Grazie Miri!
“Io so: ho vissuto quattro mesi in tenda, quasi un anno a Lignano e poi più di 9 anni in baracca” ricordava spesso Miriam Calderari. E dentro quegli anni c’era tutta la sua militanza civile, il suo impegno, culturale e politico, per condividere con la sua gente, dentro e fuori Venzone, la prospettiva di un progetto di una ricostruzione partecipata per tornare a vivere bene nei paesi del Friuli dopo i terremoti del 1976: una ricostruzione per cui sarebbe valsa la pena “prendersi” (non “perdere”) tutto questo lungo tempo.
Allora avevamo ancora davanti agli occhi gli esempi di NON ricostruzione dopo il disastro del Vajont e il terremoto del Belice e certamente anche per Miriam “di bessôi” nascondeva nel dna dei friulani una profonda sfiducia nei poteri centrali dello Stato ma non era mai stato presunzione: lo avevamo declinato come simbolo di una autogestione attiva delle scelte per avere libera voce in capitolo ed essere ascoltati, perché il processo di ricostruzione avrebbe segnato la vita di tutti e condizionato quella delle generazioni future.
Miriam Calderari è stata protagonista appassionata e infaticabile della storia della ricostruzione di Venzone: per oltre 10 anni le sue energie e la sua vita sono state dedicate a questa impresa. Prima nel “Comitato 19 marzo per il recupero dei beni culturali” poi nella raccolta delle firme dei cittadini per la ricostruzione del centro storico “dov’era e com’era” e nella costituzione della cooperativa della cui consulta assunse la presidenza e infine, eletta in consiglio comunale, divenne l’assessore alla Ricostruzione del Centro Storico.
Genius loci
“Camminavo fra le macerie e il mio corpo sentiva caldo dove c’era stata una strada e fresco dove c’era stata una casa; non sono una matta: era il genio del luogo, quello che ti fa sentire ancora il pavimento dove magari ci sono ormai le macerie ma col piede hai tanto camminato su quel pavimento che tu lo senti ancora”. Così più di trenta anni dopo, Miriam ricordava le sue profonde emozioni quando, salvando pietre e affreschi assieme al prof. Remo Cacitti e a mons. Della Bianca, coinvolgendo giovani studenti, architetti neolaureati, tecnici capaci e cittadini coraggiosi, professori universitari e grandi urbanisti, iniziò a delinearsi sempre più chiaramente che poteva diventare realtà la utopia rivoluzionaria di una ricostruzione “dov’era com’era”, guidata dal basso dai comitati di base, contrapponendola senza mezzi termini alle proposte accademiche di costruire in Friuli delle nuove città lineari (new towns).
E toccò sempre di più proprio a lei affrontare a viso aperto difficoltà legislative, amministrative, burocratiche, finanziarie e tecniche, acquisendo nuove competenze e muovendosi con determinazione dai meandri dei ministeri fra funzionari e burocrati agli studi delle Università fra professori e urbanisti. Promuovendo convegni regionali e nazionali, coinvolgendo esperti internazionali, con il sostegno e l’aiuto di accademici e di imprenditori, la faticosa esperienza della ricostruzione di Venzone si candidava ad essere esempio di un modello significativo per altre drammatiche esperienze future che purtroppo non sarebbero mancate.
Un lavoro di molti anni: non c’era nessun precedente e molte procedure da inventare. Ma Miriam, come la abbiamo vista e conosciuta, e come viene ricordata da quanti hanno lavorato con lei, era instancabile, una vera donna friulana, attiva e impegnata, capace e seria, forte e decisa, tenace e non flessibile sui valori fondamentali condivisi con i suoi collaboratori e consiglieri: la sua storia è fatta di passione, sacrificio e impegno, onestà e lungimiranza. All’interno delle comunità le contrapposizioni non mancavano, le difficoltà e le responsabilità erano pesanti, ma, come avevano scritto gli autori de “Le pietre dello scandalo”, “la materia prima con la quale puoi ricostruire Venzone sono le pietre”.
Com’era e dov’era, ma le case di pietre e cemento, dovevano essere confortevoli, tecnologicamente adeguate agli standard della modernità, a misura delle persone e delle famiglie, una scommessa fra tradizione e innovazione, che, anche in altri campi, ci intrigava molto in quegli anni dopo il terremoto, storico spartiacque fra un prima e un dopo, nel segno della memoria e del futuro, in una equilibrata e realistica dialettica progettuale fra nuove e vecchie generazioni.
Quando la ricostruzione di Venzone è finalmente messa in grado di procedere con sufficiente sicurezza, Miriam Calderari incomincia ad immaginare altri progetti per quel suo e nostro borgo che sta diventando emblematico per tutto il Friuli. La ritroviamo protagonista attiva con molte altre amiche e amici, compagni di avventure culturali e politiche, al nostro fianco alla fine degli anni ottanta e ai primi anni novanta per la organizzazione e la gestione delle tre edizioni di D’Atomp a Vençon e delle due edizioni della Festa Nazionale della Pace, accanto al Tomât di Buje e ad INT di PÂS. E poi saremo ancora insieme nel generoso tentativo di “soccorso civico” che la porterà ad essere, per un paio di anni, sindaco di Dogna. Di professione “Miri” era una maestra, sì, una maestra di bambine/i delle scuole elementari e forse anche per questo era abituata a guardare avanti.