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Numero 28 | Febbraio 2025

Corleone

Ricordo di Pierluigi Di Piazza


Di nuovo al 20 di ottobre il cimitero di Tualis ha ospitato un momento di riflessione e preghiera nel ricordo di don Pierluigi Di Piazza, che nel suo paese d’origine, tra le amate montagne, riposa. Qui, dopo la sepoltura del sacerdote dell’accoglienza, tante persone sono passate per salutarlo. Un cimitero descritto come luogo dell’anima e della profezia, dal quale don Pierluigi continua a sollecitare impegno per un mondo di pace e giustizia. Un appuntamento frutto dell’affetto del fratello Vito.

A ricordare Pierluigi Di Piazza sono intervenuti questa volta Paola Colombo,  Presidente di Vicino/Lontano, Franco Corleone, già garante dei detenuti del Comune di Udine, e la direttrice di Telefriuli Alessandra Salvatori. 

Ad accompagnare le testimonianze, le musiche del maestro Giuseppe Tirelli con il suo gruppo musicale Domus Musicae Quartet di Mortegliano. L’attrice Aida Talliente ha letto riflessioni di Pierluigi contenute nei suoi libri. Pubblichiamo il ricordo di Corleone.

Siamo qui, in un luogo sacro, a ricordare un amico, un’ancora di salvezza in un mondo che sembra impazzito. 

Qualcuno disse che i cimiteri sono pieni di persone indispensabili e insostituibili. È una frase cinica, perché vi sono spiriti che davvero non scompaiono: continuano a vivere con noi. È questo il miracolo della compresenza dei morti e dei viventi argomentata da Aldo Capitini. Cito solo una sua affermazione che ha il fascino della poesia: «I morti non tornano perché non se ne vanno mai, perché sono uniti all’intimo». Pierluigi aveva interpretato così: «Può sembrare paradossale, ma la morte condensa e rivela il senso della vita».

I cimiteri di montagna sono il segno di un mondo antico e vanno difesi come un bene culturale, la cui scomparsa costituirebbe una perdita irreparabile. Tra queste pietre si coltiva la memoria (il recinto della memoria l’ho definito) e si fa vivere una comunità; personalmente, ho un legame familiare con quello di Timau.

Ho ritrovato alcuni messaggi scambiati con Pierluigi il 25 aprile e il 10 maggio del 2022: non li cancellerò perché rimangono il segno di una amicizia particolare, intensa ma riservata. Chiedevo la sua presenza per la presentazione del libro degli scritti di Sandro Margara, che conosceva bene e ammirava. Era tardi, stava per partire per l’ultimo viaggio.

Ora, mi consolano i versi del Congedo del viaggiatore cerimonioso di Giorgio Caproni:

«Dicevo, ch’era bello stare insieme. Chiacchierare… Sia come sia, torno a dirvi, e di cuore, grazie per l’ottima compagnia. Ora che più forte sento stridere il freno, vi lascio davvero, amici. Addio. Di questo, sono certo: io son giunto alla disperazione calma, senza sgomento. Scendo. Buon proseguimento».

Avevo pudore a chiedere a Pierluigi una parola, un sostegno, una testimonianza. Forse perché pensavo non fosse giusto distrarlo da impegni gravosi più significativi. Invece, lui mostrava sempre attenzione e disponibilità.

Mi piace ricordare la sua vicinanza e simpatia per la mia decisione di un digiuno per  evidenziare l’urgenza della restituzione dell’onore ai quattro alpini fucilati a Cercivento l’1 luglio del 1916 dalla giustizia militare e scrisse un articolo sul Messaggero Veneto, “Perché riabilitare i fucilati di Cercivento,” il 17 ottobre 2020.

Sono state tante le occasioni per ritrovarsi a parlare del carcere, della giustizia, degli ultimi. Ad esempio, nel 2011 al Centro Balducci in un incontro su carcere e giustizia. Nel 2015 con la presentazione di due libri: Recluse realizzato della Società della Ragione e Ponti di parole dell’associazione Icaro.

Nel 2019 presentammo il libro “Via Spalato, storie e sogni dal carcere di Udine”, una preziosa antologia degli scritti di Maurizio Battistutta curata da Roberta Casco e da me, con la prefazione di Pierluigi. Sempre quell’anno piantammo un melo nel carcere, a significare la speranza di una vita per i prigionieri fondata sulla libertà e responsabilità e per adempiere simbolicamente al desiderio proprio di Battistutta di sostituire il carcere con un meleto.

Il messaggio che Pierluigi aveva inviato per il convegno sulla ristrutturazione del carcere di Udine, svoltosi nel novembre del 2021, è ricco di suggestioni, con il dispiacere di non poter essere presente. Intensa la nota sul volto nuovo del carcere e sui volti delle persone detenute:

«Il progetto di ristrutturare un carcere significa attenzione a chi vi abita. In una città ci sono continue ristrutturazioni, ma quella del carcere si pone come un segno di speranza e, per una parte, anche di contraddizione. I luoghi parlano e ce lo insegnano in modo appropriato gli architetti, che, appunto, con i loro progetti comunicano una visione del mondo, della realtà, della vita, delle relazioni, dei luoghi in cui sono vissute. La ristrutturazione del carcere è segno di civiltà, di umanità per tutta la città, e prima di tutto per le persone detenute». 

Le tante occasioni di incontro e di condivisione

Mi aveva colpito il ricordo del pellegrinaggio laico compiuto il 20 settembre 2009 dalla Piazza di Zugliano, sotto il campanile, per raggiungere l’ex Ospedale psichiatrico di Sant’Osvaldo e poi il carcere di via Spalato. Alla presenza di Luigi Ciotti, amico di sempre.

Il tema era: Diritti umani, uguaglianza, giustizia sociale verso un welfare planetario. Nel suo intervento, Pierluigi evidenziava che nell’ex ospedale psichiatrico, seguendo la profezia di Franco Basaglia, la liberazione era avvenuta, con le prevedibili difficoltà ma anche con l’intuizione pratica di ricondurre la sofferenza nelle relazioni fra le persone. 

Pierluigi sosteneva che nel carcere di via Spalato non era avvenuto quello che ci si attendeva, nonostante la disponibilità e l’impegno di tante persone. E ricordava: «Dopo i diversi passaggi comprensibili riguardanti i permessi, i numerosi partecipanti hanno riempito la palestra del carcere. Sentivamo di vivere un momento significativo alla cui profondità e ricchezza hanno contribuito diversi interventi a cominciare da quelli dei detenuti. Ho desiderato condividere questi frammenti di riflessione per dirvi che, anche se non fisicamente, sono presente e sono in attesa di leggere le vostre esperienze e competenze, i contenuti di questo convegno molto, molto importante».

 

Recentemente ho partecipato alla presentazione di un libro di Roberto Sardelli, un sacerdote del dissenso scomparso nel 2019: Omelie di un prete periferico. Un educatore, una figura caratterizzata dall’impegno sociale nella periferia di Roma che elogia non la povertà, ma i poveri e afferma che bisogna essere partigiani. Era un prete dalla parte degli ultimi: i baraccati, i malati di Aids, i Rom, gli esclusi. Però non con un atteggiamento assistenziale, bensì cercando di fornire loro gli strumenti per non tacere, per diventare consapevoli e protagonisti e soprattutto mettendo in atto il principio di don Milani secondo cui: non c’è nulla di più ingiusto che fare parti uguali fra diseguali.

L’Invito a prendere parola in prima persona, a “Non tacere” è un ammonimento legato alla lettura del Vangelo di Marco, ancora più oggi, in questo tempo crudele, ferito da troppo silenzio disumano. Gli ultimi anni di quel prete di frontiera furono segnati da triste solitudine.

Anche la Carnia è periferica, ma Pierluigi per fortuna è stato protagonista, animatore di una comunità fino all’ultimo respiro.

Non siamo qui per commemorare, non siamo tristi

In questa occasione ho pensato anche a Padre David Maria Turoldo, morto pure lui a 75 anni. Al funerale, nel febbraio 1992 a Milano, il cardinal Martini disse parole di riconoscimento e di riconciliazione parlando di «fede incrollabile che non sempre abbiamo saputo capire», invocando altresì il gigante friulano: «Fai che sappiamo trarre dalla tua vita il senso. Pace dubbio, ricerca». 

Padre Camillo De Piaz, che di David era stato compagno nella Resistenza a Milano e co-animatore della Corsia dei Servi, ha sottolineato il tema della libertà nella fedeltà, ricordando che l’appartenenza all’Ordine dei Serviti aveva evitato a Turoldo di essere un “guru”. 

Anche Pierluigi ha evitato il rischio di essere solo un simbolo e invece ha voluto essere testimone della fede, nonostante episodi di emarginazione, marginalizzazione e persecuzione.

Le parole scritte per la morte di Maurizio Battistutta sono davvero commoventi e hanno il timbro della fraternità, che della triade della Rivoluzione francese è la parola più complessa e difficile. La libertà e l’uguaglianza possono essere oggetto di programma politico o di leggi. La fraternità è altro, è un orizzonte dell’umanità da praticare giorno per giorno, nelle relazioni costruite con dolcezza e con amore, nel rifiuto della violenza e della sopraffazione. Bella e attuale questa sua affermazione: «Nel difficile momento storico attuale si è stravolta la prospettiva della sicurezza: si individuano infatti coloro che la minaccerebbero nelle persone considerate “diverse”, fuori dal perimetro stabilito dal pensiero fortemente negativo, discriminante e disumano, i migranti soprattutto, ma non solo». 

Pensate che attualmente è in discussione al Senato un disegno di legge del governo (sulla sicurezza, ma non – anzi contro –la sicurezza dei diritti) che, tra le altre nefandezze, punisce con pene fino a otto anni di carcere le proteste dei detenuti pur se pacifiche. 

Pierluigi parlava spesso delle persone che scelgono la nonviolenza e sono quotidianamente artigiane e costruttrici di pace: La nonviolenza vissuta nel mondo violento; la costruzione quotidiana della pace vissuta nel tempo della Terza guerra mondiale. «Questo pensiero disumano (non merita neanche lontanamente l’accostamento alla cultura che indica contenuti e pensieri profondi, accoglienti, umani) che trova, sollecita e poi raccoglie gli atteggiamenti vendicativi, mai accennerebbe alla sicurezza in carcere. E invece è una grande, umana questione. La sicurezza, come possibilità di una vita degna e umana riguarda ugualmente tutte e tutti o non è tale; quindi, anche coloro che sono detenuti: donne, uomini, bambini, stranieri e italiani». 

E diceva ancora: «Non sarà certo il potere salvifico attribuito alle telecamere, alle pistole elettriche, ai manganelli, a costruire e garantire la sicurezza, ma invece la sensibilità del cuore, della coscienza e dell’intelligenza, la convivenza accogliente e pacifica fra le diversità. Siamo in sintonia profonda con Maurizio [noi possiamo dire con Pierluigi] per essere presenti, denunciare, proporre, vivere e agire con credibilità. Ripensando a lui, avverto la nostalgia, la mancanza della sua presenza così vera e umana. Ma poi sento che la sua presenza è viva e che continua a proporre con pacatezza e fermezza, sempre con profonda umanità».

Non siamo qui per commemorare, non siamo tristi. Siamo qui per prenderci per mano e per continuare il cammino comune. 

A chi si chiede che cosa direbbe oggi Pierluigi Di Piazza, rispondo che basta leggere le sue parole per saperlo. Dobbiamo domandarci invece che cosa farebbe, in quale luogo di tragedia e sofferenza avrebbe scelto di testimoniare. E provare a essere lì anche noi. Assieme. Compresenti.

Forse, anzi sicuramente, ci chiede di agire, di non essere spaventati, di non avere paura. Di costruire speranza. Ignazio Silone scrisse un bel libro, L’avventura di un povero cristiano: Caro Pierluigi, la tua è stata una bella e ricca avventura. E la tua scomparsa non l’ha offuscata o vanificata perché hai lasciato semi fecondi e promesse di nuovi inizi.

Ti ricordiamo e accompagniamo dunque con una strofa di padre Turoldo:

Ma la Morte è come varcar la soglia

e uscire al sole.

La Morte, atto d’amore,

ingresso all’universale Presenza.

Quel farsi silenzio, intrisi

di pietra, di radici,

leggeri come la luce,

non circoscritti, non più soli.

Franco Corleone
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Franco Corleone

È stato parlamentare e sottosegretario al Ministero della Giustizia, Commissario unico del Governo per il definitivo superamento degli Ospedali psichiatrici giudiziari. Attualmente è il Garante dei diritti dei detenuti del Comune di Udine. Autore, tra gli altri, del libro “Piero Gobetti e il logo ritrovato”.

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