
Festival MAREinFVG: la salute ambientale del Golfo di Trieste
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Traffico marittimo, porti, pesca, industrie: sono tante le attività umane che influenzano la salute del Golfo di Trieste. A questa pressione antropica si aggiungono l’innalzamento del livello del mare e i cambiamenti della biodiversità dovuti a nuove specie introdotte dall’essere umano. Quali saranno le conseguenze di questi cambiamenti? Quali strumenti possiamo mettere in atto per comprenderle meglio e adattarci?
Questi temi sono stati al centro del dibattito dell’evento ospitato dalla Capitaneria di Porto di Trieste l’8 maggio 2024, all’interno del Festival MAREinFVG, coordinato dal Maritime Technology Cluster FVG con il sostegno della Regione FVG. La conferenza è stata organizzata dal Circolo Verdeazzurro Legambiente Trieste che ha collaborato con l’OGS (Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale) e l’Università di Trieste per favorire il dialogo tra il pubblico e gli esperti ed esperte di questi enti di ricerca.
L’impegno della Capitaneria di Porto
“La Repubblica tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni” enuncia l’articolo 9 della nostra Costituzione. Il Capitano di Vascello Francesco Chirico del Corpo delle Capitanerie di Porto-Guardia Costiera ha aperto così l’evento, richiamando questo concetto alla base dello sviluppo sostenibile. Il Capitano ha ricordato quanto la Capitaneria di Porto ha acquisito nel tempo una vocazione sempre più ambientale. Tra i suoi compiti rientrano per l’appunto anche la prevenzione dell’inquinamento da trasporto marittimo tramite il controllo della quantità di zolfo nei combustibili delle navi e di eventuali sversamenti in acqua. La gestione dell’inquinamento, inoltre, include la verifica di tutto ciò che può arrivare in mare da terra, dagli scarichi ai rifiuti.
I cambiamenti nella biodiversità del Golfo
Proprio per favorire il recupero dei rifiuti dal mare, la legge “Salva Mare” del 2022 permette di portare gratuitamente i rifiuti pescati accidentalmente all’impianto di raccolta. Nonostante le nuove norme per la tutela del mare, i rifiuti e la plastica si ritrovano già all’interno degli organismi marini.
“Le microplastiche sono state trovate nelle larve di pesci e in altri organismi che le ingeriscono”, afferma la dottoressa Marina Cabrini di Legambiente e ricercatrice dell’OGS. “Questo compromette la fecondità e la sopravvivenza degli organismi, oltre a giungere fino a noi attraverso la catena trofica, cioè la piramide alimentare”.
La presenza di plastica compromette ulteriormente la sopravvivenza degli esseri viventi, già minacciata dai cambiamenti delle specie presenti nelle acque del Golfo. Negli ultimi anni, infatti, attraverso le acque di zavorra delle navi abbiamo introdotto nuove specie non indigene, le cosiddette specie aliene, come il granchio blu e la noce di mare.
Con la sua ricerca, Cabrini e altri ricercatori hanno analizzato le acque di zavorra delle navi in cinque diversi porti dell’Adriatico, trovando che vari organismi possono rimanere vivi durante il trasporto. “Alcune delle specie introdotte possono sopravvivere nel nuovo ambiente del Golfo. In questo modo, si diffondono e occupano la nicchia ecologica delle specie locali” continua Cabrini. Le specie aliene non solo competono con le specie indigene per le risorse della nicchia, ma alcune possono essere tossiche, come l’alga Ostreopsis ovata che porta a irritazione delle vie respiratorie. L’aumento dei microrganismi tossici ha ricadute non solo ambientali ma anche economiche, come quelle dei blocchi alle vendite di molluschi a causa di possibili intossicazioni alimentari.
Il mare che sale
Fino a 7000 anni fa l’attuale Trieste non era un’area costiera: il mare aveva iniziato da poco ad avanzare formando quello che oggi è il Golfo. Sulla costa, i resti romani sommersi testimoniano che all’epoca il livello dell’acqua era 1,5 metri più basso. Il mare, quindi, è da sempre stato molto variabile, a causa dei movimenti della superficie terrestre e della variazione della quantità dei ghiacci.
Il cambiamento a cui stiamo assistendo oggi, però, non è su scala millenaria: i dati storici del mareografo di Trieste, con cui si misura il livello medio marino, indicano un aumento di 10 centimetri solo nell’ultimo secolo e le misure odierne dei satelliti confermano che la tendenza è in continuo aumento.
“L’incremento del livello del mare oggi è dovuto all’espansione termica dell’acqua: più aumenta la temperatura e più aumenta il livello oceanico” ha spiegato il professor Stefano Furlani, docente di Geografia fisica e Geomorfologia dell’Università di Trieste. “I modelli prevedono un aumento da 30 a 80 centimetri entro il 2100, numeri molto pesanti considerando che i massimi di marea possono arrivare fino a 2 metri. Questo significa che le inondazioni e gli allagamenti aumenteranno di frequenza nella città. Le soluzioni a questa problematica non sono univoche per tutti i luoghi, ma è certo che bisogna iniziare a ragionarci e capire quali strutture costiere possiamo proteggere e quali saranno da spostare” conclude Furlani.
L’impatto delle attività umane nel Golfo di Trieste
Come naturale proseguimento delle tematiche all’interno della conferenza, la ricercatrice dell’OGS Mariangela Pagano ha presentato il suo studio sull’impatto ambientale di varie attività umane nel Golfo.
Analizzando varie attività come la molluschicoltura, la pesca, i tubi fognari e il traffico marittimo, Pagano e altri ricercatori e ricercatrici hanno creato delle mappe di vulnerabilità dell’ambiente marino. “Queste mappe permettono di identificare le zone più critiche e più antropizzate, per pianificare gli interventi in modo da proteggere l’ambiente” ha affermato Pagano. Le mappe possono essere utili nello sviluppo dell’economia blu, ovvero una crescita economica che tiene conto della salute delle risorse marine, in modo da preservarle e garantire la loro permanenza in futuro.
Dalle mappe (figura 1) è possibile vedere come le zone meno impattate dall’essere umano sono le aree marine protette, come l’Area Marina Protetta di Miramare e la Riserva Naturale della Foce dell’Isonzo. “Le aree marine protette sono uno strumento che permette di conservare l’ambiente, anche dal punto di vista geologico. Nella regione abbiamo circa il 7-9% di aree marine protette ed è necessario spingere verso il loro aumento, per tutelare il mare e raggiungere l’obiettivo europeo del 30% di protezione entro il 2030” ha continuato Martina Busetti, ricercatrice dell’OGS e partecipante allo studio. “Anche lo sviluppo tecnologico è uno dei metodi con cui si può diminuire l’impatto delle attività umane” conclude Busetti.
Figura 1 – Mappa di vulnerabilità del fondale marino: in viola le zone a più alta densità di attività antropiche, mentre in verde le zone rimaste più naturali e meno impattate. Fonte: https://doi.org/10.1002/pan3.10537 Pagano et al. 2023
La ricerca scientifica riguardo questi temi è crescente. In parallelo, è importante aumentare anche l’attenzione e la consapevolezza all’interno dei Comuni, in modo da implementare adesso strategie che possano preservare il nostro futuro.
Dopo essermi laureata in biotecnologie mi sono avvicinata al mondo della comunicazione scientifica attraverso la scrittura di articoli e la produzione di materiali didattici interattivi. Grazie a esperienze di volontariato ambientale sul campo ho approfondito tematiche legate alla conservazione degli ecosistemi. Al momento sto completando la mia formazione al Master in Comunicazione della Scienza alla SISSA di Trieste.
- Aurora Corbellihttps://ilpassogiusto.eu/author/acorbelli/