
La Legge Calderoli non è l’annuncio di una nuova stagione regionalista
Il dibattito che si sta sviluppando sulla Legge per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione mi sembra stia rapidamente virando verso la sempre più frequente italica tendenza all’estrema semplificazione e soprattutto all’esasperazione della contrapposizione fra parti, con il rischio molto concreto di perdere di vista gli aspetti più significativi delle questioni sul tavolo.
Come segretario politico di un partito che si colloca decisamente nell’alveo del pensiero federalista e autonomista, ritengo che il perseguimento di una riforma dello Stato italiano in senso regionalista sia assolutamente auspicabile.
Da cittadino e rappresentante istituzionale del Friuli-Venezia Giulia credo che l’obiettivo di ampliare, per quanto ci riguarda, gli spazi di esercizio della specialità regionale debba essere prioritario non solo nei luoghi dell’amministrazione pubblica, ma per tutte le organizzazioni politiche, economiche e sociali che hanno a cuore i destini delle nostre comunità e sono disposte ad assumersi la propria parte di responsabilità. Aggiungo che questo dovrebbe valere per ogni altra comunità, locale e regionale.
Quello che sta avvenendo però a livello statale non va in questa direzione.
C’è un altro elemento della vicenda che riguarda il percorso di approvazione dell’autonomia differenziata che viene sostanzialmente ignorato e che rappresenta invece il vero drammatico pericolo per il sistema democratico italiano, o di quel che ne rimane: il disegno di legge sul premierato, approvato al Senato il 18 giugno scorso.
La vera posta in gioco è il premierato
È questo il vero obiettivo della Destra che governa il Paese, la tappa fondamentale di un percorso politico che muta in modo irreversibile la fisionomia istituzionale dell’Italia e che accelera vorticosamente la centralizzazione e personalizzazione del potere. Altro che regionalismo!
È contro il premierato che dovrebbero rivolgersi le massime preoccupazioni e la rapida mobilitazione di tutti coloro che credono nei valori del decentramento, della democrazia partecipata, della sussidiarietà, della solidarietà fra territori.
Non mi pare invece che questo passaggio susciti l’interesse e l’attenzione da parte dei molti che invece si stanno concentrando sulle possibili conseguenze negative dell’autonomia differenziata, non considerando il fatto che, allo stato attuale, la legge approvata dal Parlamento è oggi la principale garanzia che una vera riforma in senso federale dello Stato non sarà mai portata a termine da chi sta al Governo.
La prova sta nell’assunto che per il raggiungimento dei LEP (Livelli Essenziali delle Prestazioni), posto che si arrivi mai a una loro oggettiva e puntuale definizione, non sono state previste risorse aggiuntive a quelle che oggi vengono utilizzate dallo Stato.
Come si può pensare di garantire a tutti i cittadini e le cittadine italiane lo stesso livello di prestazioni e di servizi se non si stanziano le risorse per colmare i divari già oggi esistenti?
È evidente che l’autonomia differenziata non è un obiettivo del Governo Meloni e della sua maggioranza, ma è solo una marchetta fatta da Fratelli d’Italia alla Lega per sdoganare il loro vero traguardo: la riforma in senso presidenzialista dello Stato, che rimane nelle corde più profonde di chi ha ancora la fiamma tricolore nel suo simbolo e coltiva pericolose nostalgie, come la cronaca di queste ultime settimane ci ha ricordato.
Il rischio di indebolire e compromettere la nostra specialità
È bene quindi che chi intende opporsi a questo disegno presti attenzione a non cadere nella trappola di richiami neosovranisti e che il nazionalismo strisciante che, anche nel campo progressista, permea parte del dibattito di queste settimane venga rapidamente messo a tacere. Non si può seppellire anni di regionalismo positivo con un giacobinismo fuori tempo e credo che l’obiettivo di chi tiene alla Carta Costituzionale dovrebbe essere quello di applicare l’art. 116, non di abrogarlo.
Questo vale soprattutto per la nostra Regione, che ha dovuto prima e più di altre subire i confini del novecento e che nel corso degli ultimi sessant’anni ha sperimentato gli effetti positivi che l’autonomia può portare alle persone che abitano la nostra terra.
C’è da chiedersi se alla nostra Specialità crea più danno la confusione della Legge di scambio FDI-Lega o le sollecitazioni centraliste di parte dell’opposizione che inevitabilmente spingono l’opinione pubblica a diventare nemica delle Specialità regionali, che già oggi vengono vissute come delle situazioni di ingiustificato privilegio in larga parte del Paese.
Per la nostra comunità regionale è tempo di abbandonare le sirene “foreste” e di concentrarci su come possiamo, di nuovo, essere protagonisti del nostro futuro, rivendicando le competenze e le responsabilità che ci competono.
Segretario del Patto per l’Autonomia, movimento civico e territoriale che crede nell’autogoverno come strumento di innovazione politica, nel 2018 è stato eletto consigliere regionale, riconfermato nel 2023. Da sindaco del suo comune, Mereto di Tomba, ha avviato il Distretto di economia solidale del Medio Friuli. Imprenditore con una lunga esperienza nella cooperazione allo sviluppo, ha coordinato la campagna referendaria "Acqua bene comune" ed è stato tra i fondatori del Forum dei beni comuni e dell'economia solidale Fvg.
- Massimo Moretuzzohttps://ilpassogiusto.eu/author/mmoretuzzo/
- Massimo Moretuzzohttps://ilpassogiusto.eu/author/mmoretuzzo/
- Massimo Moretuzzohttps://ilpassogiusto.eu/author/mmoretuzzo/
- Massimo Moretuzzohttps://ilpassogiusto.eu/author/mmoretuzzo/