
Trasporti, porti e crisi del Mar Rosso
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Da novembre 2023, con l’inizio degli attacchi terroristici alle navi cargo e portacontainer da parte delle milizie Houti, molte compagnie di navigazione, gioco forza, hanno modificato le loro rotte commerciali evitando il Canale di Suez e circumnavigando l’Africa attraverso il Capo di Buona Speranza.
A un mese dall’inizio degli attacchi ai cargo, i volumi merce in transito nel mar Rosso erano inferiori del 40% rispetto allo stesso periodo del 2023.
A fine aprile 2024 il numero di navi transitate nel mar Rosso è calato del 76%.
In quest’area transita il 12% del commercio mondiale generale e il 30% di quello containerizzato. Per il solo sistema Italia vi transita il 16% delle importazioni e il 7% delle esportazioni.
In aumento del 193% invece il passaggio da Capo di Buona Speranza.
Cambiano le rotte, si modificano gli equilibri
Inevitabile quindi la perdita di traffici in Adriatico a favore del Tirreno per la semplice maggior vicinanza a Gibilterra rispetto che a Suez.
Conseguenza diretta delle nuove rotte che si sono venute costituendo è stato l’aumento dei tempi di percorrenza (mediamente del 30% ovvero di 10 giorni in più per 5/6000 km in più nella rotta Asia-Europa) e consegna delle merci e dei costi (400/500.000 dollari solo per il carburante in più a carico degli armatori) che le compagnie armatrici hanno finora dirottato di fatto sui loro clienti (importatori ed esportatori) quindi sulla merce lavorata e commercializzata dalle imprese… e quindi sui consumatori finali.
Da novembre 2023 a gennaio 2024 si è registrato un forte aumento dei prezzi delle spedizioni (+87% fino alla fine di dicembre e +177% entro la fine di gennaio), poi da febbraio abbiamo assistito ad un costante calo al ritmo di un 3% settimanale.
Questa dinamica ha riguardato tutto il mercato mondiale e, nel nostro piccolo, anche il Friuli-Venezia Giulia con le sue imprese e clienti finali. Questi ultimi consumatori sono ad oggi coloro che hanno subito il 90% dei costi scaturiti da questo evento. Con buona pace di tutti. La politica in primis.
A risentirne, dopo il difficile periodo pandemico, è stata anche la catena di approvvigionamento delle merci mettendo in evidenza la urgente necessità che in Europa il settore manifatturiero possa contare su filiere più corte (dalla materia prima al prodotto finito) rendendosi più indipendente dall’Asia.
Che succede a Trieste?
Venendo a “casa nostra” da gennaio ad aprile lo scalo giuliano ha subito una contrazione di quasi 11 punti percentuali sul traffico container, tuttavia, guardando al dato portuale complessivo, sempre sullo stesso periodo, abbiamo chiuso al 31 maggio con un quasi +6% sui volumi totali movimentati grazie alle rinfuse liquide (+12%).
In calo invece le merci varie (-3,40%), il ro-ro (-1,70%) e in fortissimo calo le rinfuse solide (-78,60%) riconducibile ai cereali e ovviamente ai prodotti metallurgici (-100% con la definitiva fine dell’attività della banchina mineraria dell’Ex Ferriera di Trieste).
Negativo anche il settore container con un -10,60%.
Nonostante gli evidenti contraccolpi, si può dire che il nostro sistema regionale e giuliano abbia reagito alla nuova realtà determinata dalla crisi “Mar Rosso” trovando nuovi punti di equilibrio. Ciò che “spaventa” maggiormente nel lungo periodo sono però i fronti di debolezza economica in Germania e in Cina che si faranno sentire sul lungo termine.
L’unica reazione invece della nostra Autorità Portuale del Mar Adriatico Orientale è stata l’aumento delle tasse portuali (i diritti marittimi) per compensare il calo iniziale di toccate delle navi in Porto.
Un “atto dovuto” proprio per mantenere intatti gli investimenti e i livelli di servizio sul Porto e retro Porto giuliano.
Questi i freddi numeri.
Fra chi lavora nel campo dell’intermodalità merci sembra esservi spazio per una lettura “fra le righe” per cui, a parte la missione navale Aspides, non ci sia né una grande fretta né una determinata volontà da parte della comunità internazionale (intendendo gli Stati maggiormente coinvolti o determinanti per una risoluzione dei diversi conflitti che si intrecciano nell’area) di “spegnere” il problema mar Rosso, e forse in primis da parte dell’Egitto che, seppur dovendo rinunciare a parte del gettito annuo rilevato tra gli 8 e 9 miliardi di euro derivanti dai diritti di passaggio per Suez, sta ottenendo ingenti finanziamenti dai paesi arabi come compensazione per tenere la situazione in stallo senza contrastare gli Houti.
Una lettura finale possibile è che con la riorganizzazione delle rotte commerciali in corso, la “normalizzazione” dei noli marittimi, l’aumento della capacità di spazio sulle navi, la crisi del mar Rosso abbia perso centralità perlomeno nel dibattito economico.