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storiis di glemone

Storiis tes storiis


Il periodico Pense e Maravee nasce dal locale gruppo verde di Gemona nel marzo 1992. Pagine ciclostilate distribuite a mano per fare opposizione “fuori” dal Consiglio Comunale.  Insomma uno strumento di informazione critica e proposta. 

Dal 1995 diventa periodico locale di cultura, informazione e dibattito

Nel 1996 viene costituita l’Associazione culturale Pense e Maravèe e alla stessa viene affidata la proprietà della testata. I temi sono locali e spaziano dai temi “verdi”, alla cultura, alle pratiche virtuose e solidali, alle storie di giovani in cammino ma anche al recupero della memoria in un paese quasi senza storia materiale, distrutto dal terremoto del 76.

L’attività editoriale era ed è interamente finanziata dai contributi volontari dei cittadini di Gemona e dall’acquisito di spazi pubblicitari. Viene distribuito a tutte le famiglie di Gemona e istituzioni del territorio (5.000 copie). Nel 2012, al concorso nazionale di Cento (FE), partecipato da oltre 200 testate periodiche e locali a diffusione gratuita e contenuto generalista, si è piazzato al terzo posto. Nella primavera di quest’anno pubblica il libro “Storiis di Glemone”. Per cogliere il senso di questo sforzo  editoriale riporto un pezzo della prefazione. Ma poi parlando di storie, ne riporto alcune. Storie “dell’altro mondo”.

La storia siamo noi. Così recita il testo di una nota canzone di De Gregori. Lo spunto ci è utile per riassumere il senso di questa pubblicazione che raccoglie le storie dei gemonesi e dei loro contesti di vita. Tante gocce di esistenza che formano un fiume, in buona parte carsico, che racconta, per chi sa ascoltare, la storia della nostra Comunità e che permette di cogliere anche le profonde trasformazioni avvenute nel nostro ambiente, nei nostri stili di vita. Ne citiamo due per l’occasione: le auto che abitano ormai le nostre strade e le nostre piazze al posto delle persone e l’ulivo che contende gli spazi alla vite, segno di profonde trasformazioni globali che si riflettono nei nostri territori. Questa prima “collezione” raccoglie le vicende del ‘900 arrivando, grosso modo, fino al sisma del ‘76 che funge da spartiacque nella vita del Friuli terremotato. Gli “scrivani” che hanno contribuito a realizzare questa pubblicazione sono numerosi ma lo sono ancor di più le persone incontrate in questi 30 anni, che ci hanno affidato racconti e ricordi. Insomma un libro su Gemona scritto dai gemonesi. Alcuni di loro ci hanno lasciato, ultimi testimoni di un’epoca che non c’è più. A loro dedichiamo questa prima pubblicazione. Per comodità di lettura abbiamo suddiviso il testo in quattro capitoli: ● Storie di lavoro e di fatica dei gemonesi sulle nostre montagne ● Storie di paese, dove anche le risate e le burle avevano diritto di cittadinanza ● Storie di emigrazione: “Libars… di scugnî lâ” citando Leonardo Zanier ● Storie di guerra subita e di riscatto….”.

Festa d’aprile, ho scritto il mio nome.

Sono nata nel 1938 da un matrimonio misto. Ho passato l’infanzia a Gemona, nella casa della mia famiglia materna, in quel pezzo d’Italia che si chiamò “Litorale Adriatico”, lì dove l’occupazione tedesca sostituì di fatto il governo della repubblica di Salò. Nell’inverno freddissimo tra il ’44 e il ’45 ho frequentato una specie di 2a elementare nel monastero delle suore francescane: il mio paese mi ha protetta e salvata. Sui vetri di quelle finestrelle nascoste, come su una lavagna di vapore, ho scritto cento volte, e solo lì, il mio nome vero: Grazia Levi. Poi sono rimasta a guardare scendere le gocce di condensa che inesorabilmente cancellavano il mio esercizio di scrittura. L’inverno è passato, è venuta la “festa d’aprile”; abbiamo cantato le canzoni e per la prima volta ho scritto il mio nome sui quaderni di scuola.

Attorno al fuoco

Non solo la luce delle stelle. La montagna nelle notti d’estate si accendeva di tanti fuochi e guardandola sembrava un presepe vivente.  Tutti sapevano chi c’era attorno al fuoco; riconoscerli, condividere la fatica e la notte con molti altri faceva sentire meno soli e la fatica meno pesante…

Ridadis di gust

Attorno al fuoco poi traboccavano gli aneddoti par cjoli vie Tizio e Sempronio. “Une volte un Brût (sorenon di famee), che al morosave cun tune di Glemone, ha scritto una lettera alla sua ragazza di Gemona che lavorava nella filanda di Monselice. Per fare bella figura e darsi un tono si è sforzato di usare l’italiano.  Così ha scritto «Ti miro e ti sguardo contro monte Segola (intendendo Monselice), sono a fare il fieno nel Monte del Chiappo (Cjampón) e addio». Venuti a conoscenza della lettera cominciò naturalmente la burla degli amici che gli chiesero: “Ce pajâresistu a veile dongje?” “Se no dute almancul lis còtulis” rispose con forte pronuncia nasale, caratteristica di famiglia, il Brût.

Campagna di Russia… nono Checo Cargnelut (un raggio di luce nel buio della notte)

Vennero mandati in Russia allo sbaraglio, con vestiti e armamenti inadeguati al terribile clima, con scarpette leggere che provocavano subito il congelamento dei piedi. Il comando del corpo d’armata alpino era dislocato a Rossosch. Da qui gli alpini vennero subito mandati sul fronte del Don. Poi iniziò il calvario delle grandi battaglie per spezzare l’accerchiamento che i russi avevano messo in atto: la terribile ritirata, la battaglia per la conquista di quota “Cividale”, fino all’incredibile giornata di Nikolajewka, dove riuscirono a sfondare la sacca in cui erano stati rinchiusi. Gli alpini morivano a centinaia, falciati dalle mitragliatrici russe. Mio nonno, Francesco Cargneluti, riuscì a salvarsi perché assieme ad altri compagni venne ricoperto dai cadaveri di altri soldati che cadevano sotto i colpi dei russi. Rimasero per diciotto ore ricoperti dai corpi senza vita. Soffrivano moltissimo la sete e per dissetarsi, con le baionette dovettero rompere il ghiaccio e la neve intrisi del sangue dei loro amici. Durante la ritirata successe un fatto profondamente umano: stavano marciando fra le isbe di un piccolo paese e gli abitanti li guardavano passare. Ad un tratto si avvicinò una nonnina (in russo Bàbushka) con tre patate in una mano. Tenne per sé le bucce e offrì le tre piccole patate al nonno e ai suoi compagni. Gli alpini rifiutarono ma la nonnina insistette tanto e dovettero accettare quello che forse per la bàbushka era l’unico pasto della giornata.

La ôge

Alla fine degli anni sessanta, lis ultimis ôgis trasportavano a valle il fieno dal monte Cuarnan e contemporaneamente l’uomo sbarcava sulla luna. Due mondi con due diverse prospettive: in rapido declino il primo, da confinare nella memoria; la speranza di uno sviluppo risolutore dei problemi dell’umanità, il secondo.

Strano attrezzo la ôge! Era fatta a forma di una grande slitta, per lo più con legno di orniello (il vuâr), con i due scivoli laterali, i ôgions, in frassino o faggio, rivestiti con una soletta di ferro nel lato a contatto con il suolo, che le consentiva un buon scorrimento ed un’ottima resistenza all’usura. Le traverse di solito erano fatte in corniolo che è un legno molto duro. Ancora oggi si vedono i solchi che i ferri degli scivoli hanno scavato nei sassi del sentiero dove passava la ôge carica di fieno. La memoria permanente delle pietre.

Zuan Dolo di Stalis

Emigrante in Romania, sul Caucaso ed in altri posti ancora.

Intorno al 1870 emigrarono dalla nostra regione in Romania molti operai; era un’emigrazione stagionale, temporanea o pendolare. A questo proposito vi raccontiamo la storia di un tal Zuan Dolo di Stalis (Borgùt), fratello di Nardin e Vigji; in tre hanno avuto 30 figli. Zuan, nato nel 1886, da piccolo è vissuto con i nonni

paterni. La madre era andata via da casa, mentre il padre era partito per la guerra in Eritrea. Al rientro dalla guerra il padre era subito emigrato in Romania e non aveva dato più alcuna notizia di sé. A 12 anni Zuan era partito, da solo, a cercarlo. Lo aveva trovato che faceva una brutta vita “a barabba vie” e lo aiutò a “tornâ a metisi in sest”…

Sandro Cargnelutti

Presidente regionale di Legambiente FVG

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