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Numero 28 | Febbraio 2025

montagna turismo invernale friuli

La neve che non c’è e il turismo montano invernale


Tra febbraio e marzo notizie allarmanti sono arrivate da Austria e Slovenia riguardanti l’innevamento sempre più carente e la chiusura di alcuni impianti sciistici. L’ultima, in ordine di tempo è stata la cancellazione delle prove di slalom gigante, speciale di Coppa del Mondo maschile di Kranjska Gora. La località slovena ha visto letteralmente scomparire la neve dalle piste e così l’intero fine settimana di gare in programma sabato 9 e domenica 10 marzo è saltato. Poiché da questa parte del confine si è replicato, più o meno, facendo spallucce e sbandierando buoni risultati di affluenza presso gli impianti di Promotur, forse è utile proporre un piccolo ventaglio delle notizie apparse sul tema neve nella vicina Carinzia.

Vale la pena ricordare che l’Austria, insieme alla Svizzera, è il paese alpino per antonomasia e che questo condiziona la sua stessa economia. Sarà forse per questo che è stato dedicato ampio rilievo ad un nuovo studio sugli effetti del cambiamento climatico che proietta foschi scenari nel futuro di numerose aree sciistiche. Scenari  che dipenderanno da come proseguirà il riscaldamento globale a fronte di diverse politiche di contenimento.

Il progetto Fuse-AT (Future Snow Cover Evolution in Austria) è stato finanziato dal Fondo per il clima e l’energia nell’ambito del programma austriaco di ricerca sul clima. I dati sono disponibili su una griglia di un chilometro quadrato, che corrisponde a circa 84 mila punti dati. I risultati centrali, inclusa la grafica interattiva, sono accessibili al link: https://fuse-at.ccca.ac.at

Studi per orientare le scelte non per riempire i cassetti

Esperti dell’Università di Innsbruck, del Climate Change Center Austria e dello Snow Center Tirol hanno lavorato per tre anni al progetto e i risultati sono stati ora resi pubblici. Per la prima volta è possibile raffigurare il possibile sviluppo del manto nevoso sull’intera area dell’Austria sulla base di dati regionali dettagliati. Su questa base gli esperti hanno prefigurato diversi scenari negli anni a venire e fino alla fine del secolo. «In sostanza la situazione della neve varia di anno in anno e varia anche a livello regionale. Ma a lungo termine le previsioni in merito alle precipitazioni nevose sono direttamente collegate agli obiettivi di protezione globale del clima», hanno affermato i responsabili del progetto. Tuttavia, anche qualora gli obiettivi climatici globali fossero raggiunti, vi sarebbe comunque una riduzione del manto nevoso e tale riduzione non potrà essere evitata.

Mentre per i territori fino ai 400 metri di altitudine gli scenari prospettati variano a seconda della capacità o meno di rispettare gli Accordi sul clima di Parigi (il non superamento dei due gradi di aumento della temperatura globale), gli studi indicano problematiche importanti anche per altitudini intorno ai 1000 metri dove si trova la maggior parte dei comprensori sciistici della Stiria e della Carinzia. Lo studio indica che, qualora l’obiettivo climatico di Parigi venisse raggiunto, la durata della copertura nevosa diminuirebbe comunque di circa un quarto, raggiungendo una media di 60 giorni di innevamento per inverno. Nell’ipotesi più probabile che tali obiettivi non fossero raggiunti, si prevede che la temperatura media invernale a queste altitudini potrebbe aumentare da meno 2,4 gradi a più 1,8 gradi. In tal caso la durata della copertura nevosa naturale diminuirebbe del 70% riducendosi fino a circa 30 giorni entro il 2100.

Questa potrebbe essere la campana a morto per molti comprensori sciistici, anche perché l’innevamento artificiale programmato non sarebbe più possibile o lo sarebbe solo in misura limitata a causa, appunto, dell’aumento delle temperature. Le condizioni atmosferiche che rendono possibile l’innevamento artificiale sarebbero più rare del 50% in caso di un cambiamento climatico nei limiti più alti testati.

Le stazioni di alta quota più avvantaggiate, ma non indenni

Lo sviluppo nivometrico ad altitudini comprese tra 1.500 e 2.500 metri non sarebbe altrettanto drammatico. Se l’impegno globale per la protezione del clima raggiungesse gli obiettivi di Parigi, il numero di giorni con manto nevoso utile alla pratica degli sport invernali diminuirebbe in media del 10% arrivando a circa 190 giorni /anno. In caso contrario si prospettano scenari nei quali la durata si riduce a soli 160 giorni e si ipotizza una perdita del 25% della copertura nevosa.

Per quanto riguarda l’innevamento artificiale, in alcuni punti anche a queste altitudini potrebbero esserci difficoltà. Senza successo nel ridurre le emissioni globali, il numero di giorni con capacità di innevamento tecnico diminuirebbe fino al 35%. Al di là di questi dati come si comporterà effettivamente ogni singolo comprensorio sciistico dipenderà molto anche dalle misure che si intende porre in essere a livello locale.

Il punto saliente dello studio indica che in tutta l’Austria e a tutte le altitudini, la stagione invernale della neve naturale potrebbe essere ridotta di tre settimane, anche se tutti gli obiettivi di protezione del clima fossero raggiunti. Senza protezione del clima si possono tuttavia prevedere inverni senza neve su vasta scala.

Adattarsi al futuro è una capacità, ma non è di tutti

«Ogni comprensorio sciistico farebbe bene ad affrontare gli scenari e ad allineare di conseguenza le proprie strategie a lungo termine». Questa è, in estrema sintesi, una delle considerazioni finali dello studio. E puntualmente la cronaca di giornali e TV ha restituito riscontri a tali previsioni: a Heiligenblut, nell’area del ghiacciaio del Grossglockner, un terzo degli impianti di risalita è rimasto chiuso per l’intera stagione ‘23-‘24 perché economicamente non redditizio e gli altri impianti hanno iniziato la loro attività solamente a dicembre inoltrato. Ma, appunto, per la prima volta tre dei dieci impianti di risalita, rimarranno chiusi per tutto l’inverno. Il comprensorio del Dreiländereck è fallito. Già in passato si era trovato in difficoltà ed era riuscito a tirare avanti con un contributo del Land (250 mila euro nella passata stagione) e del Comune (50 mila euro all’anno). Sembra che anche questi sussidi ora non bastino più. L’innevamento artificiale costa troppo e, con il caldo che fa, non funziona. Gli impianti sono spesso fermi perché non c’è neve. Il numero dei frequentatori è calato in questa stagione del 60%. Per ragioni di costo, dicono i proprietari degli impianti di risalita… e qui ci si deve proporre un primo elemento di riflessione. Mentre in Austria gli impianti sono gestiti da privati e soggetti alle regole di mercato, in Friuli-Venezia Giulia sono gestiti da una società pubblica che viene finanziata a piè di lista dalla Regione per la costruzione, manutenzione e gestione finanziaria dei poli turistici regionali. A questo proposito recentemente Promoturismo ha fatto vanto del riuscire a intercettare sciatori provenienti da Austria e Slovenia… ma mantenere i prezzi più bassi con contributi pubblici non è forse la concorrenza più trasparente se altrove i costi sono privati…

Nel campo del turismo invernale è sempre più matura la necessità di misurarsi con il futuro del riscaldamento globale e della sostenibilità. La montagna è una delle aree più fragili sia sul piano ambientale che su quello sociale. E chi per primo individuerà nuove modalità di offerta turistica, ne standardizzerà in modo convincente i modelli e le infrastrutture sarà il meglio piazzato per sfidare il futuro prossimo. Non sembra che questo interessi molto né all’amministrazione regionale né a larga parte delle comunità e delle categorie economiche locali.

Ma val la pena, a concludere, rimandare ad un blog (https://www.austria-vicina.it/ ) che segue le vicende del nostro vicino e leggere questo articolo: https://www.austria-vicina.it/sul-dobratsch-una-vacanza-ecosostenibile/, progetti e realizzazioni alquanto diverse a pochi chilometri da quelle che vediamo nella nostra Val Canale.

Giorgio Pippan
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Già Vicesindaco di Tarvisio e Consigliere della Provincia di Udine.

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