
A Monfalcone e Trieste: Fari di pace sui commerci di armamenti e sul ruolo dei porti
Indice dei contenuti
Alla fine di novembre con la tappa finale tenutasi a Trieste si è conclusa la staffetta di Fari di Pace, promossa da Pax Christi, che ha toccato i porti di Genova, La Spezia, Napoli, Bari e Ravenna, con la finalità di “accendere” l’attenzione e “fare luce” sul ruolo che i porti italiani hanno nel commercio di armi.
A Trieste la manifestazione ha anche accolto la staffetta della Terza Marcia Mondiale per la Pace e la Nonviolenza, e alcuni relatori, fra i quali Carlo Tombola di Weapon Watch e Norberto Julini, coordinatore nazionale di Fari di Pace, hanno proposto alcuni dati esemplificativi e significativi di questo ruolo.
Il solo porto triestino ha toccato un record di esportazione di armi leggere e munizioni leggere e pesanti per un totale di 174 milioni di €, pari al 12% del totale delle esportazioni nazionali, classificandosi così al terzo posto tra le province italiane, classifica per la quale va comunque ricordato che l’Istat oscurerebbe i dati di La Spezia e Cagliari. La destinazione principale di queste merci è il Qatar.
Perché i porti?
I promotori della campagna, attiva da alcuni anni, sottolineano il ruolo dei porti dai quali “s’imbarcano le armi che saranno usate per distruggere ciò che Dio ha creato e ciò che gli uomini hanno costruito cooperando in pace”. Le guerre, quindi, cominciano dai porti e prima ancora le guerre iniziano perché vi è chi le finanzia e fornisce loro servizi finanziari per farne commercio e profitto in un contesto di progressivo, accelerato e pericolosissimo riarmo.
E, a tal proposito, i nomi delle banche che operano in questo comparto sono conosciuti perché esiste una legge della nostra Repubblica di cui dovremmo andare fieri: si tratta della legge 185/90, che prevede la pubblicazione di queste operazioni di export di armi e dell’elenco delle banche che finanziano e offrono servizi.
In particolare questa legge che regola l’esportazione degli armamenti e il Trattato internazionale sul commercio delle armi, agli articoli 6 e 7, prescrivono che le diverse autorità che hanno, nel concreto, poteri di controllo sull’entrata e sull’uscita delle merci e sul transito delle stesse nei porti, non devono consentire il transito di armamenti di cui si possa presumere l’impiego in conflitti che violino gravemente i diritti umani, o in cui si possano commettere crimini di guerra e genocidi.
Oggi la legge sul commercio degli armamenti è sotto attacco
E’ per questo che uno degli atti formali della campagna e anche della tappa triestina è stata una lettera indirizzata all’Autorità portuale del Mare Adriatico Orientale, primo firmatario il Vescovo di Trieste monsignor Enrico Trevisi, nella quale si legge che “appare importante che i valori e le motivazioni che hanno portato ad approvare la legge 185/1990, che prevede che tutti i transiti di armi nei porti italiani siano comunicati pubblicamente, non vengano disattesi con la proposta di modifica presentata in Parlamento.”
Infatti la legge è sotto attacco e la si vuole rendere inefficace cancellando proprio le procedure previste in attuazione dell’articolo 11 della Costituzione che dichiara il “ripudio della guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”.
La lettera prosegue sottolineando i “rischi che le navi cariche di armi e munizioni rappresentano al loro arrivo e sosta in porto, dal punto di vista della sicurezza dei lavoratori in banchina e della cittadinanza residente nelle aree vicine al porto. Va peraltro apprezzato il fatto che l’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale, per il Porto di Trieste, disponga di un dispositivo congiunto con la Capitaneria di Porto che impone limitazioni e specifici controlli su imbarchi, sbarchi, trasbordi e transiti di armi nonché il divieto di sbarco, imbarco o trasbordo di esplosivi.”
Ma altre considerazioni sono state fatte dai promotori della campagna riflettendo su un territorio che può vantare una geografia così favorevole: apertura sul mare, vicinanza alla pianura e al retroterra montuoso, prossimità ai confini politici di tre paesi… così quest’area perde i suoi connotati di “periferia orientale” e impone uno sguardo ampio, anche quando si prende in considerazione il suo ruolo in una crescente “economia di guerra”.
Economia militare e dual use a Trieste…
Nella sua proposta di lettura dei territori Weapon Watch parte sempre dal mare, e in questo caso dai due porti di Monfalcone e Trieste – per di più retti da un’unica Autorità portuale – più il porto sloveno assai prossimo di Capodistria/Koper (senza considerare quello croato di Fiume/Rijeka, in linea d’aria a 75 km da Trieste). Ecco evidenziarsi tutte le diverse presenze dual use, per riprendere terminologie sempre più diffuse in questi tempi quando si parla di industrie, tecnologie, prodotti e relative sanzioni, attenzioni e misure di sicurezza:
– l’importanza del porto petrolifero triestino, terminale dell’oleodotto Transalpino che rifornisce Austria, Repubblica Ceca e Baviera
– la faticosa riconversione dei traffici dovuta alla chiusura del flusso di rottame di ferro da Odessa
– la dolorosa chiusura della filiale italiana di Wärtsilä, ex Grandi Motori, con la recente (febbraio 2024) cessione della grande area di Bagnoli al gruppo MSC, leader mondiale dello shipping e del trasporto integrato, che intende insediarvi una fabbrica di carri ferroviari.
L’ingresso a Trieste di MSC – già presente a Genova e fortissima anche nel comparto crociere – che non mancherà di modificare i fragili equilibri dell’economia portuale nord-adriatica.
Poi nell’area triestina tra i principali produttori italiani nel settore difesa hanno sede o stabilimenti:
– Fincantieri con la sede centrale storica, e dove ha sede anche la controllata Fincantieri Sistemi Integrati, che controlla un cantiere a Monfalcone (il più grande del gruppo, 1.700 dipendenti più 6.800 operai stranieri qualificati). NEXT Ingegneria dei Sistemi ha un ufficio a Grado;
– alcune spin-off che operano nell’Area science park di Padriciano.
… e nel Monfalconese
Nell’area del goriziano e del monfalconese invece si trovano:
– gli impianti di CMF 2 Lavorazioni Meccaniche, che a Cormòns lavora i forgiati medio-piccoli della capogruppo CMF, anche con destinazione navale;
– le aziende del gruppo Goriziane, tutte operanti a Villesse, per manutenzione dei mezzi blindati dell’esercito, di recente coinvolte dal caso dei Leopard italiani dismessi, comprati dalla RUAG svizzera, da questa promessi alla Germania e poi bloccati quando venne resa nota la destinazione ucraina;
– lo stabilimento Leonardo di Ronchi dei Legionari (prossimo all’aeroporto internazionale), dove si costruiscono i grandi droni Falco (venduti anche al Pakistan e testati sui civili nelle “aree tribali”) e i simulatori di volo per l’addestramento dei piloti e del personale operativo;
– la filiale italiana di Pipistrel di Savogna d’Isonzo, azienda slovena di recente acquisita dal gigante americana Textron (Bell), che produce gli unici velivoli elettrici in commercio.
Fari di pace, riguardo in particolare al porto di Monfalcone, ha ripreso quanto denunciato a più riprese dagli stessi lavoratori portuali. Di recente, il porto è periodicamente toccato dalla nave «Capucine», stabilmente noleggiata dall’Esercito italiano per spostare materiale militare, per lo più in occasione di manovre.
Tuttavia il porto non è abilitato al passaggio di armamenti, fatto che è ben noto sia alle organizzazioni dei lavoratori che all’Autorità portuale di Trieste, da cui dipende il porto di Monfalcone. La stessa nave, peraltro, è stata ripetutamente notata nel porto di Alexandroupoli, nella Macedonia orientale greca, a sua volta hub statunitense per i rifornimenti via mare di armi all’Ucraina.
«In un’economia di pace – ha affermato Roberto Cingolani, a.d. di Leonardo, nel febbraio 2024 presentando il bilancio del gruppo e le prospettive future – l’antitrust garantisce l’economia di mercato, ma ora siamo in un’economia quasi di guerra e bisogna chiarire quali sono le priorità, a mio parere dal punto di vista dei cittadini ora la priorità è la difesa».
Fari di pace si propone di contrastare queste affermazioni apodittiche di Cingolani, sia sul punto dell’efficacia dell’antitrust, che su quella della presente priorità della difesa, che implicitamente si giustifica con l’allarme collettivo e su una fragilità italiana (ed europea) data per scontata e, si può aggiungere, senza nemmeno considerare le possibilità della diplomazia e della ricerca e costruzione di “coesistenze pacifiche” pur già realizzate e conosciute.
Per noi che qui la riportiamo una campagna di informazione e di formazione utile e coraggiosa, che vorremmo contribuire in futuro a sostenere.