Aspettando il 2025. Dalla parte di Gorizia
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È cominciato il conto alla rovescia per la prossima Capitale Europea della Cultura Nova Gorica/Gorizia e, prima ancora di verificare progetti e programmi di un appuntamento che va ben oltre le città coinvolte, serve capire lo spirito con cui in città ci si prepara all’evento e le aspettative da suscitare prima e realizzare poi. Una fotografia in bianco e nero…
Gorizia è una città bipolare. Un’affermazione forte, soprattutto per le orecchie di uditori che non la conoscono e che mi hanno sentito pronunciarla lo scorso anno in occasione di un’iniziativa pubblica in cui si parlava di Regioni, di Europa e di un’altra politica.
Non trovo modo migliore per definire la città in cui sono nata e cresciuta, vincitrice del titolo di Capitale Europea della Cultura nel 2025 assieme a Nova Gorica e, al contempo, ostinatamente ancorata al secondo dopoguerra, città che tollera una volta all’anno la presenza di lugubri labari fascisti nella casa comunale o, ancora peggio, gli strizza l’occhio.
Gorizia può ma non vuole, ha le capacità ma non si applica, come uno scolaro talentuoso ma svogliato. La causa di questo intorpidimento è un paradosso: ciò che ha contribuito a decretare la vittoria e che ci rende interessanti al resto del mondo è ciò con cui ancora non abbiamo fatto i conti, il Secolo Breve come lo definì Eric J. Hobsbawm.
Proprio come un lutto non elaborato, un dolore non metabolizzato è la fonte di svariati disturbi psicosomatici, così la rimozione della storia o una sua parziale narrazione, hanno prodotto una città malaticcia, debole, un po’ decadente, al cui vertice vi è un potere che fa di tutto per sviare l’attenzione da ciò che, invece, potrebbe renderci un modello agli occhi del mondo.
Non è mai troppo tardi per guardarsi allo specchio
Presentare Gorizia come la città che ha trovato il modo di ricucire le ferite del secolo scorso, culla della psichiatria basagliana, implicherebbe averle guardate da vicino, analizzate sotto la lente di ingrandimento, vincendo un naturale senso di ribrezzo. Questa operazione, tuttavia, non si è fatta e non s’ha da fare, e allora? Allora si passa direttamente ai festeggiamenti, senza sapere però per cosa esattamente si stia brindando e soprattutto perché. Quello è ancora oggi un tabù.
Sia chiaro, noi del Forum festeggeremo, eccome se lo faremo! Anche noi avvieremo il nostro conto alla rovescia e abbiamo in programma un 2024 denso di appuntamenti, ma per noi Nova Gorica Gorizia Capitale Europea della Cultura è il riconoscimento di un lavoro cominciato 17 anni fa, nell’ormai lontano 2007, il concretizzarsi di un’idea che in ciascuno di noi è sempre stata viva: la transfrontalierità come ricchezza, il pluriculturalismo come valore aggiunto del nostro vivere quotidiano, il plurilinguismo come opportunità di scambio e conoscenza reciproci.
Posso orgogliosamente affermare che siamo stati i pionieri della città unica, espressione oggi “cara” anche a chi è stato solo recentemente folgorato sulla via di Damasco. Meglio tardi che mai, per carità, l’importante è che la redenzione dell’ultima ora sia il frutto di un reale convincimento e non la bramosia di denari e notorietà che la Capitale Europea della Cultura porta inevitabilmente con sé.
Chi è profondamente persuaso dell’unicità dell’occasione che vivremo tra un anno, pensa a quello successivo e al futuro che verrà, a quello che dovrà restare come lascito di Nova Gorica Gorizia 2025, non certo agli eventi che scandiranno 365 giorni, per quanto possano essere interessanti e di richiamo.
Mi riferisco solo in parte alle opere, penso piuttosto a un netto cambio di passo, a una collaborazione a tutti i livelli che ci consenta di programmare e progettare assieme il destino di un territorio comune, per quanto appartenente a due Stati diversi. Dall’ambiente, alla mobilità, alla lingua, strumento indispensabile per conoscersi e comprendersi, alla salute e in generale a tutte le sfide che ci aspettano in un mondo sempre più complesso e meno pacifico: se i due lati della frontiera volgeranno lo sguardo uno verso l’altro e, assieme, all’orizzonte potremo affermare che la Capitale Europea della Cultura ci avrà lasciato qualcosa, di immateriale ma prezioso e immortale.
Viceversa, se sarà solo una grande e bella festa con tanto di ubriacatura collettiva e poi ognuno a casa propria, prepariamoci sin d’ora ad un penoso day after, a ritornare nel nostro confortevole ma opaco passato, a vivere del ricordo di ciò che è stato e mai più sarà, ma con l’amarezza di non essere riusciti nemmeno questa volta a lasciare il segno.
Due città separate saranno solo città marginali
Aspettiamoci altri muri e altre reti, prova tangibile dell’incapacità di affrontare assieme le difficoltà, rassegniamoci alla dura realtà di essere territori marginali, Gorizia per l’Italia e Nova Gorica per la Slovenia, quello che siamo se separati.
Non si aspettano questo i nostri figli e i nostri nipoti, ma soprattutto non lo meritano. In dono dovrebbero ricevere opportunità, figlie di una narrazione completa ed onesta di ciò che è stato, affinché conoscano le proprie radici e amino la propria appartenenza a un territorio. Uso questo termine di proposito, pensando ad una donna colta ed acuta che ha saputo leggere brillantemente la nostra società e tutte le sue distorsioni, Michela Murgia. Murgia in “Futuro Anteriore” si riferisce all’appartenenza come a qualcosa di costruttivo che compone le fratture e considera le differenze come un valore collettivo. Perché è nel riconoscimento delle appartenenze e non dell’identità, concetto divisivo tanto caro al ‘900, che può fondarsi il concetto di comunità in senso morale, cioè pienamente umano.
Una comunità di donne e di uomini orgogliosi delle proprie differenze è ciò che mi e ci auguro e non posso non pensare alle parole, questa volta impresse su carta, di un’altra donna vicina a me e compagna di (dis)avventure, Anna Cecchini, che nel suo libro dedicato a Lyduska la contessa di Salcano descrive una Gorizia “piccolo miracolo intellettuale” ricca di lingue e stimoli culturali di ogni tipo, prima che le sciagure del ‘900 si abbattessero su di essa.
Nessuna malinconia, sia chiaro! Solo la consapevolezza che noi siamo questo, apparteniamo a un territorio contaminato dalla bellezza di culture diverse. La Capitale Europea della Cultura dovrebbe puntare i riflettori sul nostro Dna, ricordarcelo ogni giorno e renderci testimoni di questa peculiarità per chi arriverà dopo. Solo così questo agognato traguardo sarà un treno su cui saliremo per andare lontano, verso un futuro che in verità e già presente.
L’alternativa è restare soli e tristi sulla banchina ad aspettare un’altra occasione con cui arricchire l’album di quelle perdute.