Morti sul lavoro: non rassegnarsi alla strage
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La recente tragedia di Firenze, dove cinque lavoratori edili sono morti in seguito al crollo di un cantiere della catena di supermercati “Esselunga”, ha riportato al centro dell’attenzione nazionale il problema della sicurezza nel lavoro.
Un problema in realtà mai sopito, dato che nel solo anno 2023 si sono registrati 1.485 decessi (fonte Osservatorio nazionale dei morti sul lavoro di Bologna).
E l’inizio del 2024 non vede miglioramenti, dato che, a febbraio 2024, si registrano 150 decessi violenti durante lo svolgimento di attività lavorative. Lo stesso giorno nel quale morivano i cinque di Firenze, in realtà ben altri 11 lavoratori sono morti sul luogo di lavoro o mentre si apprestavano a recarvisi (i cosiddetti infortuni “in itinere”).
Una strage di dimensioni imponenti, rispetto alla quale occorre andare oltre la retorica che si accompagna a questi avvenimenti e procedere piuttosto nella direzione di interventi strutturati e complessivi, unici utili a risolvere il problema.
Come spesso accade nel nostro Paese, la difficoltà non risiede in una carenza legislativa: anzi, quella vigente in materia di prevenzione e sicurezza è strutturata e consolidata. Le delibere contemplate nel Testo Unico sulla Sicurezza (il dlgs 81/08) costruiscono processi di partecipazione dei “corpi intermedi” (lavoratori, loro rappresentanti e titolari di attività) del mondo del lavoro, affiancati da normative stringenti per ciò che attiene gli obblighi dei datori di lavoro. E conseguenti sanzioni in caso di mancato adempimento.
Quindi problema risolto? Purtroppo no.
Dopo la legge quale è la realtà
Il vecchio motto “facta lex inventa fraus” anche in questo caso ha la sua pertinenza. Ovvero bene che ci sia una legge dedicata alla sicurezza, ma le difficoltà nascono quando occorre organizzare l’attuazione dei disposti contemplati. Ed in materia di sicurezza sul lavoro, i principali soggetti dedicati alla sua attuazione restano l’INAIL, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL), il Comando Vigili del Fuoco e l’Azienda Sanitaria locale (ASL).
Vi sono poi figure nate dalla contrattazione sindacale come gli RLS (Rappresentanti dei Lavoratori alla Sicurezza, di espressione sindacale), oltre ai CPT (Comitato Paritetico Territoriale, di pertinenza del comparto edile) e ad altri organismi che intervengono nelle dinamiche della sicurezza, ma con una funzione consultiva e non sanzionatoria: importanti, certo, ma non di pari impatto rispetto a chi può materialmente multare o sospendere un’attività se irregolare.
Dopo una sfilza di acronimi non a tutti familiari, occorre tornare alla sostanza di questo intervento: come fermare la strage di lavoratori.
Il Governo Meloni ha sottolineato, nei giorni successivi al fatto di Firenze, di aver potenziato l’organico dell’INL, dimenticando, però, di specificare che le nuove assunzioni derivano da concorsi effettuati nel 2022, quindi prima dell’insediamento dell’attuale compagine governativa.
Comunque, a fronte di questi adeguamenti formali alle necessità di personale operativo, la realtà è ben diversa: dei 1149 nuovi posti per ispettori previsti dall’ultimo concorso nazionale, solo circa il 60% si è trasformato in un’assunzione operativa.
Gli organici degli Ispettorati nella regione
Ovvero, ad oggi, solo 670 nuovi ispettori hanno avviato la loro attività. Se l’analisi di questo (preoccupante) fenomeno nazionale tentiamo di leggerlo in chiave locale, vedremo come anche la nostra regione segua questo trend: ad oggi, dei 108 ispettori che dovrebbero vigilare sulle attività produttive del Friuli-Venezia Giulia, ne troviamo in organico solo 48.
La ripartizione delle nuove assunzioni in provincia di Udine avrebbe dovuto quantificarsi in 9 nuovi ispettori tecnici, così come da concorso. Ne è stato assunto solo uno. Ma se “Atene” (Udine) piange, “Sparta” (Trieste) non ha motivo di rallegrarsi: su 7 assunzioni programmate, ne sono state concretizzate 4.
Scattata l’impietosa fotografia dell’organico degli Ispettori del Lavoro (ad oggi è l’agenzia che ha maggiori competenze sulla verifica della regolarità delle attività lavorative di ogni comparto produttivo), occorre specificare che tale situazione non solo non viene contrastata a livello politico, bensì ne viene negata l’esistenza, come da dichiarazioni (o per meglio dire: a fronte dei silenzi) della Ministra Calderone, responsabile del Lavoro e delle Politiche sociali. Le stesse caratteristiche di questi concorsi sono oggettivamente disincentivanti: chi dovesse vincere, può essere assegnato in qualsiasi parte d’Italia. Proviamo a metterci nei panni di un laureato udinese che dovesse vincere il concorso ed essere assegnato a Venezia (quindi non scrivo nemmeno Roma, Milano o Napoli): con uno stipendio mensile di circa 1.500 euro, mantenersi in una città è letteralmente impossibile.
Una graduatoria regionale per le assunzioni
La soluzione sarebbe ovvia: fare graduatorie a carattere regionale, che favorirebbero indubbiamente il candidato a livello personale, oltre a facilitare l’inserimento in realtà produttive territorialmente prossime.
Ma il Governo Meloni ha scelto di contrapporsi al Sindacato in molti ambiti: opzione non condivisibile, ma comprensibile quando si voglia delegittimare un interlocutore; inaccettabile quando si parla di sicurezza, argomento che dovrebbe essere super partes.
Le proposte sindacali sono state molteplici: dalla campagna “Zero morti sul Lavoro” lanciata dalla Uil nel 2021 (la validità di uno slogan chiaro, privo di ambiguità) fino agli appelli per fermare le stragi sul lavoro lanciati durante le elezioni del 2022, per sottolineare come i partiti non avessero contemplato tali politiche della sicurezza nei loro programmi elettorali. Risultati? Totale indifferenza da parte dell’esecutivo.
Da poco è stata lanciata l’idea di introdurre un nuovo reato: “l’omicidio sul lavoro”. La proposta sindacale era volta a riempire un vuoto legislativo, dato che non esiste un illecito penale che sanzioni tale tipo di omicidio. La risposta del Ministro della Giustizia Nordio è stata netta: totale contrarietà. A questa doccia fredda, ha affiancato anche il rigetto della proposta di istituire una Procura nazionale per la sicurezza del lavoro, proposta che il (dell’epoca) procuratore di Torino Raffaele Guariniello lanciò nel lontano 2007, subito dopo il rogo della Thyssen, laddove sette operai morirono bruciati vivi. Proposta poi formalizzata in progetto di legge nel 2021 dal M5S.
L’approccio governativo non lascia spazio ad interpretazioni: in materia di salute e sicurezza sul lavoro, decide l’esecutivo e non i lavoratori. Anzi, le conquiste realizzate nel corso di decenni (e a costo di migliaia di vittime) vanno ridimensionate e strutturalmente modificate.
Per non essere tacciato di partigianeria, non ho problemi a riconoscere che se a livello nazionale i partiti di destra hanno manifestato un orientamento decisamente pernicioso per i lavoratori, in Regione Friuli-Venezia Giulia l’Assessore al Lavoro Alessia Rosolen ha intrapreso ben altra direzione, manifestando una sensibilità ed una disponibilità verso le tematiche della sicurezza sul lavoro, di gran lunga apprezzabile.
Ben vengano confronti e progettazioni comuni: il problema è così urgente e drammatico che ogni strumento in grado di portare soluzioni concrete, va attuato velocemente.