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Numero 24 | dicembre 2024

Un mondo quasi a parte. Gli alunni “stranieri” e le scuole del Friuli Venezia Giulia


Nel film “Un mondo a parte”, recentemente uscito nelle sale italiane, il maestro Michele (Antonio Albanese) abbandona una scuola di Roma per trasferirsi in un paesino di montagna dove scopre di dover insegnare in una pluriclasse a rischio di chiusura. Per salvare la scuola, e il paese, il maestro Michele e tutto il personale ricorrono ad una soluzione piuttosto ardita: attirare bambini “stranieri” nella scuola del bucolico paesino di Rupe. 

Il titolo del nostro articolo richiama le suggestioni del film, che probabilmente molti di noi hanno visto al cinema anche con un certo divertimento, per avviare un ragionamento sulla presenza degli alunni “stranieri” nelle scuole del Friuli Venezia Giulia, o meglio sulle dinamiche demografiche che interessano i nostri contesti scolastici. 

Abbiamo voluto mettere la parola stranieri tra virgolette perché si tratta di un termine altamente fuorviante. Il documento “Orientamenti interculturali: idee e proposte per l’integrazione di alunni e alunne provenienti da contesti migratori” pubblicato dal Ministero dell’Istruzione nel marzo 2022 evidenzia che esiste “ormai una palese incongruenza nell’utilizzo di termini che hanno a che fare con la condizione giuridica (alunni stranieri/alunni di cittadinanza non italiana): più passa il tempo e meno si riesce a leggere e a misurare la presenza delle nuove generazioni che hanno una storia migratoria usando queste definizioni. Così, mentre nel Rapporto statistico del Ministero dell’Istruzione, 2021, si quantifica la presenza sui banchi di scuola degli alunni non italiani in 876.801 studenti e studentesse, una stima che invece includesse anche i figli di coppie miste o adottati, e coloro – sempre più numerosi – che sono approdati alla cittadinanza italiana, porterebbe a raddoppiare i numeri, collocando la presenza delle nuove generazioni in Italia tra il milione e mezzo e i due milioni di persone (fino a 18 anni)” (Ministero dell’Istruzione, 2022, p. 15).

 

Da febbraio 2024 il dibattito sulla presenza degli alunni “stranieri” si è riacceso, soprattutto sulla stampa, per discutere la proposta relativa a un tetto massimo di presenze, per altro già esistente (si veda la circolare n. 2 del 2010, sostanzialmente inapplicabile e infatti mai applicato), e all’introduzione di un possibile percorso differenziato. 

Il presente articolo non intende entrare nel merito di questa discussione, magari lo faremo in una prossima puntata, ma ragionare sui presupposti del discorso, cioè i dati demografici che costituiscono il determinante della formazione delle classi. Sulla base di questi dati intendiamo proporre un esercizio di futuro, immaginando possibili scenari realistici da qui a 30 anni.

 

L’inverno demografico e la scuola in Friuli Venezia Giulia

I dati relativi alle scuole italiane e agli studenti frequentanti sono raccolti in un sistema di Open data del Ministero accessibile al seguente link  https://dati.istruzione.it/opendata/opendata/. Come recita la pagina introduttiva “mettere i dati a disposizione dei cittadini vuol dire garantire trasparenza amministrativa e partecipazione al miglioramento del sistema scolastico”, considerato che ogni decisione o progetto di miglioramento dovrebbe partire da una base di dati oggettiva e consolidata. 

Come si può facilmente dedurre dalla serie di dati della tabella 1, il numero degli studenti nelle scuole del Friuli Venezia Giulia è in costante, direi drammatico, calo dal 2018/19. Parallelamente, la presenza di alunni con cittadinanza non italiana dal 2015/16 è in crescita anche se con andamenti non costanti nei diversi anni.

Una prima considerazione da fare potrebbe, quindi, essere la seguente: alcune scuole in Friuli Venezia Giulia rimangono aperte, garantendo un servizio a tutti i bambini e ragazzi, perché la presenza di studenti “stranieri” è solida e crescente mentre la presenza di studenti italiani è drammaticamente in calo, per ragioni strettamente demografiche.

Tabella 1

Naturalmente la tenuta demografica relativa alla presenza degli alunni “stranieri” porta con sé anche il mantenimento di posti di lavoro di docenti che, essendo professionisti dell’insegnamento/apprendimento, dovrebbero modellare la propria didattica sul profilo specifico degli apprendenti con cui lavorano. Questa considerazione assume ancora maggiore rilevanza se si considera la distribuzione territoriale degli studenti “stranieri” a livello nazionale. Le scuole statali del Nord Italia, in particolare Piemonte, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Lombardia e Liguria, ospitano più della metà (62,7%) degli studenti di cittadinanza non italiana, per un totale pari a 602.387. La sola Lombardia ne ospita 238.254 (dati Anagrafe studenti a.s. 22/23). 

Per un approfondimento sui dati riferiti agli studenti con cittadinanza non italiana si rimanda al Rapporto ISMU 2023 e al rapporto Ministero Istruzione 2022 che permettono una analisi molto precisa e dettagliata. Per quanto concerne invece una analisi sulla popolazione “straniera” in Friuli Venezia Giulia si rimanda all’articolo de La Vita Cattolica del 17 aprile 2024

 

Un caso emblematico: il comune di Monfalcone

“Al primo gennaio del 2023, a Monfalcone gli italiani residenti erano 20.600, gli stranieri quasi 9.000, fra cui 4.700 provenienti dal Bangladesh. Monfalcone è uno dei comuni italiani con la maggior quota di residenti stranieri (30%). In realtà, le persone di origine straniera sono molto più numerose, perché l’immigrazione a Monfalcone è di vecchia data: nel solo 2022, a Monfalcone sono stati 241 gli stranieri che hanno acquisito la cittadinanza italiana. Ancora più significativi sono i dati sull’età, il sesso e la dinamica demografica. Gli stranieri con più di 70 anni erano 91, gli italiani 5.400. […] I bambini italiani in età prescolare (0-5) erano 685, gli stranieri 1.017. Nel 2022 a Monfalcone sono nati 106 bambini italiani e 197 stranieri, mentre sono morti 379 italiani e 6 stranieri” (Dalla Zuanna, 2024). Basta anche solo un’occhiata distratta a questi dati per capire quanto sia impraticabile la proposta del tetto del 20%, a meno che l’idea non sia quella di tenere gli alunni “stranieri” fuori dalla scuola o di mandarli a studiare su qualche altro pianeta, con conseguente chiusura di molti plessi scolastici nella città.

Siccome l’attrattività di Monfalcone in termini di occupazione non accenna a diminuire, visti i successi di Fincantieri in termini di commesse, più che cercare “soluzioni” per non far iscrivere i bambini “stranieri” nelle scuole di Monfalcone, bisognerebbe immaginare strategie di integrazione e politiche territoriali di medio e lungo periodo che garantiscano sicurezza sociale e benessere per tutti e tutte.

Tutti i documenti e gli studi convergono sull’identificazione di quelli che dovrebbero essere i perni di queste politiche: prima di tutto la scuola e la centralità dell’apprendimento dell’italiano per tutti, anche per gli adulti; secondo un lavoro sicuro e regolare, sottratto al caporalato; terzo l’abitare dignitoso e la casa come diritto; infine una socialità aperta che assicuri e favorisca la convivenza pacifica attraverso la progettazione di spazi di cittadinanza possibile e condivisa. Dunque lingua e inclusione vano insieme e producono benessere sociale e senso di sicurezza. 

Il caso Monfalcone è la manifestazione più evidente di un fenomeno che riguarda tutta la regione.

Non per nulla il citato articolo de La Vita Cattolica si conclude ricordando la stima che Ministero del Lavoro ed Unioncamere hanno fatto con riferimento ai fabbisogni occupazionali dichiarati dalle imprese private del Fvg: ben 75.100 lavoratori nell’intero quinquennio 2024-2028! 

 

Pre-vedere il futuro

È evidente che per la scuola si aprono diversi scenari: 

  • le classi separate per stranieri e italiani, che non incidono sul tema del decremento demografico e degli assetti territoriali degli istituti, ma aprono questioni sul senso ultimo della scuola come spazio di inclusione e di crescita di cittadinanza;
  • le pluriclassi in montagna, ma anche in aree di pianura non densamente popolate, che aprono questioni sulla qualità dell’istruzione e sulle relazioni tra scuola, territori e comunità locali;
  • la concentrazione degli istituti secondari di secondo grado nelle città, con ricadute pesanti sul sistema della mobilità e sull’ambiente. 

In generale, non solo in Italia, i sistemi educativi vivono una fase di crisi di senso, mentre stanno diventando sempre più evidenti le enormi disparità esistenti in tema di rispetto del diritto all’istruzione per tutti.

Sembrerebbe necessario ripensare i modelli educativi alla luce dei cambiamenti sociali e tecnologici che in maniera pervasiva investono la nostra società. Si tratta insomma di “reimmaginare il futuro” e creare alleanze intorno a un nuovo contratto sociale per l’educazione, basato sui principi di giustizia sociale e dignità umana (Tosolini 2023). Dalla Zuanna, nel suo lavoro su Monfalcone, ha indicato una road map intorno a cui pensare i territori, perché non diventino “Posti a parte”, ma siano capaci di costruire percorsi di crescita e di benessere. In questi percorsi la scuola è un nodo centrale, non solo per formare mano d’opera, ma per costruire cittadinanza democratica. Intorno a questo luogo chiave delle comunità, la scuola come bene comune, è necessario sviluppare pensiero e azione per governare i cambiamenti e costruire società più giuste, inclusive, pacifiche e resilienti.

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