Referendum CGIL, una battaglia per tutto il mondo del lavoro
Dal 1997 a oggi, sono stati in tutto 34 i referendum abrogativi proposti agli italiani. Trentaquattro quesiti, distribuiti in 9 tornate. Siamo stati chiamati a esprimerci su leggi elettorali, diritti dei lavoratori, ordinamento della magistratura, privatizzazioni, procreazione assistita, ma l’elenco è lunghissimo. Solo in una di queste 9 occasioni i referendum sono riusciti a evitare la tagliola del quorum del 50% dei votanti. Basterebbe questa considerazione storico-statistica per comprendere quanto sia dura la battaglia che la Cgil ha deciso di affrontare proponendo i suoi quattro referendum sul lavoro, a maggior ragione dopo la sconfortante percentuale di astensionismo che ha caratterizzato le ultime elezioni europee, disertate da un elettore su due: se solo il 51% degli italiani ha deciso di non votare i proprio rappresentanti nel Parlamento europeo, la corsa per il quorum si prospetta ancora più in salita, e ne siamo consapevoli.
Ma nella Cgil esiste anche un’altra consapevolezza: quella della progressiva, allarmante deriva che stanno subendo le condizioni di lavoro e i redditi da lavoro. Mentre la grancassa del Governo continua a snocciolare veri o presunti record occupazionali, i numeri dell’Inps ci raccontano una realtà molto meno edificante: tra i lavoratori discontinui e part-time, che nella nostra regione sono oltre 60mila, più del 16% della platea, praticamente 1 su 6, la retribuzione media va dai 600 ai 900 euro lordi (!) al mese, a seconda del tipo di contratto (a termine o a tempo indeterminato). Altri 90mila, sempre discontinui ma full-time, viaggiano tra i 900 e i 1.700 euro lordi. In centocinquantamila, insomma, sono ben al di sotto dei 1.500 euro netti mensili, e lo stesso dicasi dei 50mila lavoratori part-time in servizio per 12 mesi all’anno. Il lavoro povero, in sostanza, è il più diffuso, e per la stragrande maggioranza dei neoassunti, ben oltre l’80%, il contratto è a termine, alla faccia delle lacrime degli imprenditori sulla difficoltà a reperire personale.
Altro aspetto mai toccato dalla propaganda del Governo o pro-Governo quello dei salari reali. Tra il 2017 e il 2022 l’aumento medio dei redditi da lavoro, in base ai dati sui 730, è stato del 7,6%, quasi 5 punti in meno dell’inflazione. I lavoratori, in sostanza, hanno perso il 5% del proprio potere d’acquisto, mente gli autonomi lo hanno visto aumentare di quasi 10 punti.
Che ci azzecca tutto questo con i referendum? Ci azzecca eccome. Il precariato e il lavoro povero, così come la crescente difficoltà nel rinnovare i contratti nazionali di lavoro, sono l’effetto di un processo globale. Ci sono Paesi che lo subiscono meno, altri che lo patiscono maggiormente: l’Italia è tra questi, in particolare dopo l’approvazione, nel 2015, del famigerato jobs act firmato Renzi. I due referendum in materia di licenziamenti puntano alla cancellazione di due delle norme più inique prodotte dal jobs act e dai suoi decreti applicativi, quelle che cancellavano la reintegrazione del lavoratore licenziato senza giusta causa o che abbassavano, nelle aziende sotto i 15 dipendenti, il tetto per l’indennizzo. Si tratta delle norme che hanno scardinato l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, architrave delle tutele del lavoro dipendente nel nostro Paese. Gli altri due quesiti prevedono la reintroduzione della causale per i contratti a termine, con l’obiettivo di frenarne l’abuso, e la responsabilità solidale del committente in caso di infortuni negli appalti.
Tutele contro i licenziamenti, contro la precarietà e per la sicurezza dei lavoratori. Questo il terreno di battaglia per quattro sfide decisive per una svolta nel segno del lavoro e dei lavoratori: siamo convinti di poterle vincere e la velocità con cui abbiamo raccolto le 500mila firme necessarie per arrivare al voto nella prossima primavera è un primo, importantissimo segnale. Ma ne vogliamo raccogliere molte di più, perché sappiamo che per vincere la gara contro il quorum dobbiamo coinvolgere il maggior numero possibile di lavoratori e di cittadini, convincendoli che la nostra battaglia è anche la loro.