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Pian-di-Pan

Strada più, strada meno, viabilità senza strategie


Inseguire il dibattito sulla scelta di tracciato della progettata Cimpello-Gemona è un’impostazione fuorviante, come immaginare se in tempi di riscaldamento climatico ci si accapigliasse su quale versante del Matajur costruire un comprensorio sciistico.

Per interloquire sull’opera abbiamo militato 20 anni nel Comitato Arca e prima altri 4 nel suo precursore, il Comitato Angese, e prima ancora ne hanno dibattuto Amministrazioni di ogni latitudine da quando nel 1978 una prima ipotesi di tracciato è apparsa nel Piano Urbanistico Generale della Regione.

Il termine “strategico” per definire l’opera è sempre stato usato: ma se poteva avere una sua valenza con lo stato della viabilità di quegli anni, a mano a mano che la viabilità si sviluppava in una rete sempre più fitta di collegamenti, quell’aggettivo avrebbe richiesto una verifica e un approfondimento che quasi mai è avvenuto.

La domanda invece è proprio questa: è strategica l’opera? Per definirla tale va da sé che se ne deve chiarire bene la necessità in funzione di obiettivi definiti. Può sembrare semplicistico il seguente giudizio, che invece è frutto di un dato obiettivo: se dal 1978 ad oggi l’opera non è stata realizzata è proprio perché non è strategica. Se lo fosse stata, sarebbe accaduto ciò che abbiamo visto per esempio riguardo alla tangenziale di Mestre.  Così hanno ritenuto nel tempo Amministrazioni regionali di diverso colore, svariate Amministrazione comunali e un’ampia platea di cittadini.

Senza necessità vera si inventano i motivi di un bisogno che non c’è

Abbiamo detto che strategica è una condizione coerente con obiettivi strategici. Ma tali obiettivi nel tempo non hanno mai avuto una coerenza: dapprima è stata pensata come arteria per fluidificare il traffico locale anche in funzione di un collegamento con il nord Europa. E si trattava di una “strada a scorrimento veloce” a due corsie. Poi è divenuto un raccordo autostradale a 4 corsie (senza corsia di emergenza) per collegare il comprensorio pordenonese alla A4 a Gemona. Poi un’autostrada che costituisse il prolungamento della Pedemontana Veneta.

Nel secondo caso, come qualcuno ribadisce anche adesso, sarebbe stata un’arteria che doveva enfatizzare lo sviluppo economico dell’area pordenonese. Ma nessuno ha mai prodotto una prova solida di un rapporto fra la crescita del PIL regionale e la realizzazione di questa arteria, né – viceversa – ha dimostrato che un aggravio di percorrenza di 15 minuti del percorso A28-A4 rispetto al percorso Cimpello Gemona sia elemento frenante per lo sviluppo economico del pordenonese. Tanto più che, nel frattempo, si sta realizzando la terza corsia dell’A4 oltre alla bretella Portogruaro  – Pordenone.

Nel terzo caso, (prolungamento della pedemontana Veneta), che ricordo essere un project financing, l’aspetto strategico era rappresentato dal raggiungimento di un volume di traffico pari a 55.000 veicoli al giorno, condizione perché l’opera fosse economicamente sostenibile. Traguardo questo che non solo è indimostrabile ma che dire ambizioso è un eufemismo, dato che all’inaugurazione dell’opera si prevedeva un volume di 25.000 veicoli al giorno laddove tale valore corrispondeva al traffico complessivo del valico di Tarvisio (autostrada + strada statale) dell’epoca (2010). Se già erano in circolazione 25.000 veicoli, come e dove avrebbe dovuto prodursi un ulteriore aumento equivalente di traffico? E a proposito dell’iperbolico traguardo dei 55.000 (che rappresenta una totale sconfitta di qualsiasi politica sostenibile del trasporto), è sotto gli occhi di tutti il fallimento della Bre.Be.Mi come della Pedemontana Lombarda, autostrade dalle tariffe costose e dal traffico esiguo) e adesso della Pedemontana Veneta che rischia di diventare un fardello onerosissimo per la comunità. A dimostrazione di quanto imputavamo al project financing nostrano il cui costo ritenevamo sarebbe finito inevitabilmente sulle spalle pubbliche.

L’analisi costi-benefici: i conti che non si vogliono fare

Ma nella definizione di “strategico” (a cui contribuisce in modo determinante l’analisi costi/benefici) entrano in gioco gli aspetti della salute (incidentalità) e dell’analisi ambientale. Riguardo a quest’ultima, chiunque si sia preso la briga di leggere il Progetto preliminare della Provincia di Pordenone del 2001 e più ancora lo Studio di impatto ambientale del 2003 avrà scoperto che emissioni (ossidi di azoto fuori norma, PM10 ai limiti), rumore, impatto con l’avifauna, impatto paesaggistico esiziale costituivano elementi estremamente conflittuali rispetto a uno sviluppo ambientale sostenibile. E si parlava di una strada a due corsie. Facile calcolare quanto avverrebbe con un raccordo autostradale.

E veniamo a quanto succede oggi. Quali sono gli aspetti che rendono strategicamente necessaria questa strada? Se l’idea è sempre quella di dare una continuità alla Pedemontana Veneta consentendogli uno sbocco sull’A4, è un progetto completamente irrazionale: se infatti funzionerà, drenerà un traffico di automezzi pesanti insostenibile per una strada a due corsie, pericoloso ed altamente inquinante. Ed è inaccettabile perché sottopone il Friuli, in una delle sue parti paesaggisticamente più pregiata e soprattutto ancora abbastanza integra dai processi di antropizzazione, a una servitù senza alcun vantaggio offrendo un territorio pregiato al puro transito fra il Veneto e il Nord Europa. E il vantaggio anche in termini di percorrenza è così irrisorio che non può compensare gli alti costi che comporta. Per inciso, utilizzata per i traffici da e per Pordenone non offre molto di più della viabilità ordinaria esistente che già ora garantisce una minore percorrenza utilizzando la SR 177 e la SR 463 fino al casello di Gemona sull’A4. Se utilizzata come alternativa fra Montecchio Maggiore (VI) e Gemona non è assolutamente competitiva. Se invece non funziona per lo scopo di collegare Veneto e Austria, avremo solo costruito una strada di più fra le già tante esistenti.

In definitiva, non c’è nulla di strategico in questo progetto e soprattutto nulla che lo integri in via più generale ad una politica sostenibile e di valorizzazione del nostro territorio. Poiché tuttavia dobbiamo pur dar conto dell’esistenza di una qualche ratio nella scelta dell’Amministrazione regionale, è possibile intravvedere in essa quelle scelte evidentissime che già abbiamo combattuto: avvantaggiare chi quell’opera progetta e costruisce, sostenere gli interessi dei soliti noti che nulla hanno a che vedere con gli interessi della nostra comunità. In questo senso al presidente di Confindustria Alto Adriatico che si permette di parlare di “comitatismo” ricordo che ben più di lui, che non riveste cariche elettive se non quelle di un’associazione privata, i comitati sono espressione di un territorio, di una volontà popolare che dà mandato a una classe politica, sola deputata a decidere in un regime democratico.

Alberto Durì

Presidente per un ventennio dei comitati di lotta (Angese prima, Arca poi) per la salvaguardia del Tagliamento e lo sviluppo sostenibile della Pedemontana.

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