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Numero 22 | 8 novembre 2024

Bandiera italiana su sfondo cupo

Il contributo del Friuli-Venezia Giulia al funerale della democrazia rappresentativa


Gli anni passano, “i figli crescono e le mamme invecchiano”, e anche la Repubblica in cui viviamo non è più quella di una volta. La Costituzione è quasi la stessa, salvo rare modifiche e meno rare interpretazioni della Corte, attenta annusatrice degli odori che girano per la società.

La questione centrale, proprio in riferimento alla concezione stessa di democrazia nel nostro ambito spaziale, è quella delle regole elettorali. Si è passati nell’arco di 30 anni da una pur instabile democrazia rappresentativa ad una altrettanto precaria visione legata alla centralità della funzione di governo delle istituzioni. A valere da Roma a Drenchia. Non si eleggono più i rappresentanti del “popolo”, ma i capi del governo, centrale e locale. Alcuni vengono impropriamente chiamati “governatori”, altri, pur ritenendosi dei “podestà” continuano ad essere noti come sindaci.

Questa operazione “ideologica” è stata fatta su un piano tecnico con il susseguirsi di modifiche delle leggi elettorali. Vi ha contribuito di fatto l’intero quadro politico, con in genere l’attenzione di ogni singola forza politica a salvaguardare gli interessi propri in gioco alla più vicina scadenza. La cosa si sta ripetendo in maniera “micro” nell’attuale accelerata esplosione di modifiche che la Regione Friuli-Venezia Giulia intende portare alle norme elettorali relative ai Comuni, magari anticipando scelte che fra breve potranno riguardare la Regione e, chissà mai, le Provincie.

Un po’ di numeri

Prima, tuttavia, vale la pena di fare alcune considerazioni sul quadro generale in Italia, anche a partire dal risultato delle regionali sarde appena concluse. In Italia nell’epoca della “democrazia governante” si è sostanzialmente stabilizzato un quadro elettorale, e quindi un sistema politico, che sembra basato su alcuni numeri.

Il primo dato è che a metà dei potenziali elettori le scadenze di voto non interessano. Qualcosa in più alle politiche grazie al battage informativo, e in genere (molto) meno nelle altre occasioni, tenendo conto delle schede bianche o nulle. Talvolta ci si può consolare con gli iscritti all’AIRE che non tornano a casa per votare, ma non è una giustificazione.
La seconda questione sta proprio nel significato politico delle scelte. Sia nei casi reali che nei sondaggi ormai è da anni che le forze di centrodestra hanno un consenso di circa il 45%, mentre ad esse c’è una contrarietà del 55%. Il consenso è coalizzabile, il dissenso si esprime in varie difformità. Si tratta naturalmente di medie, ma è curiosa la vicenda sarda proprio perché una capacità di coalizione contro il centrodestra ha permesso di vincere. Direi che è analogo a quanto, nel suo piccolo, è successo alle elezioni comunali di Udine.

Le conclusioni che traggo da questi banali calcoli aritmetici è che, nel nuovo spazio della “democrazia governante” si va al “potere” con il consenso di circa il 20% di aventi diritto al voto, peraltro in un clima di rapporti che vede nei competitori politici dei nemici da sconfiggere prima delle elezioni, e da tenere prigionieri poi. La mediazione politica, caratteristica fondamentale di ogni tipo di democrazia, è vista come una iattura per il suo potenziale prezzo marginale in termini di consenso. Ho l’impressione che su questa strada non si andrà molto lontano se qualche Orban o Erdogan saprà approfittarne in maniera intelligente. Continuare a distruggere i residui elementi di “rappresentanza” e di partecipazione (non solo sul piano elettorale) non dovrebbe poter essere permesso impunemente, come peraltro sembrerebbe dalle reazioni al pestaggio dei “ragazzini” del liceo di Pisa.

Sarà un’altra Repubblica

Lo stillicidio di modifiche elettorali che si sono susseguite dagli anni ’90 ad oggi, collegate agli interessi piccoli e grandi dei potenziali raccoglitori di voti alla ricerca di conquista o conservazione di spazi di potere, hanno preparato il terreno alla ciliegina finale sulla torta costituita dalla “prossima” elezione diretta del Presidente del Consiglio e della sua maggioranza. Sarà un’altra Repubblica ed una diversa democrazia.

Del terzo mandato per “governatori” se ne discute dappertutto e gli interessi politici che guidano questo dibattito sono stranoti. Tuttavia andrebbe ricordato che quel limite nasceva soprattutto per limitare gli effetti personalizzati della concentrazione di potere nella guida degli enti. Qui da noi la crisi coniugale sulla scelta del capofamiglia tra Lega e FdI può magari aspettare qualche anno, ma sul resto ci si muove.

La Giunta regionale sta proponendo delle modifiche alle regole elettorali dei Comuni, sulla base di alcuni interessi immediati talmente scoperti da apparire quasi incredibili. Due importanti sindaci di Pordenone e Monfalcone si candideranno alle elezioni europee e, poiché saranno eletti, è meglio non fare subito le elezioni per sostituirli, magari inventando la scusa di concentrare ogni rinnovo di sindaci in concomitanza con le elezioni regionali. Si eviterà così di disturbare i cittadini fino al 2028 con la fastidiosa incombenza di andare a votare. Inoltre, poiché nei Comuni sopra i 15.000 abitanti è possibile il ballottaggio dopo il primo turno qualora un candidato non raggiunga il 50% dei voti, si abbassa tale percentuale al 40% dei consensi. La cosa nasce dalla sconfitta del centrodestra nel secondo turno delle comunali a Udine e potrebbe diventare utile soprattutto al rinnovo del sindaco di Trieste, per evitarvi un risultato analogo.

Trattando della futilità di questi motivi mi pare di fare una offesa ad un necessario dibattito sulle condizioni per una ricostruzione della stessa concezione di democrazia in questo XXI secolo. Solo per rimanere sul terreno degli organismi elettivi ci sarebbero nell’immediato varie questioni da mettere all’ordine del giorno di una rivisitazione del funzionamento di tutta la infrastruttura istituzionale dei territori della nostra regione. A partire dalle sue competenze, dai rapporti con il sistema degli enti locali, dalla ricostruzione di un ruolo dello stesso Consiglio regionale. Per arrivare forse anche ad una nuova legge elettorale regionale più rispettosa dei territori stessi. Spero che qualche granello di sabbia costringa la trionfante amministrazione regionale ad interrompere le stupidaggini che sta cavalcando, ma rimane sempre più acuto il tema del futuro di una democrazia che abbiamo conquistato in passato e che non siamo più capaci di adattare positivamente ai tempi che viviamo.

Questo articolo è stato pubblicato da Friulisera il 4 marzo scorso.

Giorgio Cavallo

Attivo in politica dai primi anni Sessanta del secolo scorso, è stato consigliere regionale di opposizione per tre legislature e per due mandati assessore all’Urbanistica e alla Mobilità del Comune di Udine, presidente regionale di Legambiente FVG negli anni Novanta e Duemila. Saggista, ha decine di pubblicazioni all’attivo. Collabora con testate di informazione locale su temi di attualità politica, sociale ed economica.

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