La Carovana dei ghiacciai 2024 sulle Alpi Giulie
Indice dei contenuti
La Carovana dei Ghiacciai, campagna internazionale di sensibilizzazione sugli effetti nefasti del riscaldamento globale, quest’anno è giunta alla sua quinta edizione. Promossa da Legambiente si avvale del partenariato scientifico del Comitato Glaciologico Italiano (CGI) e della collaborazione di CIPRA Italia. I ghiacciai visitati nell’estate 2024, sopra e intorno ai quali si sono svolte escursioni guidate, eventi informativi, convegni scientifici, momenti musicali e artistici, è partita con un’anteprima sul ghiacciaio dei Forni, Alta Valtellina, all’insegna di “clean up the glacier” il 5 agosto scorso.
L’approccio internazionale dell’iniziativa si è mosso dal Mer de Glace, Chamonix-Mont Blanc, in Francia tra il 18 e 19 agosto, per poi procedere verso est toccando sul versante italiano in tappe di più giorni il ghiacciaio della Valpelline in Val D’Aosta, il ghiacciaio di Flua in Valsesia, Piemonte, il ghiacciaio Fellarìa della Valmalenco, Lombardia, i ghiacciai delle Alpi Giulie per concludersi sul ghiacciaio della Marmolada al confine tra Veneto e Trentino il 5 e 9 settembre scorsi.
L’analisi e la discussione dei dati glaciologici attraverso tutta la catena alpina è purtroppo nota e allineata al trend globale: i ghiacciai si stanno inesorabilmente ritirando, con una piccola eccezione che ci riguarda molto da vicino, come vedremo. La causa prima è altrettanto conosciuta e ascrivibile alle emissioni in atmosfera dei gas clima-alteranti prodotti dalle attività antropiche (combustione di fonti fossili nei trasporti, nel riscaldamento domestico, negli impianti industriali, nelle centrali termoelettriche e emissioni da agricoltura industriale e allevamenti intensivi); gli effetti a cascata sono l’aumento dell’effetto serra, il riscaldamento globale dell’atmosfera, delle terre e degli oceani e la conseguente fusione delle masse glaciali.
Veniamo a noi, alle giornate tra il 31 agosto e il 5 settembre, in cui la Carovana, ospite della Slovenia e del Friuli, ha voluto lasciare un’impronta intitolata “Biodiversità e ghiacciai”. Il 1° settembre è stato dedicato all’escursione alle sorgenti dell’Isonzo; nei giorni successivi di lunedì 2 si è svolto a Trenta, in comune di Plezzo-Boveč, il convegno “Vita nei ghiacci e vita dai ghiacci, ecosistemi glaciali in cambiamento”, martedì 3 ha visto la salita al ghiacciaio del Canin e il saluto al ghiacciaio con suonata di violino per opera di Giacomo Ambrosino e il 5 settembre la conferenza stampa a Udine ha concluso la tappa.
Relatori di chiara fama accademica e professionale si sono succeduti nei vari momenti coordinati da Vanda Bonardo, responsabile per le Alpi di Legambiente e presidente di CIPRA Italia, e da Elisa Cozzarini, giornalista divulgatrice su temi di tutela ambientale, a cominciare da Miha Pavšek climatologo e studioso del ghiacciaio del Triglav dell’Università di Lubiana, Valter Maggi professore ordinario in geografia fisica e geomorfologia presso l’Università Bicocca di Milano e presidente del CGI, Stefano Raimondi responsabile biodiversità Legambiente, Andrej Arih responsabile dipartimento per la protezione della natura del Parco Nazionale del Triglav, Nicola Ceschia guida naturalistica del Parco Naturale delle Prealpi Giulie, Renato R. Colucci ricercatore presso il CNR-ISP e membro del CGI e Federico Cazorzi professore associato di meteorologia e idrologia presso l’Università di Udine e membro CGI.
La fusione dei ghiacciai accompagna la crisi della biodiversità alle alte quote
Parole esperte, immagini proiettate e visione diretta hanno permesso ai partecipanti di cogliere un quadro allarmante rispetto agli effetti del riscaldamento globale, particolarmente intenso in alta montagna, che causa la riduzione del volume dei nostri ghiacciai; le conseguenze non si limitano a rimpiangere immagini di paesaggi alpini da cartolina del secolo scorso ma sono eventi che incidono profondamente sulla disponibilità d’acqua nelle vallate e in pianura, nelle variazioni altimetriche delle componenti di flora e di fauna alpina con notevoli ripercussioni sugli ecosistemi culminali e la tendenza a spingere le specie criofile sempre più in alto, fino a scomparire. È questo il caso dei cosiddetti relitti glaciali, frutto di migrazioni di specie artiche da nord a sud nell’ultimo periodo glaciale terminato circa 11.700 anni fa, quali la pernice bianca, il gallo forcello, il gallo cedrone, la lepre bianca alpina, l’ermellino e molte specie di flora che sono obbligate a salire di quota per soddisfare le proprie esigenze ecologiche e sospinte dalle altre specie che dal basso “invadono” territori divenuti a queste ultime congeniali. Le disponibilità spaziali e trofiche però sono sempre più limitate, fino a esaurirsi del tutto sulle cime. Un esempio emblematico è rappresentato alle popolazioni di stambecco: a causa delle precoci fioriture e del rapido declino estivo delle specie vegetali ricche di proteine necessarie allo svezzamento dei piccoli, gli adulti hanno abbandonato le cime prealpine più basse riparandosi sui più alti versanti alpini.
Nel panorama di riduzione generalizzata l’eccezione consolatoria del Montasio
Entro fine secolo, continuando l’attuale incremento della temperatura media, il 90% dei ghiacciai alpini è destinato a sparire. I ghiacciai delle Alpi sud-orientali infatti, essendo i più bassi di quota e subendo estati calde e inverni siccitosi, si stanno “nascondendo” negli anfratti rocciosi più freddi e ombrosi delle montagne; per il prof. Maggi rappresentano dunque il “film del futuro” riservato ai ghiacciai delle Alpi centrali e occidentali le cui vallate, e le sottostanti pianure, a differenza delle nostre, vivono esclusivamente grazie alle grandi riserve idriche glaciali. I nudi dati registrati per il ghiacciaio del Triglav, il più alto delle Alpi Giulie essendo collocato intorno ai 2700 m, indicano una riduzione della superficie dai 40 ha del 1949 ai 0,2 ha (un terzo della superficie di un campo da calcio) misurati durante questa stagione estiva; il ghiacciaio del Canin, posto a 2000 m, copriva ancora una superficie di 9,5 ha negli anni ’50 per ridursi agli odierni 1,4 ha (poco più di due campi da calcio) separati in due lembi da una dorsale rocciosa. In pratica questi ghiacciai non esistono più: sono dei relitti climatici, dice il prof. Colucci. E non ingannino i depositi di neve sporca che ancora occhieggiano sotto le pareti rocciose del Canin e del Monte Ursich, si tratta di glacio-nevati che nulla hanno a che fare con la dinamica di un vero ghiacciaio.
Diversa è la situazione del ghiacciaio orientale del Montasio, il più basso delle Alpi a 1900 m, consta di una superficie di 7 ha con un bilancio di massa in equilibrio: la zona di accumulo posta in alto pareggia e alimenta la zona di ablazione (fusione) situata in basso a ridosso della morena frontale, da almeno 15 anni. Il comportamento in controtendenza per l’intero arco alpino è dovuto alla collocazione favorevole rispetto all’angolo formato da alte pareti (800 m di dislivello) che lo ospita: riparato dall’irraggiamento solare diretto e alimentato da grandi valanghe che si staccano dalle pareti durante gli inverni ancora abbastanza nevosi a quelle quote. Considerato il barlume di speranza che alita dal Montasio vien da dire: cosa possiamo fare per invertire questa corsa consapevole verso una crisi climatica mondiale annunciata almeno 40 anni fa?
Acclarato il riscaldamento per mano nostra dobbiamo fare di tutto per ridurre l’immissione in atmosfera dei gas clima-alteranti attraverso pratiche di risparmio energetico e di conversione delle fonti energetiche fossili verso le rinnovabili. Ciò richiede l’impegno di tutti: dai singoli cittadini ai decisori politici e i tempi saranno lunghi prima di apprezzarne gli effetti.
Quello che si può fare subito è chiarito da Legambiente e Comitato Glaciologico Italiano in 5 punti:
- Avviare un piano di monitoraggio della biodiversità degli ambienti glaciali integrato con specifici piani di adattamento ai cambiamenti climatici per le singole specie e/o habitat.
- Definire una rete ecologica adattativa, che tenga conto dei futuri scenari climatici, per favorire la continuità spaziale degli habitat e delle popolazioni o la possibilità di flussi genetici tra popolazioni.
- Porre attenzione agli impatti antropici che minacciano la biodiversità e le pratiche di copertura dei ghiacciai con teli geotessili.
- Intensificare gli sforzi per creare nuove aree protette anche nelle zone glaciali per il raggiungimento dell’obiettivo di tutelare, attraverso strumenti giuridicamente vincolanti, almeno il 30% del territorio entro il 2030.
- Sviluppare nuove strategie per migliorare la protezione in situ di questi ecosistemi per garantire la loro esistenza e funzionalità ecosistemica, come ricorda la recente risoluzione delle Nazioni Unite che dichiara il 2025 Anno internazionale dei ghiacciai e il Global Biodiversity Framework.
Legambiente invita infine a prendere visione e a firmare la petizione on-line indirizzata al Governo Italiano per agire in fretta e concretamente in soccorso dei “giganti bianchi”, un grande ecosistema in pericolo di estinzione: “Una firma per i ghiacciai”.