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Numero 30 | 14 Marzo 2025

Gorizia Trilogia

“Trilogia della Frontiera”, tra storia e memoria del Novecento goriziano


Gorizia è stata spesso definita una città” carsica. Come le alture che la circondano, anch’essa sembra costellata da doline, inghiottitoi e acque che scorrono in profondità. Una metafora che, mutuata dalla geologia del territorio, aiuta a definire la percezione della sua storia. 

Un turista o un visitatore rimane colpito dalla sua toponomastica, con le tante intitolazioni legate alla Prima guerra mondiale. Armate, battaglioni, generali e eroi di guerra definiscono il territorio tanto quanto i mausolei, i monumenti e le raccolte museali, ricordando la tragedia di un conflitto che, con le dodici battaglie dell’Isonzo, trasformò la città in un cumulo di macerie, i suoi dintorni in un gigantesco cimitero e il suo futuro solo l’ombra di quella “Nizza d’Austria” di asburgica memoria. 

Le guerre possono uccidere anche le città

Gorizia non si riprenderà mai più dalla prima guerra. Il suo essere plurima, di lingue e di culture, tramonta allo scoppio del conflitto. La sua folta e vivace presenza slovena – addirittura predominante in quelli che furono i comuni limitrofi e che oggi sono i quartieri più periferici di Podgora-Piedimonte, Pevma-Piuma e Štandrež-S.Andrea – si riduce progressivamente nel corso del secolo che seguirà e, rimanendo nel campo della toponomastica, su 250 vie e piazze, oggi solamente dodici portano il nome di esponenti sloveni. 

Un’altra buona fetta di intitolazioni spetta agli italianissimi Dante e Petrarca, Boccaccio, Verdi, Buonarroti, Rossini. Singolare, per una città che già dal tardo Medioevo ospitava stabilmente una presenza italiana, germanica e slava. La città, che per più di quattro secoli ha guardato più a Vienna e Praga che a Roma o Firenze, dovrà invece imparare a rivolgere lo sguardo al pantheon di riferimento culturale della “madrepatria” italiana.

Corso Italia, l’arteria principale che porta dalla stazione ferroviaria al centro, è invece un interessante specchio di un frenetico trasformismo toponomastico. Intitolato nell’Ottocento all’Imperatore Francesco Giuseppe, nell’immediato dopoguerra passa sotto l’egida di Vittorio Emanuele III, ma, all’indomani dell’8 settembre, quando Gorizia è occupata dai nazisti, verrà intitolato a Ettore Muti, segretario del Partito nazionale fascista. Diventa corso Tito durante i quarantadue giorni di governo jugoslavo, e subito dopo si trasforma in corso Roosevelt per celebrare il governo alleato angloamericano. Infine, diviene corso Italia, a testimoniarne il definitivo ritorno nell’alveo nazionale.

Ricordare, conoscere, capire

Ma è nel parco della Rimembranza che la memorialistica cittadina esprime una narrazione che, ancora una volta, sembra andare in un’unica direzione. E’ il monumento ai deportati di Tito, accanto al tempietto distrutto dai domobranci, a prendersi tutta la scena. Deportati, infoibati, spariti “perché italiani”, si dice, mentre la realtà è molto più complessa e articolata.

Cosa rimane in città a testimoniare integralmente un capitolo fondante della sua storia novecentesca, quello del Ventennio, della persecuzione fascista perpetrata nei confronti del popolo sloveno, dell’occupazione nazista e della battaglia partigiana di Gorizia del settembre 1943, la prima in Italia, quando partigiani italiani e sloveni combatterono assieme le truppe di Hitler? Le targhe commemorative che dobbiamo cercare con pazienza davanti alla stazione ferroviaria, al carcere di via Barzellini e al Castello sono state apposte dall’ANPI locale, che sta anche faticosamente cercando di erigere nel centro città un doveroso monumento ai caduti della Resistenza, perchè di tali memorie manca un riconoscimento pubblico.

E poi, come è stato tracciato il nuovo confine nel 1947? Come le persone hanno sopportato una tragica divisione, dopo secoli di convivenza? Com’è nata e come si è sviluppata Nova Gorica, a due passi dall’italianissima Gorizia? Cosa è successo esattamente di qua e di là dal confine per cinquantasette anni, prima che quel confine venisse cancellato? Come le due comunità hanno ricucito i loro rapporti, reimparato a parlarsi e ad affrontare assieme il futuro? Le risposte a queste domande vanno cercate nelle esposizioni museali di Nova Gorica, perché a Gorizia non si trovano, con l’eccezione dell’edificio confinario del valico di Rafut, trasformato in un’esposizione fotografica e multimediale.

Una storia complessa, memorie personali dolorose e non ancora pacificate, un’identità nazionale e linguistica non univoche sono il fiume carsico che ci attraversa e che, nonostante i tentativi di una rappresentazione storica ufficiale monolitica, descrivono ancora i tratti di questa città e del suo territorio.

Documentarsi non è cosa facile, perché tutto ciò che è complesso e ancora sanguinante è difficile da trattare. I libri di storia che si studiano a scuola trattano inevitabilmente questi eventi in modo succinto, insufficiente a comprenderne la complessità. Molti testi storici sono stati scritti su queste vicende, ma spesso non raggiungono il grande pubblico e, come abbiamo visto, il racconto storico e memoriale pubblico, che in questi ultimi anni si sta affermando anche a livello nazionale, non chiarisce i punti oscuri, ma, più spesso, li omette.

Nonostante tutto questo – o forse proprio per questo -, è arrivata la designazione di Nova Gorica e Gorizia a Capitale della cultura 2025, la prima transfrontaliera della storia dell’Unione europea.

Oltre al parossismo dei preparativi, ai (tanti) milioni di euro che sono stati stanziati per rimettere a nuovo la città, al fitto programma culturale che accompagnerà per un anno cittadini e visitatori, ma che soprattutto porrà il territorio sotto i riflettori dell’Europa, quale sarà la narrazione che sapremo interpretare? Quale eredità lascerà il 2025?

Tre libri per iniziare bene il 2025

Nel corso del 2024 tre autori hanno contribuito con altrettante nuove proposte editoriali a rispondere egregiamente a queste domande. E a lanciare ulteriori interrogativi e proporre diversi punti di vista.

“Gorizia e Nova Gorica. Due città in una” è il titolo della guida alla Capitale europea della cultura scritta da Andrea Bellavite – teologo, giornalista e operatore sociale, oltre che viandante curioso – tradotta in sloveno da Pia Lešnik e realizzata in co-editoria da Ediciclo Editore e da Editoriale Stampa Triestina, uscita nelle librerie lo scorso maggio. La domanda principale che pone Andrea Bellavite nella sua guida e che ne costituisce l’ossatura, è questa: “Nova Gorica non è stata scelta, insieme a Gorizia, soltanto per i suoi monumenti o per gli eventi straordinari che si sono verificati nel passato, ma per le persone che attualmente la abitano. Sono gli esseri umani, prima che il prodotto del loro ingegno o delle loro mani, a trasformare un lembo di mondo insanguinato da troppe guerre in un luogo di convivenza pacifica e costruttiva tra persone portatrici di lingue, culture, visioni ideologiche e religiose diverse tra loro”.

Storia, biografie e itinerari si snodano attraverso le due città, assieme alla vita dei loro abitanti, lungo otto itinerari da percorrere sia a piedi che in bicicletta, attraversando più volte quello che è stato confine e che ora ha riunito ciò che reti e muri avevano diviso.

Alessandro Cattunar, insegnante, ricercatore in storia contemporanea e operatore culturale di “public history”, oltre che curatore di progetti museali e produzioni audiovisive, ha pubblicato con Bottega Errante Edizioni “Storia di una linea bianca. Gorizia, il confine, il Novecento”, illustrato dall’art director italo-slovena Elena Guglielmetti. In questo libro si parla di storia e di memorie – attraverso le tante interviste di cittadini del Goriziano raccolte da Cattunar -, a partire da una foto emblematica scattata nel 1947. Il soggetto è una mucca e tra le sue zampe è tracciata una linea bianca di calce. Due zampe in Jugoslavia, due zampe in Italia. La stalla di qua, il mucchio di fieno di là, rappresentano per la mucca una scelta impossibile: mangiare o avere un tetto sulla testa? Un dilemma irrisolvibile. Quella linea rappresenta due mondi, un prima e un dopo, due visioni apparentemente antitetiche, in cui ciascuna delle parti tenta di riscrivere la propria storia, spesso negando una parte di sè stessa. Raccontarla integralmente ci libera da “dover scegliere” chi siamo e da che parte stare, ma accogliere la pluralità identitaria. E’ un testo corposo, ricco e generosamente annotato con una vasta bibliografia. Ma si legge davvero come un romanzo.

“Capire il confine. Gorizia e Nova Gorica: lo sguardo di un’antropologa indaga la frontiera, edizioni BEE Le metamorfosi, è scritto dall’antropologa e sociolinguista Giustina Selvelli, che si occupa di minoranze etniche, ecologia e nazionalismo nel Sudest europeo. Selvelli ha saputo fondere elementi biografici e storia della frontiera, saldando in un racconto affascinante le sue esperienze più intime e personali con gli studi antropologici delle popolazioni e delle politiche di confine. Una sorta di “autoetnografia” narrativa, che Selvelli definisce anche come un “elogio dei margini” e un percorso di conoscenza delle complesse dinamiche che li determinano, ma che possono suggerire il loro potenziale di trasformarsi in “nuovi centri”, multipli e inclusivi, esempi della migliore Europa.

Ci si vede al 9 di gennaio!

Il Forum Cultura di Gorizia, in collaborazione con l’IRSEC Friuli Venezia Giulia, ha voluto riunire assieme i tre autori con un evento che abbiamo intitolato “Trilogia della frontiera” – ispirandoci a Cormac McCarthy – per ragionare assieme su una visione storica del Novecento priva di omissioni, in cui le vicende e le diverse identità dei luoghi di frontiera rappresentino un vero e proprio laboratorio di contaminazioni culturali. L’evento è previsto per il 9 gennaio 2025 alle 17 al Kulturni Dom di Gorizia, ad un mese esatto dall’inaugurazione di GO!2025  dell’8 febbraio, per ricordarci che, al di là dei festeggiamenti, degli eventi e delle opportunità di rilancio del nostro territorio, il sogno che vogliamo sognare è quello di una città transnazionale europea, e che è proprio nelle regioni di confine che le identità meticce sono la risorsa in grado di superare le concezioni culturali, nazionali e linguistiche rigide ed esclusive.

Anna Cecchini
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Goriziana di adozione, attivista di Forum Cultura Gorizia, autrice di storia e cultura del territorio.

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