
Un po’ di storia, qualche cifra, alcune informazioni sulla Politica Agricola Comunitaria
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La PAC rappresenta circa il 32% dell’intero bilancio EU, i fondi sono quindi costituiti dalle tasse dei cittadini europei. La PAC è stata introdotta nel 1962 e fino agli anni 80 ha assorbito più dell’80% del bilancio dell’allora CEE (oggi EU). La finalità iniziale è stata produrre abbastanza cibo per i cittadini europei, poi, avendo raggiunto problematiche sovrapproduzioni e conclamati impatti ambientali negativi (nitrati e atrazina nelle acque, perdita di biodiversità, inquinamento da pesticidi…), è stata strutturalmente riorientata e ridotta. Ora il concetto è (o dovrebbe essere) “soldi pubblici per benefici pubblici”, quindi fondi non per sostenere produzioni indifferenziate ma per fare agricoltura rispettando e migliorando l’ambiente, consapevoli di quanto la figura degli agricoltori sia strategica e fondamentale, non solo ambientalmente ma anche socialmente.
Tanto per capire le spese EU, si faccia riferimento alla tabella qui a fianco
Quindi su 186 miliardi di euro, il 32% dedicato all’agricoltura è un po’ di più di 59 miliardi nel 2023.
- nei bilanci aziendali dei contadini europei la PAC rappresenta in media, quindi con ampie e variegate varianti, circa il 30%, con punte del 50% nel caso delle colture meno specializzate e redditizie, come i seminativi. Detta in altro modo: molti agricoltori già da decenni se non ci fosse la PAC avrebbero chiuso!
- Ma la PAC non è obbligatoria, quindi chi vuole può farne benissimo a meno e vivere di mercato. Però se si vuole beneficiarne bisogna offrire qualcosa in cambio alla collettività le cui tasse sono andate a formare “la disponibilità EU”. Ovvero la EU siamo tutti noi, dedichiamo una parte dei nostri soldi (tasse) all’agricoltura perché riteniamo la presenza dei contadini essenziale nelle nostre campagne (nonostante i sogni tecnologici di chi vorrebbe solo trattori semoventi o orticoltura fatta in lab) e chiediamo loro in cambio un contributo di biodiversità, aria pulita, acqua non contaminata, paesaggio… Contadino, se vuoi i premi della PAC… vienici incontro! Tanto per fare un esempio di attualità: la discussione sull’obbligo alle rotazioni colturali è mal narrata. Infatti, solo chi aderisce alla PAC e quindi vuole riceverne i premi è obbligato a seguire l’alternanza di colture diverse negli anni. Se a ciò rinuncia può fare quello che vuole… vuoi il libero mercato, corri da solo! Vuoi il sostegno della collettività? Fai qualcosa del tipo conserva la fertilità dei suoli, usa meno fertilizzanti, energia, acqua, pesticidi … anche tramite la rotazione delle colture. Detto tra noi: la richiesta di non fare monocoltura non è poi così pressante, molti agricoltori anche nostrani già lo fanno. Gli anni dell’ettaro lanciato di mais sono lontani per chi fa un ragionamento banalmente economico: mais su mais, con gli attuali costi di energia, fertilizzanti ecc e in più l’incertezza climatica, per un prodotto indifferenziato, una vera propria commodity, conducono ad un elevato rischio con bassa redditività.
Come si formano e si decidono i programmi della PAC
- Va aggiunto che la PAC è sempre stata il risultato di feroci contrattazioni tra una visione più orientata alla sostenibilità ambientale, sociale, economica e il più sfrenato liberismo del modello agroindustriale. Se il Green Deal era un importante passo verso la scelta di sostenibilità a tutto tondo (incluso il mantenere il cibo in mano ai contadini e i contadini in campagna), quello agroindustriale ha sempre avuto il sopravvento in passato ed ora sta tentando la spallata finale.
- La PAC (programmi usualmente settennali) viene definita in anni di mediazioni tra il Consiglio, il Parlamento, la Commissione e con ampia consultazione degli Stati Membri. Poi da Bruxelles arriva ai Ministeri Nazionali e, nel caso di alcuni paesi tra cui l’Italia, dalla dimensione nazionale viene calata all’implementazione regionale. Buona parte delle scelte operative, nel caso italiano, sono regionali o un combinato maleficamente disposto tra livello nazionale e regionale. Qui la burocrazia regna e indigna ed hanno ragione gli agricoltori a lamentarsene, però, appunto, non è colpa della EU! A ciò si aggiunga il funzionamento degli organismi pagatori e la desolazione è completa. In Friuli-Venezia Giulia speriamo che la recentissima formazione dell’Organismo Pagatore Regionale possa alleggerire il peso.
Proteste giuste, obiettivi sbagliati
- I motivi del malcontento contadino sono comprensibili, però la cagione non è l’ambientalismo o la sterzata verso Ia maggiore premialità dei beni comuni della PAC, bensì la fede cieca nell’iperliberismo, nell’industrializzazione del sistema agricolo e nella fede (invece che comprensione e razionale utilizzo) della tecnologia. Tutto ciò ha portato al monopolio di pochi grandi attori nella definizione dei prezzi e allo scambio planetario di prodotti, seguendo il prezzo minore. Il tutto aggravato dall’aumento del costo energia, dalla minore disponibilità economica delle famiglie, ma la mamma del problema è al punto precedente.
- Ragioniamo sul fatto che i profitti dei grossi gruppi agro-industriali continuano ad aumentare, mentre la redditività del lavoro agricolo cala. Quasi il 20% delle famiglie agricole vive al di sotto della soglia di povertà, mentre gruppi industriali come Lactalis (che attraverso Parmalat possiede anche Latterie Friulane) o i principali attori della vendita al dettaglio vedono i loro margini di guadagno esplodere a scapito della remunerazione degli agricoltori. Ottimo esempio di Greenpeace Francia: “Su un cartone di latte, la quota ricevuta da un allevatore è diminuita del 4% tra il 2001 e il 2022 mentre quella delle aziende agroalimentari è aumentata del 64% e del 188% per la grande distribuzione!”
- Ma allora prendersela con la PAC e con la EU ha senso? Gli agricoltori sono tra le prime vittime del riscaldamento globale e della perdita di biodiversità come della fertilità dei suoli, la transizione agroecologica è parte della soluzione e non del problema. Le misure ambientali devono garantire la sostenibilità e la resilienza dell’agricoltura a lungo termine ma va costruito anche un quadro economico più equo che passa obbligatoriamente dalla revisione del modello iperliberista che consegna tutte le decisioni economiche in capo a pochi soggetti non legati al territorio e men che meno alle comunità che sopra ci vivono.
- La Strategia Farm to Fork, parte del Green Deal, e la strategia per la Biodiversità sono state in buona sostanza sabotate dalle ultime decisioni delle Istituzioni europee: il voto contrario del Parlamento europeo sul Regolamento SUR per la riduzione dell’uso dei pesticidi, l’eliminazione degli allevamenti bovini dalla normativa europea sulle emissioni industriali, la liberalizzazione dei nuovi OGM, l’indebolimento del Regolamento europeo sul ripristino della natura per le aree agricole e infine la decisione della Commissione UE di rinnovare l’uso del glifosato per altri dieci anni.
Il neoliberismo non governa solo imprese e finanza
- Insomma la transizione ecologica dell’agricoltura europea ha solo mosso i primi passi, è stata subito deviata con pretesti quali guerra, fame e carestie (in buona parte inesistenti) e ora le si addossa la responsabilità di quanto provocato da decenni (con accelerata negli ultimi 5 anni) di iperliberismo e globalizzazione dei mercati agro-alimentari.
- Ora si vorrebbe riconfermare il modello agricolo europeo intensivo, dipendente dal petrolio e gas, attraverso sussidi che promuovono l’utilizzo di fertilizzanti e pesticidi di sintesi e che favoriscono le grandi aziende agricole a discapito delle piccole, oltre l’80% dei fondi della PAC vengono ancora distribuiti al 20% delle aziende agricole europee. E’ questa davvero la soluzione? O sono invece le cause?
- Un approfondimento sul gasolio agricolo, vero cerino da cui sono partite le proteste: la cancellazione dei sussidi al gasolio agricolo è legata agli impegni assunti con il PNRR. Tra i diversi sussidi ambientalmente dannosi compaiono anche le agevolazioni al gasolio agricolo e sull’IVA per i fertilizzanti chimici e prodotti fitosanitari. Con l’approvazione da parte della Commissione UE del nuovo PNRR italiano proposto dal Governo, avvenuta contestualmente alla concessione della quarta rata dei fondi del PNRR, l’Italia si è impegnata ad adottare le misure del Piano RePower EU tra cui, a partire dal 2026 ed entro il 2030, una razionalizzazione ed eliminazione dei sussidi ambientalmente dannosi. Da questo impegno emerge la necessità di una politica agraria che favorisca la transizione ecologica e liberi il sistema primario dalla dipendenza dell’energia fossile.
- Al contempo da anni le vie per il risparmio energetico sono note e come approvvigionarsi di energie rinnovabili pure:
- agricoltura biologica, i cui costi di produzione sono legati in misura minore alla variabilità dei costi degli input chimici derivanti da petrolio e gas;
- meccanizzazione agricola elettrica alimentata da pannelli fotovoltaici sui capannoni, stalle, cantine, usando i fondi del PSR e del PNRR dedicati e disponibili da alcuni anni;
- facendo la rotazione delle colture (!!!) magari con l’inserimento dei sovesci, in modo da gestire le erbe infestanti, aumentare la fertilità e lo stato di salute delle colture.
