che poi, per il 50% si traducono in entrate pubbliche, parzialmente attribuite (circa per il 30%) al bilancio regionale. Tuttavia la sovrapposizione di queste tre evenienze con l’attuale sistema di rapporti finanziari con lo Stato fa capire come possa essersi presentato questo status “giulivo” di disponibilità finanziarie che il potere regionale sta distribuendo.
Il momento di restituire
Quanto durerà? Di sicuro sappiamo che l’effetto del bonus del 110% in edilizia sta per esaurirsi e che lo Stato (congiuntamente alla Regione) dovrà ritornare (in quanto crediti fiscali) più del doppio delle entrate erariali-fiscali finora incassate. Non sappiamo come questa restituzione si ripartirà tra Stato e Regione, ma la storia passata dei rapporti finanziari non promette nulla di buono.
Il PNRR è nelle mani di Giove (anche se altri due miliardi di euro dovrebbero essere spesi in Regione) e comunque per buona metà costituisce debito pubblico per cui vale qualitativamente il suo destino generale con le interpretazioni che ne daranno i cultori neoclassici del monetarismo.
Salvo guerre ed ulteriori “sindemie” l’inflazione per le casse pubbliche è una partita vincente (se riportata sotto controllo e non certo per i redditi da lavoro dipendente e per i “risparmiatori” costituzionalmente tutelati) ma in fasi di stagnazione o recessione permette solo ridistribuzioni in realtà minori della spesa degli interventi e servizi.
Che fare? Di sicuro non è saggio gettare le risorse da un elicottero, soprattutto se vola nei pressi di potenziali “clienti” del potere politico, nella speranza che in questo modo l’economia cresca. E inoltre, la pur ragguardevole dimensione delle cifre di cui stiamo parlando non permette di costruire partite decisive nei confronti delle economie globali, siano esse produttive o finanziarie, e pur tenendone conto l’utilità marginale dei motivi e delle scelte così spesso operate consiglierebbe di costituire riserve strategiche per una visione del futuro della Regione che permetta di confrontarsi con l’aleatorietà dei cicli economici.
A meno che il Presidente Fedriga quando qualcuno chiederà la restituzione, in vista di un possibile e da lui auspicato terzo mandato presidenziale, non pensi già da ora di utilizzare, per la prima volta in assoluto nella storia della specialità, l’articolo 50 dello Statuto di autonomia.
Se, come indica Rifkin, dobbiamo entrare nella età della “resilienza”, compito politico degli amministratori regionali dovrebbe diventare capire come, e con quali risorse, questa prospettiva debba essere declinata in Friuli-Venezia Giulia e nella “bio-regione” a cui appartiene.