
Il coraggio di rallentare: perché la Città 30 è un’opportunità per i nostri territori
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In questi giorni anche qui come nel resto d’Italia si è incendiato il dibattito sul modello Città 30, dopo l’effettiva entrata in vigore del nuovo limite a Bologna. Sui social leggiamo migliaia di commenti che iniziano con “secondo me”, e altrettanti che citano studi sulla presunta inefficacia della misura – senza averli però ben compresi.
Da un lato, siamo abituati a considerare il nostro stare in strada in base solamente alla nostra esperienza, mentre non siamo abituati a pensarla come una scienza, che si basa su dati, evidenze, tentativi ed errori. Dall’altro, le nostre città e i nostri stili di vita si sono sviluppati secondo un modello fortemente autocentrico che è ormai diventato identitario, e quando si pone in discussione quello che viene considerato un diritto – l’egemonia dell’auto privata sullo spazio stradale – si ottengono reazioni difensive spesso violente. In Friuli-Venezia Giulia, nonostante un leggero calo della popolazione, il numero dei veicoli circolanti è in continuo aumento: nel 2021, 1.076.000 veicoli; nel 2022, 1.086.000, per una media di 911 veicoli su 1000 abitanti. Abbiamo evidentemente bisogno di un cambio di paradigma.
Di chi è la strada?
Una delle più comuni opposizioni ai tentativi di rendere plurale lo spazio stradale è l’affermazione “la strada è delle auto”. Facilmente smentibile citando banalmente l’articolo 2 comma 1 del Codice della Strada che invece recita si definisce “strada” l’area ad uso pubblico destinata alla circolazione dei pedoni, dei veicoli e degli animali.
Al di là degli aspetti normativi, ci sono anche delle questioni intuitive ed “etiche” che ci dicono che la strada non può e non deve essere delle auto private. La prima evidenza logica, è che abbiamo tutte la necessità di attraversare le strade, e dunque in quel momento la strada è evidentemente delle persone a piedi. Ed è proprio allora che viene messa maggiormente a rischio la nostra incolumità. La seconda ovvietà è che la strada è uno spazio pubblico, e gli spazi pubblici sono di tutte e tutti. E, facendone una questione di giustizia e uguaglianza, perché se io non possiedo un veicolo dovrei essere tagliata fuori da uno spazio che è anche mio?
La questione della democrazia e dell’inclusività nello spazio stradale sta avendo sempre più peso nei dibattiti cittadini, a fronte di un problema di coesistenza tra le diverse categorie che si rende quotidianamente evidente.
Dati, non opinioni!
Non è che da un giorno all’altro qualcuno si sia svegliato con l’idea di fare la guerra alle automobili proponendo di rallentarle. L’esigenza di ragionare sui limiti di velocità nasce da evidenze oggettive: sulle nostre strade il numero di persone che muoiono o rimangono gravemente ferite in incidenti stradali è semplicemente inaccettabile.
Il Friuli-Venezia Giulia non se la passa tanto bene in quanto a incidenti. Secondo l’ISTAT, nel 2022 si sono verificati in Friuli-Venezia Giulia 3.265 incidenti stradali che hanno causato la morte di 74 persone e il ferimento di altre 4.105. Un costo umano gigantesco e che dovremmo ritenere inaccettabile, ma per i più cinici c’è anche un dato economico: nel 2022 il costo dell’incidentalità stradale con lesioni alle persone è stimato in quasi 18 miliardi di euro per l’intero territorio nazionale e in oltre 360 milioni di euro per il solo Friuli-Venezia Giulia.
E allora anche in questo caso bisogna ragionare in modo razionale: se voglio limitare davvero i costi umani ed economici degli incidenti stradali la prima cosa che devo capire è dove e perché questi avvengono. Le statistiche dicono che la maggior parte degli incidenti avviene in città: nella nostra regione nel 2022 il 70,9% (2.315) si è verificato sulle strade urbane, provocando 26 morti (35,1% del totale) e 2.800 feriti (68,2%). Tra le prime cause di incidente – specie in caso di gravi conseguenze – c’è la velocità. Dunque ridurre la velocità nei centri urbani è l’azione più ragionevole, efficace ed efficiente che possiamo attuare per ridurre sia il numero di incidenti che le loro conseguenze.
Di quanto dovremmo ridure la velocità? Anche questa valutazione non dovrebbe essere “a sentimento”: la percezione soggettiva della velocità adeguata non è affidabile, altrimenti avremmo ben pochi incidenti. Anche qui ci viene in aiuto la statistica: se un’automobilista investe una persona a 50km/h ha l’80% di probabilità di ucciderla, mentre a 30km/h la persona a piedi ha il 90% di possibilità di sopravvivere all’impatto. Per fare un paragone, è come cadere dal quarto piano di una casa anziché dal primo.
Il limite 30, poi, non è casuale perché permette di agire sullo spazio urbano in modo diverso, ad esempio inserendo il doppio senso ciclabile, certi tipi di strumenti di moderazione della velocità come i dossi o la compresenza di utenti. Con il limite a 30 non sarebbe neanche necessario fare le piste ciclabili in sede separata, va anzi favorita la commistione. Abbiamo un disperato bisogno di rivedere la distribuzione dei nostri spazi stradali, e ridurre il limite di velocità è un punto di partenza per poterlo fare in modo più radicale.
Il limite 30 è esagerato, inutile, dannoso?
Naturalmente prima di poter valutare l’effetto della misura a Bologna servirà del tempo, ma i primi risultati non hanno tardato ad arrivare, e sono pienamente in linea con quelli ottenuti in altre città. Solo nelle prime due settimane di Città 30 si è registrato un -21% di incidenti totali, -18,2% di incidenti con feriti, -24,4% di incidenti senza feriti e un incidente mortale in meno (0 nel 2024 mentre era 1 nel 2023). Da sottolineare inoltre il dato del calo di pedoni coinvolti in incidenti, che è del 27,3% (22 erano quelli coinvolti nel 2023, 16 nel 2024). Gli studi condotti nelle altre città europee parlano di un dimezzamento degli incidenti, soprattutto per quanto riguarda vittime e persone ferite.
Anche dal punto di vista dell’inquinamento atmosferico, moltissimi studi dimostrano un impatto positivo notevolissimo, principalmente grazie alla riduzione delle accelerazioni e frenate. A Barcellona hanno addirittura quantificato il risparmio economico grazie alla minor incidenza di malattie cardiovascolari e allergiche, ma al di là dei numeri possiamo immediatamente immaginare quanto sia più gradevole vivere in una città con l’aria più pulita. Per non parlare dell’inquinamento acustico, che ha un impatto non indifferente sulla nostra salute psicofisica e sul nostro modo di vivere lo spazio.
Il modello Città 30 è comunque un punto di arrivo di un percorso di lungo termine, che deve comportare in primis una rivoluzione culturale. Nel caso di Bologna, ad esempio, l’attuazione della misura è solo uno dei passi di un percorso che è iniziato molti anni fa con la partecipazione della popolazione e delle associazioni, è proseguito nel tempo con pianificazione, comunicazione e sensibilizzazione, e andrà avanti con ulteriori adattamenti infrastrutturali dell’intero spazio urbano.
Anche noi abbiamo fatto i nostri passi per rallentare
Avevamo iniziato a parlarne in settembre, in concomitanza con la Settimana Europea per la Mobilità Sostenibile, quando anche noi abbiamo presentato una serie di mozioni a vari livelli: il Patto per l’Autonomia in regione, Adesso Trieste nel capoluogo giuliano, Noi Mi Noaltris Go a Gorizia, dove è stata fatta propria dalla Giunta. Sempre in regione, in dicembre abbiamo presentato un ordine del giorno a bilancio che è stato accolto dalla Giunta. Continueremo a lavorare in questa direzione, fuori e dentro le istituzioni, per un territorio più gentile, rispettoso, vivibile, umano.
Non è certo un’invenzione nostra, né di questi ultimi mesi, ma viene da molto tempo indicata in modo unanime come la strada da percorrere verso un futuro già segnato. Ci sono infatti indicazioni a ogni livello: dalle Nazioni Unite (Love 30) e l’Organizzazione Mondiale della Sanità, all’Unione Europea, fino ai piani nazionali italiani. E noi – ma neanche Bologna – non saremmo certo i primi ad applicare queste indicazioni: in Spagna il limite a 30 in tutti i centri urbani è già legge nazionale, e moltissime città europee hanno introdotto o stanno sperimentando l’introduzione dei limiti di velocità urbani a 30 chilometri orari, tra le quali Parigi, Edimburgo, Bruxelles, Graz, Zurigo, Toronto. In Italia ci sono i casi di Bologna, Olbia, Torino, Reggio Emilia, Cesena.
Una scelta impopolare?
Una scelta che in questi giorni tutti credono impopolare a causa della guerra di opinione abbondantemente condita da disinformazione fatta dalla destra, ma la realtà ci dice che nessuna delle città che l’ha introdotta sia mai tornata indietro. Ad esempio, a Graz il primo anno l’80% della popolazione si diceva contraria, ma dopo solo due anni la percentuale si è completamente ribaltata vedendo l’80% favorevole. Basti pensare alle barricate che sono state fatte anche nei nostri territori quando sono state introdotte le aree pedonali, mentre adesso nessuno si sognerebbe di tornare a circolare in auto in quelle vie del centro. Quanto la politicizzazione del tema sia strumentale è ampiamente dimostrato dal fatto che Olbia è amministrata dalla destra, che ha convintamente difeso la scelta di ridurre il limite. Ma un altro aspetto da tenere in considerazione è che, al di là delle chiacchiere da bar, tutti i portatori di interesse si stiano muovendo in questa direzione, ne è un esempio la proposta di legge nazionale sulle Città 30 promossa da Legambiente, FIAB, Salvaiciclisti, Kyoto Club, Amodo, Clean Cities, Asvis, Fondazione Michele Scarponi.
Non limitiamoci a un limite: riuscite a vedere la bellezza?
Nonostante le ottime campagne di comunicazione messe in campo da Bologna e dagli altri soggetti che spingono in tal senso, molte vedono nel modello Città 30 solamente un limite. Oltre a una naturale resistenza al cambiamento, questo è legato alla dipendenza dall’auto privata che ci ha ridotti a una comoda schiavitù da ormai quarant’anni, e non siamo dunque in grado di vedere i benefici del cambiamento. Per fare un paragone, un fumatore incallito non si accorge dell’orribile odore e gusto della sigaretta finché non smette, e come comunità non ci accorgevamo di quanto fosse terribile fumare nei ristoranti finché non è stato vietato, ma nessuno mai si sognerebbe oggi di accendersi una sigaretta a tavola.
Il modello Città 30 è invece un’enorme opportunità di vivere meglio nei nostri ambienti urbani. Oltre alla riduzione dei rischi, favorire la pedonalità e la ciclabilità comporta dei benefici sul lungo termine evidenti sia in termini di salute psicofisica collettiva che in termini ambientali, con i conseguenti benefici economici. Pensiamo alla possibilità di aumentare l’autonomia di bambine e bambini nello spazio stradale, così come l’inclusività di uno spazio ripensato mettendo al centro le persone, specialmente quelle più fragili, anziché le automobili. La Città 30 è solo uno degli ingredienti per rendere le nostre città più accoglienti, più verdi, più belle. Meno rumore, meno inquinamento, meno cemento. Questo ci aiuterà a ripensare anche il nostro stile di vita negli spazi urbani. Dove tutti si oppongono a mettere in discussione il presunto diritto all’auto privata, dovremmo invece lottare per il sacrosanto diritto alla lentezza e alla bellezza.
Altri approfondimenti e spunti
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Giulia Massolino, dottorata in ingegneria dell’energia e dell’ambiente, con master in comunicazione della scienza, economia blu sostenibile e studi di futuro. Da sempre attiva nell’associazionismo, dopo esser stata Consigliera comunale con Adesso Trieste, di cui è co-fondatrice, è attualmente eletta in Regione con il Patto per l’Autonomia.
- Giulia Massolinohttps://ilpassogiusto.eu/author/gmassolino/
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