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Numero 28 | Febbraio 2025

carceri

Perché non abbiamo bisogno del Disegno di Legge Sicurezza


E’ un bollettino di guerra quello che proviene dalle carceri italiane. Siamo a 77 suicidi in cella solo da inizio 2024 e purtroppo il numero è destinato a crescere.

In carcere si muore di ingiustizia, di solitudine, di paura del domani, paura persino di uscire e scoprire che la società non vuole un ex detenuto, anche se ha pagato per le sue colpe, se dietro le sbarre ha imparato una professione e fuori la manodopera scarseggia. 

In carcere ci sono tante persone che non si dovrebbero trovare lì: condannati con fine pena inferiore persino a un anno, malati cronici affetti da patologie gravi che dovrebbero essere incompatibili con la detenzione intramuraria ma formalmente non lo sono e, dunque, restano dentro.

In Italia un condannato a pena inferiore a 4 anni può accedere alle misure alternative. 

Questo dà già la misura di quanto sia paradossale l’attuale conformazione della popolazione penitenziaria, composta per lo più da persone a cui mancano pochi mesi per il fine pena.

Gli istituti sono al collasso, ad agosto il sovraffollamento superava il 130%, alcuni agenti della Polizia penitenziaria si sono tolti la vita perché stremati e schiacciati dalla gestione – in costante deficit organico – di questa problematica e sofferente marea umana.

Carcere mortale

Eppure i dati sulla criminalità in Italia ci dicono che si delinque poco e che i crimini gravi sono in costante flessione. 

Il corto circuito del sistema penitenziario trae, invece, le proprie origini dalla malaccorta legislazione penale degli ultimi trent’anni che, lungi dal prevedere pene proporzionate e commisurate alla gravità dei fatti commessi, ha piuttosto inseguito l’onda emozionale dei più eclatanti fatti di cronaca e la retorica da sempiterna campagna elettorale portata avanti da esponenti politici che – evidentemente – non hanno mai letto gli articoli 25 e 27 della Costituzione. (*)

Il diritto penale e il carcere sono passati dall’essere la misura estrema dell’intervento statuale per la prevenzione e repressione di condotte assai gravi per la collettività, a strumento simbolico e spropositato di gestione del disagio sociale, della povertà e del fallimento dello Stato assistenziale.

L’ultimo esempio di questa mala gestio politico-criminale è rappresentato dal disegno di legge A.S. 1236, c.d. “DDL Sicurezza” che si trova adesso all’esame del Senato.

Questo Leviatano composto da ben 38 articoli reca ulteriori inasprimenti sanzionatori e nuovi reati a fronte di condotte che, in concreto, non giustificano il ricorso alla carcerazione. 

Simbolismo penale

Tra le misure più eclatanti emerge l’abolizione del differimento pena obbligatorio per le donne in gravidanza o con prole di età inferiore a 1 anno. Mentre fino ad oggi nessun bambino era stato costretto a nascere in carcere o a passarvi i primi mesi della propria vita, questa norma finirà per sacrificare i diritti di bambini innocenti, costretti a scontare le colpe delle proprie madri con la sanzione più estrema.

Guai in vista anche per chi occupa abusivamente immobili, per diletto o per necessità. Si prevede infatti una pena da 2 a 7 anni che paragonata a reati assai più gravi come i maltrattamenti in famiglia o l’associazione per delinquere (da 3 a 7 anni) o il sequestro di persona (da 6 mesi a 8 anni) non giustifica un accanimento tanto feroce per un reato contro il patrimonio. 

Viene introdotta una nuova aggravante comune (aumento di 1/3 della pena) per chi commette i fatti nelle adiacenze di stazioni ferroviarie o della metropolitana, o all’interno dei convogli adibiti al trasporto di passeggeri. E’ incredibile pensare che una violenza sessuale commessa nell’ascensore di un condominio o in una privata autovettura verrà punita meno aspramente della stessa efferata violenza commessa sul vagone di un treno.

Durante il passaggio del DDL Sicurezza alla Camera, il Governo ha presentato un emendamento per inserire nelle tabelle degli stupefacenti anche le infiorescenze della canapa, a prescindere dal fatto che contengano o meno il THC, ossia il principio attivo dotato di effetti psicotropi. Questa misura si appresta a colpire duramente il mercato della cannabis light – basato sul commercio di prodotti a base di CBD, principio attivo invece sprovvisto di effetti droganti – che dà da lavorare a 3mila aziende e ben 13mila lavoratrici e lavoratori in Italia. Attualmente il 34% della popolazione carceraria complessiva si trova in cella per reati connessi agli stupefacenti.

Controllo del dissenso sociale

Nuove pene anche per la disobbedienza e la “libera” manifestazione del pensiero.

Viene introdotta un’ipotesi speciale che punisce da 1 anno e 6 mesi a 5 anni e con la multa fino a 15mila euro chiunque compie un danneggiamento in occasione di una manifestazione. 

E’ previsto l’aumento di 1/3 delle pene per chi commette i reati di oltraggio, violenza e resistenza a pubblico ufficiale al fine di impedire la realizzazione di un’opera pubblica o un’infrastruttura strategica. Inutile dire che il Governo si stia preparando all’eventualità che le proteste per la costruzione del Ponte sullo Stretto assumano tratti ancor più accesi.

Sul versante delle proteste operate mediante blocchi stradali (valido anche per i c.d. “forconi”, chissà se il Governo c’ha pensato?) sono previste “carezze” con la reclusione fino a 1 mese e la multa fino a 300€ per chi “da solo” blocca un’arteria stradale o ferroviaria per protesta. La sonata cambia nel caso in cui il blocco stradale venga operato da più persone riunite poiché in quel caso la pena aumenta da 6 mesi a 2 anni di reclusione. Difficilmente si è assistito a blocchi stradali portati avanti da una persona sola, dal che ne discende che questa norma non troverà mai applicazione. Senz’altro pareva male punire d’emblée gli attivisti con un reato di nuovo conio quando l’unica risposta consona dello Stato sarebbe dovuta essere, al più, l’introduzione di una sanzione amministrativa. 

Parimenti afflittive, spropositate e sganciate dai canoni blindati dell’incriminazione penale, sono le nuove pene previste per chi promuove o partecipa a una rivolta in carcere. In un momento in cui il clima negli istituti penitenziari è rovente ed esasperato, il Governo ritiene di introdurre l’ulteriore pena della reclusione da 1 a 5 anni se la rivolta avviene in un istituto di pena e da 1 a 4 anni se avviene all’interno di un Centro per il rimpatrio (CPR). 

E’ eclatante che, in entrambi i casi, ai fini della punibilità viene considerato soggetto attivo anche colui che si limita a opporre una “resistenza passiva”, rimanendo immobile senza compiere alcuna azione. 

Queste stesse norme prevedono, poi, una serie crescente di aggravanti nel caso in cui dalla rivolta derivino lesioni a taluno dei presenti. Se poi dovesse avvenire “come conseguenza non voluta” la morte di qualcuno, sono previste pene fino a 15 anni per i partecipanti (18 anni per i promotori). Il che dovrebbe far rabbrividire chiunque al solo pensiero di un ipotetico Gandhi che, detenuto al carcere di Rebibbia e limitandosi a opporre resistenza passiva durante una rivolta organizzata da altri, venga condannato a 15 anni per il solo fatto che durante i disordini sia avvenuta la morte di uno dei presenti.

Queste sono alcune tra le più incomprensibili e pericolose previsioni del DDL Sicurezza dalla cui applicazione deriverà un ulteriore e grave peggioramento del già compromesso sistema carcerario.

Siamo lontani anni luce dal sistema pensato dai padri costituenti che immaginavano gli istituti penitenziari come luoghi in cui il reo avrebbe dovuto comprendere le proprie azioni, riconciliarsi con il sistema cui si era avversato e compiere un percorso di dignità e rieducazione volto al suo reinserimento nella società. 

 

(*)

Articolo 25. Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge. Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso. Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge.

Articolo 27. La responsabilità penale è personale. L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato

Letizia Lo Giudice
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Avvocata penalista - Phd in diritto penale, Comitato scientifico “Società della Ragione”, Commissione carcere Camera Penale Messina e Ordine Avvocati Messina

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